Conto Corrente con la Posta ANNO IX- 1.953 Fascicolo I .—- Gennaio-Marzo GIORNALE STORJCO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI Pubblicazione Trimestrale Ci iti*-.. vAt > * Ä -, ^ - 1*1 Ci V &· NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Forraentini Direzione e Amministrazione GENOVA, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 1 Ô ..... SOMMARIO — A. Oberlello. Agostino Ruffini a Edimburgo — N. Lamboglia, Significalo ed importanza dell'indagine toponomastica nelle riviere liguri U. Formenfini, L'Abbazia di S. Salvatore di Linari e le sue strade -G. Surra, Rodi nel mito e nella storia — R. Giardelli. Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica— RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: A. Grunzweii Un plan d'acquisition de Génes par Philippe le Bon ( 1445) (V. Vitale) - Ph. Casimir, Le trophée d Auguste è la Turbie (Nino Lamboglia) - Atti della Società Savonese di Storia Patria (N. Lamboglia) - SPIGOLATURE E NOTIZIE - APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA. - — —■—'————— Agostino Ruffini a Edimburgo I. In altro mio articolo comparso tempo addietro su questa rivista (1) ho accennato di sfuggita a una lettera scritta da Jane Carlyle, la moglie di Thomas Carlyle, a una suo buon amico scozzese di Edimburgo, John Hunter, per raccomandargli un povero profugo italiano che lasciava Londra nel disperato anche se nobile proposito di provvedere ai suoi giorni, cioè al suo pane quotidiano. L’accenno è bastato per destare la curiosità di alcuni lettori e di parecchi amici italiani, inglesi e scozzesi, che da allora mi lian sempre sollecitato, per iscritto e a voce, a pubblicare per intero la lettera. Appago ora la loro, oso dire, legittima curiosità·. Chè, una lettera di Jane Carlyle, è risaputo, qualunque sia il suo contenuto e il suo destinatario, è sempre a priori un documento interessante. Chi ha una qualche pratica di letteratura inglese sa infatti che l’epistolario della moglie dell’autore degli Eroi è tra i più copiosi e nello stesso tempo fra i più ricercati che possieda la Gran Bretagna: e ciò non solo perchè vastissime eran le conoscenze d’uomini e di cose contemporanei che la signora Jane possedeva; ma perchè, più specialmente, ella brigava per averne sempre più, concedendo favori a questo e a quello, intrattenendosi con nativi ed alieni, con conservatori e liberali, con esiliati e rivoluzionari, mantenendo avviatissimo tutto un così vasto intrico di relazioni e d’amicizie, che, bastava parlasse o, più ancora, scrivesse perchè mezzo mondo, per dir così, venisse a trovarsi in punta alla sua penna. Ed ella non esitava in vero a carezzarlo o a trafiggerlo a seconda dei casi, poiché da lei non venne mai un motto adulatore anche pei potenti: nuda e cruda, con l’anima sincera e candida, diceva le sue impressioni senza reticenze e senza convenzioni. Per questo, le ulti- (1) I)irhiara:icnc di Fede di Agottino Ruf/ini, Giornale Storico ecc. fascicolo !II, luglio e settembre. me poche lettere possedute dalla Biblioteca Nazionale di Edimburgo sono una fìtta, al cuore pel Museo Britannico che vede così perduta una grande eredità che più crescerà di valore nei tempi a venire. Le altre rarissime lettere, ancora sparse qua e là per le famiglie che diseendon da nonni o nonne favoriti dall'amicizia delia Carlyle, sono ricercatissime e, messe in vendita, non se ne discute il prezzo. Questa che io possiedo, diciamolo subito sinceramente, non interessa gran che gli Inglesi; e tuttavia non so dire quante volte mi fu richiesta da questa o quella biblioteca, da questo o quel museo. Per noi italiani essa ha quindi un doppio valore: il valore intrinseco di documento patrio, e quello di reliquia ammirata e desiderata. Jane Carlyle non fa in essa i complimenti; scrive a un suo vecchio amico ili famiglia (lord Jeffrey, il famoso editore della Edinburgh Review, amicissimo dei Carlyles, aveva sposato in prime nozze Catherine Wilson, zia materna di John Hunter) e gli espone brevemente i suoi desiderata. Non si tratta d’una supplica, si tratta d‘un atto -di misericordia che se verrà da lui compiuto n’avrà doppia rimunerazione: quella personale dell’amica e quella universale degli « uomini di buon cuore e di mente liberale ». Pertanto la raccomandazione non ha l'aria pesante o il fare ossequioso delle scritture del genere: è spigliata, è briosa, è confidente. Qualche frustata vien giusto opportuna, e non è risparmiata nè ad Inglesi nè a Londinesi. In fine, per concludere, ci sta una bella battuta in uno d'omaggio e d'ammirazione per colei che, essendo sposa da poco novella ed essendo in vero una graziosa donna, occuperà giustamente tutto il cuore dell’amico. Ma nella frase adulatoria non s*i sente l’adulazione: è una costatazione di fatto, un ricordo «li un’impressione avuta a suo tempo direttamente e tale e quale ripetuta nella mente e nello scritto. Insomma, non è la donna che domanda un favore per questa o quella ragione d’amicizia o di interesse: è la donna che domanda il favore in nome del favore, con la disinvoltura degli apostoli del bene, ma con certa prepotenza graziosa e sbrigativa tutta propria di Jane Carlyle, cioè della sua indole di donna solerte e fiera, e però, in ciò, affascinante. Trascriviamo e traduciamo letteralmente: My dear Sir, Chelsea, 5 Cheyne Row, 10th March (1810?) I know not if the facts that you are Susan, s Brother, and that you left a most satisfactory impression with us last year, give me any decided claim to tax your kindness. But if you think my re- Agostino Ruffixi a Edimhurgo 3 quest absurd you bave only to resist it: if you attend to it, I will do tis much for you, the first opportunity. And that is all of the apology-sort I can bring myself to say. The bearer of this letter, a member of your own profession, is one of those young brave Italians, who are doing pennance in indigence and exile for the crime of having loved their country « not wisely but too well». The English who have no temptation to that sin, whatever others they are chargeble with, extend but little help to those whom they see languishing under its punishment. This M. iRuûini (2), for instance feels that he can no longer keep his life from being strangled out of him in the « jar of vipers» (as my husband names the finest city in the world) and accordingly he is setting off to Edinburgh, to try whether he can make a subsistence there as a language master. Can you, my dear Sir, give him any furtherance in the very natural and laudable attempt to keep himself alive, and at the same time be burdensome to 110 one? Surely all good and liberal-thinking men are bound to encourage those who have gone 011 the forlorn hope in a «ause to which their heart must say (food speed, whatever their heads may tink about it. If you can help him them, I trust that you will, and Susan will tluiuk you for having obliged her friend. My husband sends his kind regards and hope that business or pleasure may soon bring you into our ueigbourhood again. May I offer my regards to your wife, who I dare say thinks she never saw me, but I once saw her and a very pretty sight it was. Truly yours JANE CARLYLE. Mio caro Signore, non so se il fatto che voi siete il fratello di Susan e che l’anno scorso, quando foste con noi. ci lasciaste una così gradevole impressione. mi da qualche buon diritto per valermi della, vostra gen tilezza. Ma se reputate assurda la mia richiesta, non avete a far nitro cue a disinteressarvene : se invece raccoglierete, io cercherò di ricompensarvi d'egual favore alla prima, occasione. E questo è tutto quanto, in fatto di scuse, io posso dirvi. Il latore della presente, membro della vostra, stessa professione, è uno di quei prodi giovani italiani che scontan nell’indigenza e nell*esilio il delitto d’aver amato la loro patria « non saggiamente, ma troppo intensamente)). (ìli Inglesi che non si sentono menomamente tentati a commetter questo peccato, quali che siano poi gli altri onde posson venire accusati, dan ben poco aiuto a coloro che vedon lan- 4 guire nella sua punizione. Questo signor Raffini (1), per esempio, sente di non poter continuare a vivere così tagliato fuori da ogni sua attività e quasi soffocato nel « viperaio di Londra » (come mio marito chiama la più bella città del mondo) ; e pertanto egli viene a Edimburgo a tentare se gli sia possibile di guadagnarsi il pane come maestro di lingua. Potete voi, mio caro signore, dargli qualche aiuto nell’assai naturalo e lodevole tentativo di provvedere alla sua esistenza e di non essere, nello stesso tempo, di carico ad alcuno? Certo, tutti gli uomini di buon cuore e di mente liberale son tenuti a incoraggiare coloro che hanno gettate e smarrite le loro speranze in una causa a cui il loro cuore augurerà sempre buon esito, qualunque sian le loro opinioni in proposito. Se voi potrete, allora, io confido vorrete aiutarlo, e Susan vi ringrazierà per aver obbli gato la sua amica. Mio marito vi manda i suoi omaggi e spera che i vostri affari o qualche viaggio di piacere vi possan ricondurre di bel nuovo fra noi. Posso off lire i miei omaggi alla vostra signora, che, oso dire, crederà di non avermi mai visto, ma che io vidi una volta-, e fu una vista davvero graziosa? La vostra devota : GIOVANNA CARLYLE. II. Nell'articolo a cui ho alluso sopra, accennavo anche alla vita edimburghese di Agostino Ruffini e concludevo brevemente che he essa fu, in un certo senso, lieta e tranquilla, il merito va specialmente a John Hunter che accolse il latore della raccomandazione di Jane Carlyle con segni, più che d’amicizia, di fratellanza. Ora, poiché non sarà mai illustrata abbastanza l’opera di sostegno materiale e di conforto morale data ai nostri grandi rifugiati politici del Risorgimento da stranieri il cui nome è stato ormai cancellato dal tempo; è bene dir qualche cosa di questo nobile signore scozzese che protesse e allenò l’esilio del più giovane, e, sotto ogni ri spetto, del più sventurato fra essi. (1) «Wbo was th’s Ruff’n » scivrrà più tardi uno dei grandi »mici acozzeai del giovane r fugiat o polit co italiano, David Ma&fon, m un belCaaimo ntudio comparo nella raccolta di articoli letterari che s.· intitola Memorie» of Tuo CilitM, Edinburgh and Aberdeen, — Oliphant, Anderson Ferner, Ed.nburçh London, ion. Chap. V. t Wr.tirg now. I may make hin» at once le.-a unknonnto many bj sayng that he waa a younger brotlie of the Giovanni Ruffini whose Lorenzo Denoni, Doctor Antonio, Lavinia, and ither «tories, have ah own ua how beautifully an Italian, though not reaiding among u*, may wr.tc English *. Il nome liufflm del resto era ben noto in Edimhurgo perchè non pochi avevan letto nella Hiilory of Ten 1 ear* di Lou a Blanc la descrizione della mort«* violenta di Jacopo Ruftini neil* j*r.g!one del Palazzo Ducale di Genova durante la controreazione del 1833. Agostino Ruffini λ Edimburgo 5 John Hunter era figlio di James üunter, professore di Logica nella università di Sant’Andrews. Suo nonno materno era stato professore di Ebraico nella stessa università. La tradizione agli studi severi era però una tradizione di famiglia. Il piccolo John, dimostrò per tempo grande inclinazione alle lettere e alla poesia; ma dal padre fu invece avviato, secondo un inveterato costume troppo vero anche da noi, alla giurisprudenza. Fermo di proposito e liberale di mente, il giovane, ad ogni modo, accettò di buon grado la imposizione paterna, e seguì gli studi legali con alacrità e perseveranza Ottenuta la laurea accademica entrò in carriera, e fu ben presto uno dei più promettenti legulei di Edimburgo, dove frattanto s’era stabilito. 11 matrimonio con una sua conterranea di Sant’Andrews, liglia a sua volta d’un professore di quella università, se, a tutta prima, era stato una specie di capriccio giovanile, fu, più tardi, con la venuta di parecchi iigli, un ben sicuro e tranquillo asilo dove l’anima piuttosto romantica e fantasiosa del giovane sposo veniva a rifugiarsi e a riposare. Bene accetto dai suoi colleghi, fra i quali godeva fama d'uomo probo e valoroso; bene accetto dalla migliore società, dove la sua professione, la sua innata gentilezza e sopratutto i suoi studi e la sua molteplice versatilità lo rendevano più che un ospire gradito; bene amato dalla sua numerosa clientela che a lui più spesso ricorreva come paciere privalo che come ufficiale pubblico, egli non aveva da lamentare scarsezza d’amicizie, limitazione di mezzi e di successo. Prosperava nella sua carriera legale, prosperava nella sua vita sociale: e in famiglia, una sposa dolce ed umile lo confortava, c due bimbe graziosissime lo deliziavano. Poeta d’elezione, egli non aveva dunque da eleggere siti, argomenti e persone ideali per cantare; uomo cordialissimo, egli non aveva da ricercar solo in astratto la benevolenza e l’affabilità umana. La sua casa era aperta, come la sua anima, ad ospiti d’ogni rango e d’ogni credenza, purché fossero buoni, mansueti, sinceri: le virtù ch'egli aveva. E’ naturale che le sue simpatie per Agostino Ruffini divenissero subito grandi e illimitate. Entrambi sognatori e poeti; entrambi innamorati del bello, della meditazione, del vero; entrambi entusiasti d’un atto magnanimo, d’un sacrifizio disinteressato; se Γ11110 sapeva provare con l’esempio della sua vita randagia ed esiliata un ideale, l'altro lo intendeva più che un innamorato. Si stabilì pertanto una gran dimestichezza. Nella casa abitata dagli Hunters, in George Square, l’ospite fu ben presto un familiare. Trasferitosi poi in un appartamento al N. SI di George Sirccf, lo visite, gli incontri, la continuazione di quella scambievole familiarità furon sempre più accresciuti dalla vicinanza. Il povero profugo italiano ritrovava man mano che prendeva conoscenza del luogo e dei suoi abitanti, la confidenza nella vita e negli 6 Ali rid) ()b!ΚΠ LLO uomini che aveva perduta. Ora egli non era più in grado «li scrivere alla madre come aveva fatto da Londra il 18 Febbraio del JS37: « Come? Pensi tu davvero che noi possiamo aver liducia... legli uomini? Sappi ch'io posso aver fiducia nelle quercie delle foreste, nelle spine dei campi, nei ciottoli del fiume, nei sotti del vento, ned raggi delle stelle, negli uccelli dell’aria, nei quadrupedi, nei pesci del mare, comprese le ostriche, ma per la specie dotata di ragione, no, mille volte no ». Ora egli scriveva più propriamente : « Non far troppo caso di certi lamenti che nelle ore di (mattana) mi sfuggono di bocca. Scrivo talvolta sotto l'impressione immediata di qualche irritazione, e l'immaginazione allora fa trave d’ogni festuca. A mente fredda poi arrossisco di aver ceduto alla passione. Per amor del vero e di giustizia dico che le persone di cui ho avuto a essere scontento formano un'impercettibile minorità : ma tale è la natura umana: prendo la gentilezza di cento come cosa in regola e da non farne motto: e la più leggera irritazione che mi venga da un solo basta a farmi rodomonteggiare come se il mondo ini fosse congiurato contro» (1) Dove si vede che il figlio, imparata ben altra esperienza della vita e degli uomini, spende ora molte parole per far dimenticare alla mamma la cattiva impressione che certo produssero le lamentele d’un tempo non molto lontano. III. La Edimburgo dj quei tempi era del resto una città molto curiosa e molto graziosa; sopratutto molto pacifica e molto lieta. Da poco era uscita dalla cerchia delle vecchie mura che la rinserravano in passato in quello spazio limitato che, alle spalle del famoso castellacelo, occupa tutto il breve dorsale di monte che si volge al mare del Nord. Gettato υη ponte che sarà tra i più alti e i più maestosi della Gran Bretagna e del mondo intiero sulla vailetta sottostante, una volta occupata dal Xorth Loch, a tramontana, dove intanto la prima compagnia ferroviaria studiava il tracciato delle primissime linee ferrate appianando avvallamenti e costruendo gallerie d'una solidità a tutta prova, fino a raggiungere l’altro dorso di colle che guarda al Firth of Forth ; s’era venuta subito dilatando a gran passi per tutta l’aerea circostante, quasi che la lunga costrizione entro nn limite turrito le fosse stata imposta contro la sua vecchia smania e il suo antico bisogno d’espandersi Dell'aria e nei sole. Grandi palazzi sorgevano allo sbocco del ponte North Bridge e all’ingresso della cosidetta nuova città : a destra quello (1)11 virgolata è tolto dal ben noto volume del Cagnare! mi PrateUi Ruffini e la loro conifpoa SIGNIFICATO ed IMPORTANZA Dell’INDAGINE TOPONOMASTICA NELLE RIVIERE LIGURI.* Tra le regioni italiane in cui più intensi si rinnovano oggi gli sforzi volti a dare all'indagine toponomastica l'auspicato fondamento scientifico, primeggiano naturalmente quelle ove sono maggiori le possibilità di contribuire per mezzo di essa alla soluzione di dibattuti problemi storico-linguistici. Ma sinora ne è rimasta pressoché totalmente da parte una, la cui documentazione toponomastica riveste a questo riguardo un importanza tutt’altro che secondaria : la Liguria odierna, piccolo ritaglio in verità di quella antica, ma tuttavia della primitiva area ligure nucleo più puro e più genuino. Non hanno quivi mancato di imperversare oltre ogni limite le schiere dei soliti dilettanti, pronti ad erigere anche a sistema le loro costruzioni etimologiche affatto prive d’ogni base linguistica; ma invano vi si cercherebbe un solido studio scientifico, anzi in non poche ricerche d’indole generale, riflettenti di necessità anche l’area ligure rivierasca, si nota la tendenza a trascurarne la toponomastica, quasi che fosse sconosciuta. Causa non ultima di questo stato di cose è certo la poca familiarità che gli studiosi non oriundi della Liguria hanno in genere coi suoi dialetti, congiunta alla mancanza di una fonte toponomastica che, oltre ad essere completa o almeno copiosa, dia anche sufficiente garanzia di esattezza e di aderenza alle parlate locali. Non è quindi inutile richiamare l’attenzione dei glottologi e di quanti si interessano al movimento degli studi linguistici sul fatto che tale lacuna si avvia ormai ad essere colmata. La Società Ligure di Storia Patria ha infatti costituito nel suo seno una Commissione per la toponomastica della Liguria, la quale, grazie alla collaborazione della Commissione per la raccolta del materiale toponomastico italiano (residente, com’è noto, presso l’istituto Geografico Militare in Firenze), e sopratutto grazie alla buona volontà di solerti e benemeriti raccoglitori locali, ha già organizzato in gran parte del territorio ligure il lavoro di raccolta integrale dei toponimi d’ogni singolo comune. * Comunicazione letta alla XXI riunione della Società Italiana per il progresso delle Scienze (Roma, ottobre 1932). Significato ed importanza dell’indagine toponomastica nelle Riviere liguri 13 11 modo con cui la raccolta vien condotta, ossia con la precisa indicazione topografica, con l’esatta trascrizione fonetica, con largo corredo di riscontri e di osservazioni storiche, lascia sperare clie la sua progressiva attuazione, aprendo ai linguisti un campo d’indagine sinora quasi interamente inesplorato, gioverà non poco al progresso di questo genere di studi e permetterà di giungere a nuovi e proficui risultati. Più che far dei pronostici, che sarebbero pre maturi allo stadio iniziale dei lavori di raccolta, accennerò brevemente a qualcuno dei più importanti problemi d’indole generale, che sorgono ad un esame sommario dell’ambiente storico delle Riviere, ed alla cui soluzione potrà contribuire uno studio sistematico della toponomastica digure. Già nella preistoria, la regione, in massima parte montuosa, a riparo della catena appenninica e poi alpina, si rivela un’area etnicamente appartata, per evidenti motivi geografici, dalle grandi correnti migratorie e da ogni stretto contatto con popolazioni esterne : in condizioni dunque paragonabili per molti tratti a quelle dell’area alpina, che lia appunto fra i monti della Liguria la sua ultima appendice. Le popolazioni ivi stanziate all’inizio dell’età storica, sulla fede del catoniano ipsi linde or hindi smt, exacta memoriay avevano perduto ogni ricordo circa la loro origine; e, in mezzo alle molte induzioni fatte in proposito dai moderni, unico fatto certo resta che esse, residuo d’una entità etnica ben più vasta, erano state a poco a poco respinte e compresse in più ristretta area da successive migrazioni indoeuropee. Quivi però la configurazione geografica aveva fornito sicura difesa naturale contro ulteriori invasioni; nè agli Etruschi da oriente, nè ai Celti da settentrione e da occidente, venne fatto di infiltrarsi nelle valli della Liguria marittima, dove continuò staticamente eguale la vita precedente, insensibile ai rivolgimenti etnici che nel frattempo avvenivano nelle regioni circostanti. Il problema, delle origini liguri, che i moderni si sono finora invano sforzati di risolvere in maniera definitiva, diventa per noi, in difetto di ogni testimonianza storica, di natura essenzialmente linguistica. Non ci soccorre infatti che in misura minima· Parcheo logia, la quale non solo non stabilisce sicuri punti di contatto capaci d dar caratteri di omogeneità alla supposta primitiva unità ligure, ma offre un dato di natura disgregatrice nell’ambito della stessa zona rivierasca, poiché disegna un netto contrasto fra i Liguri centro-orientali, incineratoli, e quelli di ponente, costantemente inumatoli; il che indurrebbe ad accentuare vieppiù il valore geografico del termine Liguri, ammettendo che i primi siano di provenienza più recente rispetto ai secondi, o almeno che tra questi ultimi si fosse mantenuto più tenacemente vitale il substrato mediterraneo neolitico. Ogni ulteriore chiarimento spetta dunque alla linguistica, la 14’ Nino Lamboglia cui documentazione è in massima parte attinta dalla toponomastica ; ma è singolare che si sia spesso preteso di dar la prova perentoria dell’indoeuropeità o meno del cosidetto popolo Ligure, senza prendere come base le testimonianze offerte dal territorio che, come l'unico rimasto tale sino alla romanizzazione, presenta il problema della sovrapposizione dei vari strati in termini incomparabilmente più semplici, e può quindi fornire la meno incerta pietra di paragone nel contrassegnare come liguri determinate voci prelatine. Anche qui la possibilità di prestiti più o meno tardi dal celtico e da altre lingue viciniori resta tutt’altro che esclusa; ma una volta isolato con rigore di metodo dalle voci importate il nucleo fondamentale e più profondo della toponomastica prelatina, ne dovrà risultare una buona messe di materiale di studio, che renderà possibile esaminare la questione ligure da un punto di vista nuovo, forse più conclusivo dei precedenti. Ne riusciranno in ogni; modo ben più definite dì quel che non appaiano oggi le relazioni del ligure con le lingue del bacino mediterraneo, in particolare con l’etrusco, con l'iberico, col celtico stesso. Le condizioni geografiche, che avevano contribuito ad isolare storicamente i Liguri delle Riviere nell’età preromana, non cessarono di esercitare il loro influsso quando essi entrarono a far parte del nuovo mondo di civiltà creato da Roma. Gli scarsi allettamenti che il suolo roccioso offriva alPagricoltura, la natura montuosa ed impervia di gran parte del territorio fecero sì che solo le zone più viabili e piane della costa fossero intensamente romanizzate, sopratutto in relazione allo sicurezza delle comunicazioni fra l’Italia e la Gallia. La maggior parte del retroterra montano non accolse invece che assai tardi, e per spontaneo adattamento piuttosto che per introduzione diretta, gli elementi della nuova civiltà; non ne risentirono che in misura debolissima le solitudini delle ultime pendici alpine, ove per molti secoli ancora continuò a svolgersi una vita pastorale del tutto primitiva e segregata dai grandi centri d’irradiazione civile. Anche qui è Parcheologia, che allineando la massima parte dei suoi ritrovamenti lungo la linea costiera, offre sinora la documentazione più o meno particolareggiata di tale fenomeno ; ma potrà ad essa facilmente aggiungersi quella della toponomastica, qualora si studi con completezza la distribuzione e la densità degli strati prelatini, latini e romanzi nelle diverse aree. Appare d’ora la frequenza delle consuete formazioni in -ianum e delle voci comunque risalenti ad origini direttamente latine lungo la costa, mentre nell’interno delle valli non se ne hanno che esempi scarsi ed isolati. Xelle aree montane in genere, come pure nel settore rivierasco da Albenga al confine francese, che è quello rimasto linguisticamente immune dall’ondata delle innovazioni genovesi degli ultimi secoli e si trova in condizioni d’isolamento più di tutti privilegiate, la Significato ed impórtanza dell'indagine toponomastica nelle Riviere liguri 15 toponomastica è costituita in parte (la voci che sono patrimonio comune del tossico romanzo; ma accanto a queste vi sono anche assai densi i relitti lessicali che non offrono possibilità alcuna di spiegazione mediante il latino: alcuni di essi vanno a completare distribuzioni geografiche incomplete, mentre altri delineano la presenza di serie nominali affatto nuove, che, sistematicamente studiate accresceranno 'utilmente il numero delle basi preromane sinora meglio determinate e conosciute. Anche da questo lato è dunque chiara l’importanza che rivestirà uno studio condotto con unità di criteri e con metodo rigoroso, il quale possa usufruire d’una documentazione completa e di volta in volta riscontrata sulla pronunzia locale, possibilmente anche sulle fonti archivistiche che ne segnino l’evoluzione negli ultimi secoli. Ma a questo punto si profila pur chiara l’opportunità che la ricerca toponomastica proceda di pari passo con lo studio dei dialetti liguri, che, fatta eccezione per il genovese, sono ancora troppo parzialmente noti alla maggioranza degli studiosi, mentre la loro testimonianza fonetica è spesso indispensabile per chiarire senza titubanze i rapporti e lo sviluppo di molti toponimi, anche dei più antichi. Non resta quindi che augurarsi che alPatto pratico si renda possibile imprimere all’opera di raccolta intrapresa dalla Società Ligure di Storia Patria quel carattere tecnicamente linguistico, che è condizione essenziale per la sua valorizzazione totalitaria ai fini della storia. Nino Lamboglia. # L’ABBAZIA DI S. SALVATORE DI LIN ARI E LE SUE STRADE È ancora quasi del tutto inesplorato il cartario, esistente negli Archivi di Firenze o Pisa, dell’Abbazia di S. Salvatore e S. Bartolomeo di Linari, al passo ora detto del Lagastrello, una delle più antiche fondazioni monastiche erette a scopo ospitaliero sui valichi dell’Appennino, fra la valle del Po, la Liguria e la· Toscana. Ne spigolarono qualche notizia il Targioni-Tózzetti (x) e il Repetti (-2), dai quali sappiamo, in succinto, che l’Abbazia, la cui prima notizia si aveva da un diploma di Enrico IV a Ugo d'Este dell’anno 1077, dopo aver fiorito nel Medio Evo, con vasto predio e giurisdizione in diocesi di Luni e Parma, era stata devastata in età imprecisata da 'ima frana, in seguito trasformata in commenda e conferita a vari ecclesiastici della diocesi di Luni (Bolle 1477, 1508, 1589) final mente ed aggregata al Convento degli Agostiniani di Fivizzano (1583). Fra le chiese soggette al?Abbazia·, il Targioni Tozzetti ne ricorda una creduta di S. Maria di Bagnone, senza nominare le altre, di cui dice aversi notizia da un libro di ricordanze custodito dagli Agostiniani fivizzanesi. Di recente, un documento pubblicato dal Torelli recava una testimonianza dell? esistenza dell’Abbazia in età anteriore a quella del citato privilegio estense; il. testamento di un Giovanni prete, del 25 gennaio 1045 « actum infra claustra monasteri sito Dinare de Alpe» (3). Finalmente, una mia pubblicazione ha messo in luce i pochi frammenti archeologici che rimangono dell’edificio abbaziale, cioè due bassorilievi romanici in arenaria rappresentanti, l*uno un milite armato di lancia, P altro un angue a due teste, impiegati disgiunta-mente come materiale da costruzione nel casamento rurale che oggi sostituisce iw, situ il monastero, e forse in origine appartenenti ad (1) Viaggi in Toscana, 2 ed. XI, 105. (2) Diz. st. top. della Toscana, 11, 701-2; v. anche, ivi, 520-21 8, v. Groppo S. Pietro (3) Torelli, Le carte degli archivi reggiani, 407-9 L’Abbazia di S. Salvatore di Linari e le sue strade 17 una medesima composizione figurata 0. Ritengo ora opportuno aggiungere, alle già note e divulgate, alcune notizie desunte dai cartari della Diocesi di Parma, nel qual versante sembra che ΓAbbazia abbia avuto il maggior nucleo delle sue organizzazioni ospitaliere e la massima parte dei suoi beni. Il Capii;ulus seu Rotulus decimarum alla dioceisi parmense deliba. 1230 (-j,sotto il titolo delle chiese esenti, elenca come segue le dipendenze del Monastero di S. Bartolomeo di Linari « quod est in episcopatu lunen&i»: — ecclesia S. Nycholai de Raygosa; eccl. de Cavertie, que est in plebe Sassi; eccl. de Banono de SaLdmiß in plebe Tr ever setoli; eccl. S. Stephani da Reclo que est in plebe For-novi vel burgi S. Donini; peci, de Arzenoldo que est in plebe San Salvatoris de civitate. L’identificaziìone di queste) chieise è facile. 1) La chiesa di S. Niccolò de Raygosa è quello di Rigoso, a breve distanza dall’Abbazia, lungo la strada principale di valico che ancor oggi conduce a Parma. La chiesa uscì dall’obbedienza del Mo* nastero prima della seconda metà del secolo XIV, giacché un elenco delle chiese parmensi (in questa data la comprende fra le cappelle dipendenti dalla pieve di S. Vincenzo. 2) La chiesa de Caverile è l'antica parrocchiale di Capriglio che, nel sec. XVI, prese il nome attuale di Casagalvana {de domo Galvanorum). Nell’estimo parmense delFa. 1354 (3) non è più traccia della sua appartenenza al monastero di Linari; figura fra le filiali della pieve di Sasso. 3) Banonum de Saldinis è il nome antico dell'odierno Bannone, presso Traversetolo, da cui partiva una strada di primaria importanza verso il valico di Linari. Nella Ratio decimarum del 1299 (4) la chiesa non è più elencata fra le dipendenze di Linari. Però un successivo atto del 1342 la riunisce con l’ospedale di S. Stefano del Recchio e con la chiesa di S. Salvatore in città, quae immediate subsunt di-cto Monasterio (5). (1) Dalla pieve di Venezia all'Abbazia del Santo Salvatore di Linari, Parma, tip. Bodoniana, 1929 (Bibl. della Giovane Montagna n. 71). L'ipotesi affacciata in questo scritto che la figura armata rappresenti un S. Giorgio sembrami ora non confermabile. Così pure è da rettificarsi, come si dimostra nel presente articolo, l’identificazione della chiesa di Santa Maria di Bagnone con Z’ecc. de Banone segnalata dai documenti dell’Abbazia. (2) ed Schiavi, La diocesi di Parma, 1925 pp. 25 s. (3) o. c. 875. (4) o. c. 385. (5) Targioni-Tozzetti, o'. c. 16G. L'atto di cui trattasi indica uno dei pochi nomi conosciuti della serie degli abati di Linari : Petrus de Panicali; apparteneva probabilmente alla casata signorile segnalata con questo predicato da docc. del sec. XII e posteriori, congiunta con quella dei signori di Groppo S. Pietro, castello prossimo all’Abbazia, e con altre diramate dal ceppo dei domini de Maregnano, provenienti da Moraçnano in Val d’Enza. I.a storia di questo gentilizio feudale documenta, dunque, uno dei principali itinerari del valico di Linari (cfr. FoBMENTlNl, Delle pù. antiche signorie fendali nella valle del Tavarone, in GSLun. VII. 18 Ubaldo Formentoni 4) Il priorato di Stefano del Reechio, nei pressi di Medesano, manteneva un ospizio per i pellegrini della via F ranci gena ; era forse la più importante fra le filiali dell7Abbazia di Linari.; nella ritata Ratio Decimarum del 1299 figura indipendente dal Monastero, ma nel 1342, come innanzi s’è detto, gli appartiene di nuovo. 5) La terra di Arzenoldo prese il nome di Roccabianca, da Pier Maria Rossi, nel 14G0 ; il titolo parrocchiale della vecchia chiesa di S. Bartolomeo, che era stata dei monaci di Linari, fu trasferito nella nuova istituita da quel feudatario. La Ratio decimarum del 1299 esclude la chiesa di Arzenoldo dalle dipendenze di Linari, nè alcun posteriore documento dell’Abbazia la riguarda. G) L’eccl. S. Salvatoris in civitate, cioè in Parma, è ancora compresa· fra le «ecclesiae monasterii de Linario» nella Ratio decima-rum del 1299 e nella carta del 1342; poscia è elencata tra le parrocchiali della città; fu soppressa nel. 1G34. Ben poco sappiamo delle possessioni e dipendenze del Monastero della diocesi di Luni. Dai documenti sopra citati riguardanti la-chiesa di Bannone, si rileva chiaramente che, a questo luogo, in vai Enza, e non a Bagnone, in Lunigiana, si riferiscono le memorie indicate dal Targioni-Tozzetti, e quindi anche la carta del 1342 segnalata dal medesimo autore e dai Repetti. Esclusa- dal numero delle chiese dipendenti da LinaHi, la detta chiesa, non resta da registrare in ILunigiana che la chiesa de Felegaria, inscritta nell’estimo del sec. XV, edito dallo Sforza, a seguito del Monastero di Linari. La cura de Felegaria era la parrocchiale di Groppo S. Pietro, soppressa nel 1710 ; i suoi beni, come antichi possedimenti dell’Abbazia, furono devoluti agli Agostiniani di Fivizzano (*)· H Repetti accenna inoltre ad una lite fra la comunità e l’abate commendatario di li-nari, pendente in Roma nel 1543, a motivo di una cappella esistente nel piviere di Offiano. Il monastero di Linari, col titolo di Abbatia S. Salvato?is vn Linaria, appare di patronato estense nel documento citato del 1077. Fu dunque una fondazione degli Estensi, o degli Obertenghi, o dei più antichi e finora sconosciuti autori di questa dinastia. Restano pure ipotesi l‘identificazione, proposta dal Muratori, d’essa Abbazia con il monastero di S. Salvatore « in Scandriglfia », fondato circa il 970 da un marcheise' Oberto (obertengo?), per sollecitazione di S. Domenico Abate (2), e quella da me suggerita con l'abbatia de Valeriana, ricordata in un diploma di re Ugo del 938 (3). * * * I documenti sopra indicati, dal secolo XIII al XIV, descrivono (1) Repetti, o. c. 520-21, s. v. Groppo S. Pietro. (2) MUß. A. E. 1, Γ60. (3) La tenuta curtense degli antichi marchesi della Tuscia in V, di Magra e V. di Taro, in ASPar. XXVIII. L’Abbazia li S. Salvatore di Lixari e le sue strade 19 il progressivo sfasciamento del. patrimonio e della giurisdizione del-J Abbazia, la quale, nei secoli più lontani del Medio Evo, aveva 1 orse 'ima organizzazione fondiaria e ospitaliera più estesa di quella che non dimostrino le carte da noi conosciute. Comunque risulta dai documenti stessi come ΓAbbazia avesse diramato le sue filiali lungo tutte le strade medievali che dalla pianura del Po valicavano, per Palpe di IJinari, nella Tuscia, secondo un’espressione geografica tuttora viva nei luoghi. L’ubicazione del priorato ed ospedale di S. Stefano del Recchio, presso Mèdesano, il cui ufficio d’assistenza ai viandanti è ancora ricordato e rimpianto dalle popolazioni, nel 1441, al Patto della sua soppressione (!), dimostra che la strada di Linai! si collegava di rettamente colla via francigenat formando, a quanto io credo, una scorciatoia d’essa, diretta a Lucca per via interna, senza toccare Luni e Marina. Lo stesso raccordo, in età molto più remota di quella a cui giungano i documenti dell’Abbazia, si rileva dall'ubi-cazione delle tenute che il Vescovo di Luni aveva in territorio parmense. Sembrami infatti, che ad una tenuta prossima all’Abbazia di Linari, nel versante parmense, alluda il noto diploma ili Ottone II0 del 981, concedente al vescovo Gotifredo, fra l’altro, in comitatu parmensi corticellam una\m que dicitur LinaricJum. E mentre la chiesa di S. Giorgio positam in loco qui dicitur Varianum, il qual vocabolo segue immediatamente al precedente nel medesimo diploma, non è da identificarsi, come si ritiene comunemente, con la chiesa di Varano, nel versante lunese, che porta al· antiquo il titolo di S. Nicolò, ma con la cMesa di Varano dei Marchesi, nel territorio di Borgo S. Donnino, ricordata, col titolo di S. Giorgio, nella Ratio Decimarum del 1299 più volte citata e in molte altre calle parmensi. Anche nei documenti vescovili lunesi del secolo X, dunque, il passo di Linari sembra ricollegarsi col territorio percorso dalla via fra/ncigena. Come strada facente capo a Parma, quella, di Linari non lia mai perduto la. sua importanza; a questo itinerario corrispondevano le tenute dell’Abbazia, in Rigoso, in Capriglio e nella città di Parma. Non credo avesse minore importanza un altro percorso che dal valico di Linari conduceva lungo la valle delPEnza a Traversetolo; itinerario segnalato dalla tenuta dell’Abbazia ;in Bannone, e, indipendentemente dal predio abbaziale, da un documento del 1064, nel quale si collega Traversetolo con l’Aulla, cioè con uno dei capi della via di Linari nel versante tirrenico (2). Da Traversetolo le strade porgevano al nord, nella Lombardia orientale e nel Veneto e, più vicino, a Reggio. (1) Schiavi, o. c. 150, s. v. Medesauo. (2) DhEi, Le carte degli archivi parmensi, 11, 25S (doc. 11. 112). 20 Ubaldo Formentoni Men noti sono i documenti della strada di Linari nel versante lunese, lungo la valle del Taverone; i più antichi documenti ch’ione conosca sono gli atti malaspiniani, dei primi del trecento, che riguardano i pedaggi di Licciana ( i). Nel secolo XVII la strada che da Linari scendeva a Licciana ed all’Aulla era segnalata dai ministri di Toscana al Granduca come la principale arteria per il transito del sale dalla marina genovese alla Lombardia sul quale commercio s’innestava un vivissimo scambio di merci varie; con lo acquisto del marchesato di Licciana, lungamente, invano, tentato, ii governo granducale intendeva chiudere questo afflusso naturale per deviare ed accentrare i traffici transappenninici a Fivizzano (2). È probabile che la strada di Linari fosse, da tempo immemorabile, e forse già dall’età romana, una via salaria ( 3) puntando essa, nel versante adriatico, agevolmente, su Parma, Tanetum (4), Lucerla (5)f Brescello, cioè su tutti i nodi stradali della inedia valle del Po. Ubaldo Formentini. (1) Nell’inventario dell'eredità lasciata da 0'bizzo Malaspina. 22 giugno 1301, si ricordano, come beni indivisi fra i discendenti di Corrado l’Antico, i pe.daggi «pro strata Lizane» (ed. Branchi, Sopra alcune parlicolarilà della vita di Dante, Firenze, 1865, p. 43); questi pedaggi, insieme con (incili dell’Aulla e di ViJlafranca, furono acquistati per intero-dalla vedova del predetto marchese nel 1302 (o. c. ?7). (2) Relazione Landucci sulla convenienza dell’acquisto di Licciana, in Branchi, Lunigianrt feudale, 11, f>65. (3) Cfh Pl.lN Nathis. XXXI, 89. (4) L’itinerario per Tanetum, sarebbe indicato dalla strada medievale di Traversetolo. (5) Presso Ciano d’Enza; v. C1L, 10151016; non si sa se il nome odierno, ignoto ai geografi romani, corrisponda all’antico. L’ubicazione delle rovine indica un forum allo sbocco-della vai d’Enza; forse à uno dei foro inidentificati fra quelli che Plinio ricorda. RODI NEL MITO E NELLA STOBJA Asias euruchórou trip oliti naso/i pélas embolo naiontas Argliela sù/i aichmâ. Pind Ol, VII 18 - 19 Le prime notizie scritte che abbiamo sui Rodii, risalgono ad alcuni versi di Omero, i cui poemi però sono più da ammirarsi per la bella forma poetica che per la fedeltà storica. Due autori Rodii, Ergea. e Polizelo, ìli tempo posteriore scrissero una storia della loro patria, ma le loro opere, disgraziatamente, andarono per dute, e solo ne rimane qualche passo conservatoci da Ateneo. Perciò le fonti più antiche e più ricche si riducono per noi a Pindaro e Diodoro. Troviamo anche qualche breve notizia sparsa in altri .autori come Erodoto, Strabone e Plinio. Accingendoci allo studio della storia, specialmente del periodo più arcaico, ci troviamo dinanzi ad una abbastanza copiosa tradizione, formata da notizie numerose, ma sparse, contradditorie e confuse. Gli scrittori antichi ci dànno informazioni particolareggiate sulPorigine delle varie città, sui loro fondatori, sull’emigrazione dei popQli e perfino sui popoli pregreci, antichissimi abitanti della regione. Ma tutti questi scrittori, anche i più antichi, sono molto posteriori all’epoca di cui parlano. Le leggende Rodie che sopravvivono, sono inserite in una narrazione nella quale gli ultimi avvenimenti appartengono intorno al 1000 circa a. C., e la data dei primi può essere misurata solamente con la cronologia geologica. Che cosa dunque potevano sapere di positivo questi scrittori, senza Paiuto di una storiografia precedente, su fatti avvenuti secoli prima della loro epoca? Essi non potevano che raccogliere miti e leggende e ragionare per ipotesi; ma questi miti e queste leggende noi ]ion possiamo trascurarli, anzi dobbiamo tenerne gran conto, perchè la tradizione orale può aver conservato anche per millenni notizie autentiche, ed inoltre le ipotesi degli antichi eruditi, possono avere un fondamento, poiché essi disponevano di un materiale di controllo più vasto di quello pervenuto a noi. I miti e le leggende hanno sempre un substrato storico; solamente, in questi miti il significato primitivo è spesso stato osculato dai particolari che vi si sono sovrapposti colPandar del tempo. 22 Giulia Surra o è stato alterato dagli autori stessi, desiderosi di accordare insieme tradizioni discordanti o contradditorie. Bisogna quindi tener conto dei miti riferitici dagli autori, ma confrontarne le varie tradizioni, risalire attraverso queste per scoprire il nocciolo primitivo, separare gli elementi più recenti dagli antichi, la materia originale dalle sovrapposizioni elaborate dagli autori e tener conto inoltre anche degli elementi che possono esserci forniti dalle altre scienze : dalla geografia, dalla linguistica e dall’archeologia. La nostra isola è sempre stata chiamata in epoca storica Rodi (Rhodos) : nome che essa conserva ancor oggi e che fu assegnato anche alla sua capitale. Ma dalle notizie che ci tramandano gli antichi, risulta che essa fu prima designata con altri nomi. Leggiamo infatti in Strabone (*) : Ekaleito dé Rhódos próteron kaì Ofiousa, Stadia kaì Telchinis. Altri ci son fatti conoscere da Plinio (2) : Asteria, Etra, Trinacria, Corimbia, Poeessa, Atabiria, Macaria, ed Oloessa, infine il nome di Pelagia ci è rivelato da Ammiano Marcellino (3). Alcuni di questi non sono probabilmente che degli appellativi e non servirono mai a designare l’isola; l’antichità infatti era prodiga di epiteti : essa amava cercare i più propri per contrassegnare i caratteri distintivi delle persone e dei paesi. Ma perciò appunto questi nomi sono interessanti, perchè caratterizzano l’isola mostrandocela sotto vari aspetti. Il nome Ofiusa e quel- lo di Oloessa (Olóessa) sono messi in relazione coi numerosi serpenti che secondo la leggenda, infestarono Rodi in tempi antichissimi. Fu detta Trinacria (Trinakria) per la sua forma e Pelagia (Pelàghia) per la sua origine marina. Alla serenità del suo cielo ed alla sua felice posizione essa dovette i nomi di Asteria (Asteria) Etrea (Aithraia.) e Macaria (Makària) ed alla sua fertilità (Poiè = Erba) quello di Poeessa (Poièessa) quello di Atabiria le venne dal suo più alto monte (Atabyrion) e quello di Telchinis (Telchinis) dai suoi antichi abitanti. Quanto al nome di Corimbia (Korymbia) può derivare dalla sua altezza sul mare e dall’edera che produceva (Kó-rymbos - Sommità, grappoli d’edera) mentre quello di Stadia (Stadia) secondo alcuni è dovuto alla sua forma simile ad uno stadio, secondo altri deriva dalla parola fenicia Tsadia, cioè spopolata, come essa era nei primi tempi. Ma su tutti questi nomi uno solo finì col prevalere: Rodi. E di esso molte sono l’etimologie che si danno : è da rifiutare l’opinione di coloro che lo fanno derivare da un bottone di rosa, tro- (1) Stbabone, XIV 2. (2) Plinio, V. 36. (3) Ammiamo, XVII 7. Rodi nel Mito e nella Storia 23 vato quando si gettavano i fondamenti «di Lindo. Altri (*) lo fa derivare dalla parola caldea larod che significa serpente (parola che sarebbe stata pronunciata dai fenici Rod) e la mette in relazione col nome greco O fi usa. Poiché il nome greco significa rosa, l'etimologia pià comunemente accettata è quella di coloro che fanno derivare il nome dell’isola dalle rose e dicono, a sostegno della loro opinione, che le rose .vi crescono naturalmente e si trovano figurate nelle antiche monete rodie. Frequentissimo è infatti l’uso nelle monete antiche di simboli vegetali ed animali che ritraggono le più spiccate caratteristiche del paese. Ma nel caso di Rodi l'ipotesi etimologica non ha sicuro fondamento, perchè non si può affatto riconoscere una rosa nel fiore scolpito sulle monete, ed inoltre questa pianta prospera nell’isola, se coltivata, ma non vi cresce naturalmente. Il Guérin (2) riconosce col Dapper (3) nel fiore scolpito sulle monete il fiore del melograno (rhoion o rhoà in greco moderno rhoidion) ed avanza l’ipotesi che sia questa la vera etimologia del nome. Preferibile a tutte è la spiegazione del Biliotti; che considera Rhodos come abbreviazione di Rliododàfnè, confortando la sua asserzione non solo colla forma del fiore sulle monete, ma anche col fatto che numerosissimi lauri-rosa crescono naturalmente nell’isola, formando una bellissima bordura su tutti i corsi d'acqua : « Rappelons enfin — egli dice — que le laurier est l’arbre d’Apollon et Rhodes son ile bienaimée, dont les premiers habitants furent ses fils, les Heliades et que la Mythologie donne cette ile pour séjour a la nymphe Rhodon, une favorite du Dieu. Ainsi la nature, la mythologie et Γhistoire concourent à justifier cette etimologie du nom de Rhodes : Rliododafnè. i4) Studiando la· storia di Rodi, una domanda si presenta subito spontanea alla nostra mente: quali furono i suoi primi abitanti? La questione delle origini di un popolo appartiene essenzialmente al dominio della mitologia ; è una di quelle questioni che l’umanità si è posta in tutte le epoche ed a cui nell'età più antica rispondono i poeti coi miti. La prima colonizzazione di Rodi ha dato luogo a parecchie versioni. La tradizione seguita da Pindaro fa degli Eliadi, i figli del Sole, i primi abitanti: Rodi — racconta l’antica leggenda — era figlia di Afrodite (il padre non è nominato : gli Scoliasti dell’Olim-pica VII nominano Poseidone o lOceano; l’affermazione che fosse (1) Boon art, Gcoqr. sacra, pag. 308 - Cfr. Guérin - Voyage dans l’île de Rhodes et description de cotte ile. Paris 1856, pag 51. (2) Guerin, Op. cit., paç. 51 (3) Dapper, Description exacte des îles de l’Archipel Amsterdam 1703, pag. SS. (4) Biliotti et Oottret, L'île del popolo. Fin dai tempi più antichi le tre città di Rodi erano unite con Cos, Cnidos, ed Alicarnasso a formare la dorica Esapoli, il cui punto centrale era il tempio di Apollo Triopio, presso Pomonimo promontorio sulla costa caria. Era una lega religiosa, ma da essa sorse un’alleanza politica, specialmente diretta contro gli stati stranieri del continente. Nell’occasione della festa di Apollo, i cittadini delle varie città si incontravano insieme ed avevano luogo gare febbraio 1933 Giovanni Dcscalzo presenta al lettore una «Chiesina romita sulla cuspide del Monte Orsena». fc il Santuario che la Liguria ha dedicato ancli’essa alla Madonna di ( araA aggio· sui monti chiavaresi. Il Descalzo ne riassume la storia ed illustra le bellezze panoramiche della località. * * * Un garbato articolo sui rapporti fra i genovesi ed i corsi ha dettato nella «A Muvra»> del 10 febbraio Alessandri di Chidazzu. Lo scritto porta il tìtolo: «Corsica e Genova». * * * In «Giornale (li Genova» del io febbraio 1933 è annunciato un recentissimo volume di F. Ernesto Morando dal titolo «Aneddoti Genovesi» e ne viene pubblicata una pagina riguardante Michele Canzio. * * * Vn vecchio genovese prosegue in «Lavoro» del 32 febbraio 1933 ad evocare «Ricordi d’un tempo che fu» scrivendo ora di Campetto e di tipici figure di quel centro d’affari, antiche ormai di oftire un cinquantennio. Spigolature e Notizie 59 Arva scrive in «Giornale di Genova» del 32 febbraio 1933 una viva pagina di vecchio folklore genovese sotto il titolo «Aule insegne di Lampionla -Bucicca E C.». * * * Sulla chiesa dl «San Donato», una tra le più vetuste di Genova e meglio ridate alle antiche forme da recenti restauri ha una colonna (non firmata) il «Secolo XIX» del 33 febbraio 1933. * * * Γ «Lanterna magica genovese» è il titolo d’uno scritto a firma Jaìx in «Lavoro» dei 14 febbraio 1933. Recensisce ampiamente il recente volume di E. J1\ Morando «Aneddoti Genovesi» e spigolando tra la ricca messe adunata dal Morando ne offre un saggio al lettore. * * * Giovanni Pansùni‘scrive su «Sampiero di Bastelica» nel «Telegrafo» di Livorno del 15 febbraio 1933. * * * Nel fase colo del 35 febbraio di «Corsica antica e moderna», Luigi Venturini scrive su «La conquista francese della Corsica». Laiiicolo è Scato ii-pübbîicato da «Il Telegrafo» di Livorno del 22 febbraio 1933. • * * Su «I Tornei di Carnevale nel passato » in Genova scrive G. Florio in «Secolo XIX» del 30 febbraio 3933. F .1/ Possi scrive in «Giornale di Genova» del 10 febbraio 1933 sotto il tìtolo «Un Lunario Genovese» e rifacendo la storia dell’almanacco genovese, *11 genere tratta di proposito del «Lunario Genovese di Ore Leo», un almanacco recènte edito da Eugenio Boccalone anche quest’anno, c-h’è il secondo di sua vita. * * · In «Nuovo Cittadino» del 38 febbraio 1933 Remo Senato Petitto scrive di «Genovesi in Romania». Il ricordo di Genova vive ancora nelle tradizioni, nelle leggende popolari in molti luoghi di quella regione. Ï/A. ricorda anche monumenti di cui tuttora esistono vestigia, come la fortezza ligure di Oloma. Vito Vitale scrive in «Giornale di Genova» del 1S febbraio 1933 di «Ge-novv cent’anni or sono» evocando figure cospicue del tempo, come Fabio rallavicino che fu amico di Carlo Alberto e ricordando avvenimenti che al tempo ed all’opera del Pallavlclno si ricollegano. Lo scritto che Lucio d'Ambra pubblica in «Corriere della Sera» del 1» febbraio 1933 col titolo «L'avventura sarda d'Onorato di Balzac» tocca anche, ϋΟ Spigolature e Notizie un po’ a lungo, del soggiorno genovese del romanziere e degli amici che v'ebbe, il Paretoi e più il negoziante Giuseppe Pezzi col quale il Balzac sperò invano di contrarre alleanza a scopo di arricchirsi con lui nei commerci. * * * In «Lavoro» del 19 febbraio 1933 Un vecchio genovese scrive sotto U titolo : «Da Campetto alla Casa di S. Giorgio» evocando ricordi di cinquantanni addietro relativi al commercio ed al Porto di Genova. * * * In «Secolo XIX» del 22 febbraio 1933 JL ha un breve scritto dal titolo «Cornigllvxo» che riassume un po' della storia del grazioso borgo di recente aggregato a Genova. * * * « Passeggiata giapponese a Genova» è il titolo d’uno scritto di Cesare Mettilo in «Corriere della Sera» del 23 febbraio 1933. V’è ricordato il Museo Chiossone d’arte giapponese creato da Edoardo Ch’ossone ed illustrato, dopo del Pica, da Orlando Grosso che dedicò all’arte giapponese due importanti volumi. * * * In «Corriere della Sera» del 23 febbraio 1933 è ampiamente recensito, a firma g. ven. e sotto il titolo «La difesa di Pasquale Paoli» un recente volume edito dal Giusti a Livorno: La conquista francese della Corsica da un giornale dell’epoca, * * * Roberto Lopez scrivendo in «Secolo XIX» del 23 febbraio 1933 su «L amicizia tra l’Italia e l’Egitto» ricorda Ugolino e Vadino Vivaldi, i due genovesi arditi che, conteso agli stranieri dagli Egizi il passaggio pel Mar Rosso, tentarono giungere direttamente all’india per lo stretto di Gibilterra. Di Renzo Ricciardi è uno scritto pubblicato dal «Giornale di Genova» del 23 febbraio 1933 col titolo: «Nicoletta al balcone». Narra come il Goldoni a Genova prese moglie e vinse al gioco del lotto. Lo scritto è ricco di rievocazioni di quel tempo e dei personaggi che l’animarono. * * * Il «Secolo XIX» del 24 febbraio 1933 dà conto, sotto il titolo «lì* carteggio Ricotti» d’una notevole raccolta testé donata al Comune di Genova dall’erede di Mauro, Carlo ed Ercole Ricotti e comprendente un quattromila docu menti tra i quali qualcuno interessa particolrmente la nostra città per voci e notizie riguardanti uomini politici genovesi. * * * Uno scrittore anonimo in «Secolo XIX» del 24 febbraio 1933 ricorda brevemente «Le origini e i primi sviluppi del Porto di Genova». Spigolature e Notizie 6L * * * In un brioso articolo pubblicato dal «Secolo XIX» del 24 febbraio 1933 Amedeo Pescio scrive de «La Vaccinia», un Poema di sei canti, in ottave, del genovese Gioachino Tonta ispirato alla scoperta dell’Jenner e dedicato a Gioachino Murat. * * * Nello scritto «Polenta per tutti λ Ponti» di Renato Compar ini pubblicato in «Secolo XIX» dei 25 febbraio 1933 è colorita nella rievocazione che se ne celebra ogni anno un’antica leggenda del borgo di Ponti in quel di Acqui che risale ai tempi aleramici ed al dominio ch’ebbero in quel luogo i Del Carretto signori di molte terre nell’Alto Monferrato. * * * Amedeo Pescio pubblica in «Secolo XIX» del 20 febbraio 1933 un’articolo dal titolo «Banchetto al Re di Cipro». Lo scritto si riferisce all’epoca in cui Giacomo di Cipro fu prigioniero in Genova, poi liberato appena successo nel trono e festeggiato con un banchetto, offertogli dal Doge, che il Pescio si sforza di ricostruire nella sua magnificenza. * * * In continuazione dell’articolo apparso nel precedente numero del 24, il «Secolo XIX» pubblica nel foglio del 20 febbraio 1933 un altro scritto sul Porto di Genova attraverso la sua storia, sotto il titolo «Dai Conservatori del Mare al Consorzio Autonomo». Lo scritto, come il precedente, è anonimo. * * * In «Giornale di Genova» del 28 febbraio 1933 Giovanni Descalzo scrive d’«ÜN rifugio di Pirati». La Cala di San Fruttuoso di Capodimonte, la «Chiappa» ed altri pittoreschi luoghi imitimi attorno al Promontorio di Portofino vi sono brevemente illustraci nelle bellezze e nelle memorie. * » * Interessante pel ricordo di curiosi tipi scomparsi che impersonarono caratteristiche maschere genovesi, come il Pessale che era un «Geppin» insuperabile, è il breve scritto «Veglioni» pubblicato, a firma P, in «Secolo XIX» del 28 febbraio 1933. * * * Ne «Il Raccoglitore Ligure» del febbraio 1933 Umberto V. Ca t assa descrive «Una villeggiatura genovese di cent’anni or sono»’. Trattasi della «Lomellina», tra Gavi e Novi (Ora dei Raggio) resa illustre specialmente dal Gagliufli, sul quale più a lungo l’A. s’indugia. * * * «Uno scotizzo del seicento» è il titolo d’uno scritto di Stélla Nera ne «Il Raccoglitore Ligure» del febbraio 1933. V’è parola della Congiura del medico Leveratto (scotizzo è voce dialettale ch'equivale a congiura) contro il Governo oligarchico attorno al principio del secolo sestodecimo. 62 Spigolature e Notizie * * * Su «La Chiesa di S. Cosimo e i barbieri-chirurghi» scrive Giuseppe Porti-gliotti ne «Il Raccoglitore Ligure» di febbraio 1933. Dalla vetusta chiesa dedicata a due santi medici e dei medici protettori, Cosimo e Damiano, l’A. passa a studiare la Corporazione che ivi ebbe sede e luogo per le sue speciali funzioni di, culto. * * « «Liquidatori di avarie, avvocati et similia» ricorda «Un vecchio geno\ ese» in «Lavoro» del 1« marzo 1933 evocando figure e costumi di cinquanta e più anni addietro. * * * Il «Corriere Mercantile» del 1° marzo 1933 offre una recensione dei gustosi «Aneddoti Genovesi» testé pubblicati da E. F. Morando coi tipi del loimiggini. ♦ * * Lo scritto di arra (in Giornale di Genova del 2 marzo 1933) col titolo «La vecchia guardia dell'obbiettivo» che passa in rassegna i fotografi ambulanti che giravano per Genova ed ora sono scomparsi, interessa iJ nostro folklore coi suoi ricordi di tempi che se ne sono andati. * * * «Le Caverne dei Balzi Rossi » in quel di Ventimiglia, dove si rinvennero i resti della più antica vita preistorica nella Liguria, sono illustrate da (rmega'in Secolo XIX» del 2 marzo 1933. Facendo seguito ad altro suo scritto pubblicato nel numero del 2o febbraio collo stesso titolo, Amedeo Pescio scrive ancora, in «Secolo XIX» del 2 marzo 1933, sul «Banchetto al Re di Cipro«». L’A. enumera e ricorda figure, specialmente muliebri, relative all’epoca ed all’avvenimento di cui nel precedente scritto. * * * In «Giornale rii Genova» del 3 marzo 1923 F. M. Rossi, sotto il titolo «Da Piazzetta Senarega a Principe» riassume trent’anni di vita commerciale della Genova oramai vecchia. Tipi caratteristici, ora scomparsi, figurano nello scritto. * * « In «Nuovo Cittadino» del 3 marzo 1933 Emilio Penco scrive su «La prigioni* λ Savona di Papa Pio VII». Giuseppe Foches in «Giornale di Genova» del 4 marzo 1933 scrive sotto il titolo: «Al cippo napoleonico di Montenotte» una pagina intonata ai ricordi della famosa battaglia che rese celebre il luogo. Spigolature f. Notizie 63 * * * Cesare Meano rievoca glorie e bellezze della Dominante in «Corriere de1.la ■Sera» del 4 marzo 1933 ricordando un piccolo libro ch’ha oggi oltre cento anni e cioè le «Memorie storiche del Banco di S. Giorgio» pubblicate nel 1832 •da Antonio Lobero. Lo scritto ha per titolo: «I banchieri dei Re e dei Papi». * * * Lo scritto «Si parla di schiavi» da Amedeo Pescio pubblicato in «Secolo NIX» del 7 marzo 1933 continua i due precedenti (2G febbraio e 2 marzo) cli’hanno per titolo «Banchétto al Re di Cipro». Vi si accenna al traffico degli schiavi che fiori pure a Genova e l’A. rileva anche dei prezzi che si pagavano pei vari capi. * * * In «Giornale di Genova» del 9 marzo 1933 U. d. L. scrive col titolo «Piloti all’arrembaggio» di uomini del nostro vecchio Porto disparsi da oltre un cinquantennio. * * * G. M. traccia in «Secolo XIX» del 9 marzo 1933 una breve storia di «Apparizione», comunello ora annesso a Genova. * * * Il Canonico Mussi tratta brevemente di «Le Vicinie e le Vicarie nell’epoca medievale» in «Nuovo Cittadino» del 9 marzo 1933, specialmente in riguardo alla Lunigiana. * * * «Il più bel parlare del mondo» è uno scritto di Renzo Ricciardi in «Corriere Mercantile» del 13 marzo 1933. È una esaltazione dei pregi del dialetto genovese che secondo l’A. risuonò anche sulla bocca di Garibaldi e di Mazzini. * * * Sotto il titolo «Nervi» e con la firma A. G. il «Secolo XIX» del 14 marzo 1933 pubblica un breve articolo illustrante la storia e le bellezze della graziosa cittadina teste annessa a Genova. * * * Lo scritto brioso (a firma ermo) pubblicato in «Lavoro» del 15 marzo 1933 col titolo: «Un giornalista travestito... da pompiere» tratta un po’ della vita del nostro Teatro Massimo, d’oggi e di ieri. * * * Fra Ginepro da Pompeiano scrive in «Nuovo Cittadino» del 15 marzo 1933 su «Padre Semeriä collantino». Collantino, cioè di Col di Rodi. Lo scritto evoca la figura dello scomparso, e’la storia della terra ligure che gli diede i natali. 64 Spigolature e Notizie * * * «Virginia Centurione Bracelli» dama genovese e fondatrice dell Istituto clie fu poi detto delle Brignoline è ricordata da Paolo da Milano in «Nuovo Cittadino» del 15 marzo 1033. * * * Lo scritto : «Il buco dei corvi e i suoi misteri» da. Giovanni Descalzo pubblicato in «Giornale di Genova» del 16 marzo 1033 rifà la storia della pesca attorno! al Promontorio di Portofìno illustrando specialmente la famosa Punta Chiappa e rievocando leggende locali. * * * In «Corriere Mercantile» del 1G marzo 1033 Domenico Castagna ìende conto di «Vestigia romane a Genova». L’A. distingue tra stoiia e leggenda e restringe le costruzioni romane 'in Genova a due sole : l’Acquedotto e il cosidetto Palazzo di Agrippa. * * X «Ν S della Misericordia e il suo culto in Genova» è il titolo di un articolo di P. Felice Testino A. S. in «Nuovo Cittadino» del 18 marzo 1033. Prima che sotto il titolo della Guardia la Madonna fu a lungo patrona delle liguri terre sotto questo titolo che è illustrato dal Testino. Ligustico Ponentino firma uno scritto sul «Corriere Mercantile)) del 18 marzo 1033 ch’è una recensione del recente volume di Stefano Rebaudi «Castel Vittorio, già Castel Franco». Lo scritto ha per titolo: «Un lembo suggestivo ed ignorato della Biviera di Ponente» e descrive i resti medioevali del luogo montano e pittoresco. ♦ * » Di Arrigo Fugassa è lo scritto «Notturno tragico in Genova cinquecentesca» pubblicato in «Corriere Mercantile» del 18 marzo 1033. È una rievocazione della congiura fliscana fallita colla morte di Gian Luigi e segui a dalla rovina dei Freschi. * * * In «Mediterranea» di Cagliari del marzo 1033 D. F. Tencajoli scrive su «Napoleone Buonaparte a Malta e la congiura del corso Guglielmo Lorenzi contro i francesi. APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Studi e scritti su G. Mazzini pubblicati all’estero G. F. H. Berkeley, Italy in the Making : 1815-1840 Ed. Cambridge University τ * 1932. Iu una saccinta storia delle lotte per la nostra indipendenza dal Congresso di Vienna all& Riforme, l’a. rivendica al M. il posto che gli spetta, di animatore e creatore primo dell’unità italiana. --, Una villa a Genova elie fu abitata da Giuseppe Mazzini messa all’asta, in «Il Giornale d’Oriente.)), Alessandria d’Egitto, 12 gennaio 1933. Si fa noto che la villa Posalunga è stata posta all’asta e che «la cittadinanza di Ge^ nova si augura che la storica villa sia acquistata da un ente pubblico». La stessa notizia con lo stesso commento fu pure pubblicata da «Unione» di Tunisi del 14 gennaio, da «Comoedia» di Parigi del 21 gennaio e dal «Progresso» Italo-Americano» di New-York del 26 gennaio 1933. Leon Trkich, Deux patriotes Italiens, in «Courrier des Etats Unis», New-York, 24 gennaio 1933. L’a. prende lo spunto dell'erma eretta in memoria dei fratelli Bandiera per rievocare le figure dei due martiri della fede mazziniana. Mario Missiroli, Il barone di ferro, in «Messaggero degli Italiani», Costantinopoli, 26 gennaio 1933. Il M. recensendo il volume del Puccioni, già segnalato, si sofferma ad esaminare l’influenza che il Mazzini ebbe sull’opera del Ricasoli. L’articolo è stato ripubblicato da «Il Giornale d’Oriente» di Alessandria d’Egitto del lo febbraio 1933, __f La Villa di Mazzini monumento nazionale?, in «Unione», Tunisi, 9 febbraio 1933. Si propone di dichiarare la villa Posalunga monumento nazionale. Lo stesso periodico il 15 febbraio dà notizia che la villa è stata acquietata dal Comune di Genova. __f Italy in the Making, in «Irish Times», Dublino, 11 febbraio 1932. Recensione della monografìa del Berkeley, già segnalata. W. J. WItaly in the Making, in «Irish Independent», Dublino, 20 febbraio 1933. Succinta recensione del volume del Berkeley, già segnalato. La stessa opera fu recensita da Sir John Marriott nel «Sunday Times» di Londra del δ marzo 1933. 66 Bibliografia Mazziniana G. D.. Les artisans de VItalie Moderne, in «La Bourse Egytienne», Cairo 20 febbraio 1933. Nel numero unico apprestato daU’effemeride egiziana in occasione della visita dei Reali d’Italia in Egitto son rievocate le figure più fulgide del nostro Risorgimento e fra queste, naturalmente in prima linea, quella del Mazzini. --, La villa dove Mazzini visse fanciullo viene acquistata da Genova, in «Corriere d’America», New.-York, 27 febbraio 1033. Si dà notizia che la Villa Posalunga fu acquistata dal Comune di Genova. G. W., Cavour di Panzini, in «Monde», Parigi, 4 marzo 1933. Succinta recensione del volume del Fanzini già segnalato. Scrive l’a. che si poteva attendere dal Panzini «une étude plus attentive du rôle- de l'œuvre des hommes tels que Gioberti et Mazzini dont les noms dominent cette époque, au moins au même titre que celui de Cavour. M. Panzini se borne à constater que Gioberti était né dans la maison qui se trouvait en face de celle où vint au monde Cavour, et veut voir dans ce fait, je ne sais quel présage mystique pour J’avenir de la Liberté italienne. Quant à Mazzini, il reste tout le temps \olontairement évasif, quelquefois injuste.» --, Italy in the Making, in «Times Litterary Supplement» London, 20 dicembre 1932. Ampia recensione della monografia del Berkeley segnalata. Opere e studi su G* Mazzini pubblicati in Italia Antonio Monti, Lettere inedite alle patriote lombarde, in «Corriere della Sera», Milano, 2 gennaio 1933. Il Monti pubblica, commentandole, varie lettere di Mazzini ad Angelina Fondi, Carolina Foldi Raimondi, Carolina Varese, Marianna Locamo ed alle Sorelle dell’Associazione Emancipatrice di Milano. Mario Puccioni, TJrn lettera inedita di Giuseppe Mazzini alla cugina Boccardo, in «Regime Fascista», Cremona, 3 gennaio 1933. Il P. pubblica una lettera del M. non datata, ma posteriore al 1848 ,alla cugina Antonietta Boccardo. Il documento, pur non apportando luce nuova sulla vita del Mazzini, t tuttavia importante. Mario Puccioni, Tre lettere inedite di G. Mazzini e di Goffredo Mameli, in «Regime Fascista», Cremona, 18 gennaio 1033. Il Puccioni ha rintracciato tre importanti lettere nell’Archivio Cini, che puoblica illustrandole. La prima del Mazzini al Mameli del lo ottobre 1848, la seconda del 0 ottobre 3818 ancora al Mameli, la terza del Mameli alla madre da Roma del 5 aprile 1849 Giuseppe Fonterossi, L’ultimo episodio del dissidio fra Mazzini e Garibaldi, in «La Stirpe», Roma, gennaio e febbraio 1933. Il Fonterossi ha dettato uno studio assai interessante sulle cause che inasprirono il dissidio fra Garibaldi e Mazzini. È assai importante per l’argomento trattato dal F., la lettera inedita del Mazzini all’Eroe del 21 aprile 1867, ch’egli pubblica e commenta. Bibliogba fia Mazzi ma n a 67 Artìcoli vari in Riviste e Giornali Lina Maddalena, Giuseppe Mazzini e le vicende del 1848, in «Il Movimento letterario», Napoli, maggio 1932. Appassionata difesa dell’opera svolta da4 Mazzini durante i fortunosi eventi del 1848, contro i detrattori contemporanei e le incomprensioni dei critici d’oggi. L’articolo è stato ripubblicato dal «Corriere Padano» di Ferrara del 15 marzo 1933. Carlo Cecchelli, Note documentarie sui Pistrucci, in «Roma», ottobre 1932. Il C. pubblica un’interessante memoria inedita di Angelo Pistrucci, che porta nuova luce sui ben noti seguaci di Mazzini. Alfredo Obertello, Antonio Panizzi, in «Rassegna», Genova, ottobre 1932. Breve recensione fatta dal nostro collaboratore, del volume di Constance Brooks su Antonio Panizzi, i cui rapporti col Mazzini) son 'ben noti. U. G. Mondolfo, Vita di Mazzini, in «Nuova Rivista Storica», Napoli, novembre 1932. Recensione lusinghiera deLla monografia di Anna Errera sul Mazzini. 11 M. conclude con questo giudizio : «È un bel libro che, senza pretese di dir cose nuove, riempie veramente una lacuna, pcichè un li'bro come questo mancava nella letteratura storica sul nostro Risorgimento, e ci mostra la figura del Mazzini in tutto il suo valore storico e in tutta la sua grandezza morale». Sante Lungherini, Nel centenario della Giovine Italia, in «L’Artiglio», Lucca, 29 dicembre 1932. Breve nota commemorativa. Albano Sorbelli, Giovanni Ruf fini e i suoi tempi, in «L’Archiginnasio», Bologna, settembre, dicembre 1932. Acuta e sagace recensione della miscellanea di studi sul Ruffini più volte segnalata. Albano Sorbf.lli, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, in «L’Archiginnasio», Bologna, settembre-dicembre 1932. Lusinghiera recensione della monografia del Rosselli su P sacane, già segnalata. Albano Sorbelli, I fratelli Ruffini, in «L’Archiginnasio», Bologna, settembre-dicembre 1932. Recensione del II volume del carteggio dei Ruffini, «della grande opera che va compiendo il C. _ scrive il Sorbelli — impreziosito da uno studio acuto e originale su un certo periodo, finora assai oscuro, della vita del Mazzini, su un campo cioè in cui il Codi-gnola è veramente signore. In tale studio egli si propone di seguire da vicino il format si della coscienza nel Mazzini sino alla famosa crisi del dubbio, che segnò non soltanto il suo trapasso da letterato a cospiratore e ad apostolo dì una fede, ma che aprì nuovi orizzonta anche ai suoi fratelli d’amore, avviati anch’essi, se pur per vie diverse e con diverso soffrire, a compier© il nuovo apostolato. Il Oodignola studia la varia e grande influenza che esercitò sopra di lui lo studio delle correnti filosofiche e del pensiero europeo, che lo at-trasse, sin che lo stesso Mazzini ebbe poi a ritornare alle pure fonti del pensiero italiano. Con l’esame critico analitico che il O. fa dell’influenza che i contemporanei, sopratutto francesi, esercitavano sulla sua personalità ; giunge a mostrare più meritorio e più chiaro io sforzo che il Mazzini fece per superarli e per mostrare anche più netta la sua indipendenza. 68 Bibliografia Mazziniana Un altro punto capitale, che viene illuminato dalle iicerche e dalle osservazioni del Codignola, è quello della rottura fra il Mazzini e ϊ suoi «fratelli» Ruffini. Sono cause delicate, sottili, rese grandi da particolari condizioni di spirito dei Ruffini e della l'oro madre, che il Codignola studia con singolare finezza!». Ettore Li Gotti, Uno scritto giovanile inedito di G. Mazzini, in «Leonardo», Firenze» gennaio 1933. L’articolo del Mazzini sulle Fantasie del Berchet, pubblicato nell'Indicatore Genovese, venne mutilato in parte dalla censura. Il Li Gotti ha trovato nel castello di Gaesbeek nel Belgio, dove il Berchet fu ospite degli Alrconati, una copia a stampa dell articolo con 1 aggiunta di pugno del Mazzini del brano soppresso, che l’a. fa conoscere, con acconcio commento __, Una villa che fu residenza dì Mazzini all'asta, in «Messaggero di Ro£i», Rodi, 12 gennaio 1933. Si dà notizia che la Villa di Posalunga è stata posta all’incanto e si augura ch’essa venga acquistata da un ente pubblico. --, L’asta di Villa Posalunga, in «Messaggero di Rodi», Rodi 2G gennaio 1933. Si dà la notizia che la villa Posalunga fu acquistata all’asta dall’avvocato Filippetti. L’articolo è stato ripubblicato da l’«Unione» di Tunisi del 1 febbrao 1933. --1 La villa di Posalunga già residenza di Mazzini messa all’asta, in «Lavoro», Genova, S gennaio 1933. Dal Bollettino Ufficiale della Regia Prefettura di Genova, l'effemeride genovese trasse la notizia della vendita all’incanto della Villa Posalunga. Tale annuncio fu pubbl cato con fervidi voti che ne venisse assicurato il possesso ad Enti pubblici da moltissimi giornali italiani ed esteri. Fra gli altri segnaliamo la «Nazione» di Firenze, il «Giornale di Genova», l'«Ttalia d’oggi» di Roma, la «Vedetta d’Italia» di Fiume dell’8 gennai. Ancora il «Lavoro» di Genova, il «Popolo d’Italia» di Milano, la «Gazzetta del Popolo di Torino, la «Stampa» di Torino, il «Resto del Carlino» di Bologna, il «Corriere del Tirreno» di Livorno, il «Telegrafo» di Livorno e la «Provincia di Bolzano» del 10 gennaio 1933. La stessa notizia con gli stessi voti fu ripubblicata il giorno 11 genna1 o da «L Impero» di Roma, dal «Popolo di Brescia», da «Il Popolo di Sicilia» di Catania; il g'iorno 12 dal «Popolo di Roma», da «Il Piccolo» di Roma», il giorno 13 dal «Giornale d’Italia» di Roma, il giorno 14 da «Maremma» di Grosseto e da l'«Avvenire» di Tripoli»; il giorno 16 dal «Corriere della Sera» di Milano. __, Vinsurrezione friulana del 1S64 e il fermento giovanile a Trieste e rateivi stria, in «Piccolo», Trieste, 14 gennaio 1933. Ampia recensione della monografia di Gellio Cassi, già segnalata. F. S., Mazzini e il sindacalismo fascista, in «Azione sindacale», Milano, 15 gennaio 1933. Recensione dell'opera di A. Galimberti, già segnalata. L’articolo è stato ripubblicato dal «Gazzettino» di Foggia del 19 febbraio 1933. Teresa Miraglia, Maria Mazzini, in «La Staffetta scolastica», Torino, 20 gen-naio 1933. . . Ampia recensione della monografia di L. Ravenna, già segnalata. __t Un giornale di lattaglia patriottica, in «Secolo», Milano 22 gennaio 193o. Succitata rievocazione della gloriosa rivista mazziniana eLa Giovine Italia». Bibliografia Mazziniana 69 a. c. r., L’attentato di Felice Orsini, in «Gazzetta del popolo della sera», Torino, 26 gennaio 1933. Succinta recensione della monografia di R. Caddeo, già segnalata. ---, La casa di Mazzini venduta all’asta, in «Secolo XIX», Genova, 24 gennaio 3933. L’aggiudicazione della Villa Posalunga all’avv* Giovanni Filippetti, il quale compari per jl suo oliente Lavagnino, che a sua volta efabe l’incarico dal Podestà di' Genova, è l’oggetto .di questa breve nota. La notizia lo stesso giorno apparve nel «Giornale di Genova», neir«Ainbrosiano» di Milano nella «Gazzetta dell’Emilia» di Modena, nel «Telegrafo» di Livorno, nel «Popolo di Brescia», e il giorno successivo nel «Popolo d’Italia» di Milano, nella «Provincia di Bolzano», nell’«Arena» di Verona, nel «Regjme Fascista» di Cremona, nel «Brennero» di Trento, nella «Vedetta Fascista» di Vicenza, ne «La Scure» di Piacenza, nella «Provincia» di Padova, nella -«Voce di Bergamo», nel «Gazzettino» dì Venezia e nel «Corriere Padano» di Ferrara, nella -«Cronaca Prealpina» di Varese del 26 gennaio, nell’«Unione Sarda» di Cagliari del 27 gennaio, nella «Voce di Padova» del 29 gennaio e nella «Gazzetta Azzurra» dii Genova del 29 gennaio 1933. ___, Giuseppe Mazzini fonila la «Giovane Italia» in «Corriere Istriano», Fola, 27 gennaio 1933. Breve nota commemorativa nel centenario della fondazione della «Giovine Italia». __f Un’interrogazione dell’on. Garibaldi sulla vendita> della villa di Mazzini, in «Telegrafio», Livorno, 29 gennaio 1933. L’on. Ezio Garibaldi ha presentato un'interrogazione al Ministro dell'Educazione Naz.o-nale intesa a far dichiarare monumento nazionale la Villa Posalunga. Domenico Bulferetti. Carlo Pisacane, in «L’Ambrosiano»,31 gennaio 1933. Succinta recensione della monografia di Nello Rosselli già segnalata. Vincenzo Pastore, Il dissidio Marx-Mazzini, in «Regime Fascista» Cremona, lo febbraio 1933. È una acuta disamina sulle cause profonde del dissidio che divise Mazzini dall’autore del *Capitale. Innocenzo Cappa, All’onorevole Podestà di Genova per la Casa di Mazzini a Posalunga, in «Sera», 2 febbraio 1933. Il sen. Cappa esorta il collega Broccardi ad acquistare la Villa Posalunga per adibirla .a sacrario di memorie mazziniane. __f h contributo dei veneti ai moti e alle guerre del Risorgimento, in «Vedetta Fascista», Vicenza, 4 febbraio 1933. Succinta recensione della monografia dì G. SoUtro su Mazzini, Garibaldi e i moti del 1863-64 nella Venezia, già segnalato •c M , Il moto insurrezionale milanese del 6 febbraio 1853, in «L Ambrosiano», ’ Milano, 4 febbraio 1933. Rievocazione di carattere divulgativo dei moti mazziniani milanesi. Fànfilo, Casa Carlyle, in «Corriere della Sera», Milano, 7 febbraio 1933. Si rievocano i rapporti intercorsi fra Mazzini ed i coniugi Carlyle. 70 Bibliografia Mazziniana --, 11 comunicato ufficiale dell'acquisto Oclla villa mazziniana di Posalungar da parte del Comune di Genova, in «Secolo XIX», Genova, 10 marzo 1033. Il sesquipedale titolo riassume la notizia pubblicata, che venne pure nello stesso giorno-data da quasi tutti i giornali italiani. Eugenio Broccardi - Innocenzo Cappa, La casa di Mazzini a Posahmga, in «Sera», Milano, 10 febbraio 1033. Il senatore Broccardi, podestà di Genova, rispondendo alla lettera di I. Cappa, già segnalata, chiarisce le ragioni dell’acquisto fatto della Villa Posalunga da parte del Comune di Genova, per interposta persona. Il Cappa fn risposta cordiale prende atto e dichiara d’aver errato nel dubitare che la \illa non venisse salvata, «per impazienza d’amore». --, L'on, Mezzetti e il prof. Volpicelli vincitori del premio letterario «Pensiero e Azione», in «Messaggero», Roma, 16 febbraio 1£33. Il concorso bandito per una monografìa su Mazzini, del quale s’è già fatto cenno in questi Appunti, s’è chiuso. Sono stati dichiarati vincitori l’on. Nazareno Mazzetti ed il prof. Luigi Volpicelli. Maria Villa Pesenti, Vita di Mazzini, in «Pensiero», Bergamo, 10 febbraio· 1033. Succinta recensione della monografìa di A. Errerà, più volte segnalata. Domenico Bulferetti, Carlo Pisacane, in «Popolo di Romagna», Forlì, 26 febbraio 1033. Succinta recensione della monografia di N'. Rosselli, più volte segnalata M. R., Carlo Pisacane, in «Educazione Nazionale», Roma, 28 febbraio 1033. Ampia ed acuta recensione della monografia di N. Rosselli. Si indaga soprattutto sul l’influenza esercitata dall’Apostolo su l'Eroe. Farinacci, La grande guerra ed il Risorgimento, in «Vita Italiana», Roma, febbraio 1033. Risposta polemica al discorso tenuto dal Maresciallo Giardino a Torino, a proposito della svalutazione delle guerre del Risorgimento di fronte all’ultima 1915-1918· Farinacci rivendica alla psicologia unitaria creata dal Mazzini la condizione prima delle guerre che condussero l’Italia ad unità e conclude : «È appunto questa preparazione psicologica che trasformò il soldato, creò il volontario garibaldino e fece di entrambi gli artefici convinti' della unità e dei fini della Patria! «Se perciò si studia il Risorgimento sotto tutti gli aspetti, morali, politic;, spirituali — come è dovere di ogni storico che si rispetti — esso non sarà mai d.minuito dalla grandezza dell’ultima guerra, di cui è il presupposto logico. «Esso è stato il serbatoio di una infinità di energie ideali che non si dispersero mai,, tanto vero che quando noi intervenisti — combattuti dai socialisti, dai popolari, dai g o-littiani _ abbiamo voluto giustificare le ragioni della nostra partecipazione alla guerra, abbiamo dovuto ricorrere a Giuseppe Mazzini per attingere da lui Γ entusiasmo e la fede, fc motivi e il dovere che oi imponevano di prender parte alla tragedia mondiale!». Carlo Morandi, Maria Mazzini, in «Leonardo», Firenze, febbraio 1033. Succinta recensione della monografia di L. Ravenna, d.ù volte segnalata. __, La villa mazziniana di Posalunga, in «Genova», febbraio 1033. Succinta descrizione della Villa Posalunga, cui è aggiunto il testo integrale della deliberazione presa dal Podestà di Genova LI 17 febbraio 1933, per l’acquisto di essa da parte-dei Comune. Bijjliografia Mazziniana 71 Ludovico Bretti, Garibaldi e Cavour, in «Fede Nuova», febbraio-marzo 1933. Il Bretti si sofferma ad illustrare l'opera svolta da Cavour e da Garibaldi durante l’impresa dei Mille, che rivendica al Mazzini, non risparmiando invece la politica del Cavour qualificata subdola. B. D., Iacopo Ruffini nel centenario della morte, in «Lavoro», Genova, ij marzo 1933. Si rievoca la figura del protomartire della Giovine Italia, la quale è pure oggetto di .un altro articolo di Leo Pilosio, pubblicato ne l’«Arena» di Verona dello stesso giorno. Margas, Il quadrante letterario, in «Voce del Mattino», Rovigo, 5 marzo 1933. Si recensisce fra l’altro la monografia di Gellio Cassi, già segnalata. F. Ernesto Morando, Da Posalunga al riscatto d'Italia, in «Corriere Mercantile», Genova, 9 marzo 1933. Acuta ed appassionata rievocazione deli’Apostolo nel Glo anniversario dePa sua morte. La sera del 9 marzo Mazzini fu commemorato in Genova da un discorso tenuto dall’avv. Umberto Ferraris al Teatro Cariò Felice e vennero nel giorno successivo pubblicate note commemorative dai seguenti giornali: «Secolo XIX», «Giornale di Genova», «Lavoro» di Genova», «Regime Fascista» di Cremona, «Ora» di Palermo, «Il Grido d’Italia» di Genova, i’ «Popolo d’Italia», 11 «Corriere della Sera», l’«Ambrosiano» e la «Sera» di Milano, la •(Provincia di Bolzano», il «Resto del Carlino» di Bologna, «Brennero» di Trento, «Popolo del Friuü» di Udine, «Popolo di Brescia», il «Corriere Padano» di Ferrara, il «Solco Fascista» di Reggio Emilia, il «Telegrafo» di Livorno, la «Gazzetta del Mezzogiorno» di Bari, il «Mattino» di Napoli, «Italia giovane» di Novara, «Corriere del Tirreno» di Livorno, la «Stampa» di Torino, l’«ltalia» di Milano, il «Popolo di Brescia», «Provincia di Come», «Popolo di Ro magna» di Forlì, «Gazzettino» di Venezia. ---, cimelio mazziniano donato al Comune, in «Secolo XIX», Genova, 12 marzo 3933. Si dà notizia del dono fatto al Comune di Genova dall’avv. Francesco Massuccone, pronipote di Antonietta Mazzini di un giuoco di scacchi già appartenuto a Giuseppe Mazzini giovine. Un’interessante 'iscrizione apposta sulla scatola contenente i pezzi, ricorda vari studenti universitari amici di Pippo. Luigi Re, La «Giovane Italia» sulle rive del Sebino, in «Popolo di Brescia», 12 marzo Il Re continua le sue interessanti esplorazioni d’archivio, dalle quali trae notizie importanti sui primi seguaci dell’Apostolo in Lombardia. Arturo Codignola, Posalunga : oasi mazziniana, in «Illustrazione Italiana», Milano, 12 marzo 1933. La Villa di Posalunga ed i ricordi storici r terentisi al Mazzini ed ai Ruffini sono illustrati succintamente, Giacomo Samperisi, Giuseppe Mazzini il profeta, in «Vedetta Iblea», Ragusa, 12 marzo 3933. Si ripubblica un largo riassunto della conferenza tenuta sul Mazzini dal Samperisi a Ragusa il 9 marzo 1933. ---, La religiosità di Giuseppe Mazzini, in «Veneto», Padova, 13 marzo 1933. Breve riassunto della conferenza tenuta da Giovanni Gualtieri il giorno precedente in Padova nella Chiesa Evangelica. 72 Bibliografia Mazziniana «Accennato alla vita di Mazzini, fulgido esempio di altruismo e di austerità morale, iB dotto e facondo conferenziere è passato a dire dello spirito profondamente religioso che sempre, in tutto il suo terreno ed agitato pellegrinaggio fino alla serena morte, illuminò la. vita del grande apostolo di italianità in contrapposto alle teorie materialistiche ed a paganeggianti idolatrie dei tempi. «Ma fu cristiano, Mazzini? — si domanda l’oratore. E risponde affermativamente, poiché il suo concetto della vita interpretata e santificata come missione di bontà, di giustizia,, d'amore verso il prossimo, fu in perfetta armonia col Messaggio di Gesù a tutti gli uomini di buona volontà. E nei suoi scritti più volte egli soavemente ci ha parlato di Cristo Figliuolo di Dio. «Il conferenziere ha concluso esortando tutti i presenti, ma in special modo i giovani, a voler temprare la fede religiosa, immenso e divino dono all’umanità, e di voler santificare-moralmente la vita, secondo gli insegnamenti mazziniani.» Un altro resoconto della stessa conferenza venne pubblicato il 14 marzo 1933 dal «Corriere Padano» di Ferrara. Direttore responsdbi/e : UBALDO FoRMENTINI S.A. INDUSTRIE POLIGRAFICHE NAVA - BERGAMO - GENOVA GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA COMITATO DI REDAZIONE ; GIUSEPPE PESSAGNO, PIETRO NURRA, VITO A. VITALE La pubblicazione esce sotto gli auspici del Municipio e della Regia Università di Genova e del Municipio della Spezia DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : GçenoVa, JPaÌdÉzo Rosso, Via Gçariialâi, ίδ CONDIZIONI DI ABBONAMENTO Il Giornale si pubblica a Genova in fascicoli trimestrali. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni, spigolature. notizie ed appunti per una bibliografia Mazziniana ABBONAMENTO ANNUO per Γ Italia L: <30 - per Γ Kstero L. 60 Un fascicolo separato Lire 7.30 - Doppio Lire 1 ó Conto Corrente con la Posta «ΒβΒβΐηβΒβΗΒβΛΒΒΙΗΙβΒΒ··! ANNO IX- 155 5 Fascicolo II. - Aprile-Giugno - GIORNALE STORICO t E LETTERARIO DELLA LIGURIA fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI l v ·. V V Pubblicazione Trimestrale . i: .■'< « - . '■} , ' ^ __— ,f ·.«.■« ;· * S?. ϊOTEGiJì ■ Vv o r .V NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentini Direzione e Amministrazione GENOVA, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 10 SOMMARIO André E. Sayous, Les valeurs nominatives et leur traite à Gênes pendóni le XIII siècle d'après des documents inédits de ses Archives No-f anales — Ferruccio Sassi, Treguani de Lunexana.— À. Oberfello, Agostino Ruffini a Edimburgo. — M. Bafiislini, Lettere inedite di Maz. zmi e di Garibaldi. — R. Giardelli, Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA : R. Lopez, Genova marinara nel Duecento - Benedetto Zaccaria ammiraglio e mercante ( V Vitale) - G. Lumbroso, / Moti Popolari contro i Francesi alla fine del secolo XVIII (V. Vitale) - Doff, L. Valle, Per una nuova edizione veramente critica degli annali di Jacopo D'Oria - Osservazioni e correzioni (C Bomate) — SPIGOLATURE E NOTIZIE — APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA. LES VALEURS NOMINATIVES ET LEUR TRAFIC À GÊNES PENDANT LE XIIIe SIÈCLE D’APRÈS DES DOCUMENTS INÉDITS DE SES ARCHIVES NOTARIALES <>> Avant d'aborder le sujet plus spécial de cette étude, résumons un inventaire après-décès d'un notaire génois en date du 7 octobre 1236 (appendix .1), parce qu’il montre la place que les diverses formes d'emplois de capitaux, et notamment les parts de la gabelle du sel, jouaient au XIIIe siècle dans la richesse d'un membre d une bonne famille originaire de Plaisance et établie a Gènes, un Maniavaca. Voici les éléments de cette fortune: une maison d’habitation et un « ronein » (jeune cheval) ; une propriété; la moitié et la huitième partie d’un bateau; une somme d’argent chez un « banquier » ; une part (locus) — acquise par le versement de 100 livres de Génois — de la gabelle du sel, in pole-stfiria Lazarii. c'est-à-dire de l'emprunt fait sous Lazario di Ge_ rardini de Glandone, potestat de Gênes en 122,i et 1227 (2) ; le produit de la vente d'huile par la femme du défunt ; une part de la gabelle du sel, ut in cartulario communis continetur, donc sans désignation d'une série spéciale; un certain nombre de participations dans des opération commerciales en tant (pie commanditaire de commandes (25 livres, 25, 54, 100, 25) ; et une commande scripta in cartulario maone de Septa. La différence est bien faible entre ces emplois de capiteaux et placements et ceux qu’un membre de la moyenne bourgeoisie, d’une ville maritime faisait cinq et même six siècles plus tard : la résidence courante et, une propriété hors de ville; de> parts de bateau ; de l'argent chez un banquier; des rentes sur l'Ktat ; des sommes pla- (1) L'auteur de cette ttude tient ft exprimer sa vive reconnni sence au Marquis G. Pessa-pno et h Mr. Piccordo, qui lui ont yrr-lé le plus utile concours. (2) yfmitili genomi di Caîïar··.... lìcnes, 1928, t. IV, pp. 28 et suu. 74 Lbs valeurs nominatives et leur trafic λ Gênes cées dans le commerce avec les risques que celui-ci comportait et avec des chances de bénéfices importants, sans compter les résultats tie participations à la «course» contre les infidèles on les ennemis. * * * Il nous semble inutile d'exposer ici, après beaucoup d’autres (’) Vhistoire et les caractéristiques de la Gahcllu et de la Compera salts. Le plus important est de montrer les points de contact entre les parts de la eromperà, et nos titres modernes d'une part-, et, de Vautre, dans les transations auxquelles ces parts donnaient lieu, les premiers et encore imprécis vestiges «lu trafic de Bourse. AIoim que, dans les emprunts forcés, la part de chacun était un produit mathématique (20%....), ce qui lui donnait une valeur très variable, aboutissant donc a des compte» en sous et en deniers, l'on trouve dans les emprunts volontaires, îles montants surtout ronds, cent et ses multiples. La part de cent livres de Génois était ce que l'on appelait un locus. Le mot locus a été appliqué dèt> le XIIe siècle, île même que les mots sors et (‘(tratti·*; à une époque antérieure, à une part de bateau (2j lixée, d'après le« circonstances, a 1/3, 1/4, 1 (J, 1/8, .1/1 tt, etc. de l'ensemble. Si nous trouvons des parts de la gabelle du sel inférieures it cent livres, cela est la conséquence d'emprunts forcés, de I acceptation de tout argent offert en un moment très difficile, et, en particulier, de la division d'un locus ;i la suite d'héritage; les parts de 33 livres, (i solds et 8 deniers se présentaient, bien entendu, dans le dernier cas. Lorsqu’une personne avait 450 livres dans la compero, on, disait qu'elle en possédait 4 parts 1 -. Les parts de lu ('ouipria salis étaient donc des obligations gagées, d'un montant généralement fixe; presque la perfection du type moderne! droit du créancier de l'Ktat était constaté, vers 1236, par une inscription sur lin registre, cartulario communis· en cas de vente, on promettait de faire mentionner la cession sur celui-ci: tibi dare et super te scribi facere. Γη acte de 1264 mentionne, pour la première fois, l’inscription de columna sua (v. Appendix Ιλ . ('ela cor respond à une modification importante: d’abord, les demandes de transfert de propriété transmises à l'Ktat furent inscrites h la suite les une* des autres à mesure qu'elles parvenaient, sans plus d ordre ni de méthode que ce n’était le cas dans la comptabilité; ensuite, vers le milieu du XI11 siècle, le registre des transferts de (1) Ainsi, après H. Sieveking, Sludi tulle finanze çth > e*i nel medioevo (trad, lt.) t. I, p? fi2 et euiv. et p. 211. (2) V. un exposé général pur cr* poni*, dsns n*n!re Http, ì.e Commeret det Europi en Λ Tunis, dtpui» le ΛII.e »iècle jatqu à lu fin du Λ I f.t, [’uns, 1920, pp "'· et 27. André E. Sayotjs. 75 partis de la gabella salis a comporté non une page, — cela eut été trop —, mais une « colonne » pour chaque créancier, au moins poulies principaux d'entre eux. Telle est l'origine du système de la columnaf fameuse surtout depuis que la Casa di San Giorgio a adopté cette méthode. Voyons le trafic auquel ces parts donnaient lieu. Bien que les parts ne pussent pas être considérées comme des marchandises ordinaires elles faisaient de la même façon, l’objet d'offres et de demandes. Il fallait, tout d’abord, qu‘une personne qui en désirait vendre, rencontrât une personne qui en désirait acheter. Le nombre des gens susceptibles de faire ce genre d'opérations était limité: ils se connaissaient, se rencontraient, étaient rapprochés par les bruits qui circulaient ou par quelque intermédiaire. Cependant, la concentration des aifaires dans une partie étroite de h» ville, entre S. Lorenzo et. le port, facilitait la prise de contact de l'une avec l’autre, déjà quelque peu comme dams une Bourse. En principe, l'élément prédominant érait le besoin d’argent, d'un côté, et, del autre, le désir d’un placement avantageux, ainsi que sur un marché encore rudimentaire des capiteaux. si la créance sur 1 Etat demeurait invariabile, elle était vendue et achetée à des prix qui se modifiaient d’après la rareté ou l'abondance des disponibilités, et aussi selon que ht situation des finances publiques faisait craindre un paiement partiel des intérêts, sinon une suspension de paiement, ou bien, en sens inverse, donnait une sécurité complete. L opinion publique trouvait a'însî son expréssion, bien que d une layon moins régulière qu à l'époque moderne. C'était assez pour fournir des aliments a la spéculation ; nous n'examinerons dans quel le mesure que quand nous examinerons quelques textes. Lorsqu'un acheteur et un vendeur s'étaient mis d'accord, ils allaient trouver un notaire, (pii rapportait dans une notule les dé clarat ions des parties ; il se contentait de les encadrer dans une fornirne de caractère surtout juridique. Les notules pour la vente de paris sont donc très différentes des bordereaux modernes, et cependant elles ont aide a la fixation d usages ou même de vraies règles qui ont remplacé le« stipulations expresses et formelles de contrats pour les parts de la gabelle du sel comme pour les contrats de change. les combinaisons modernes existaient; si le cadre ancien gênait c 01 tes les commerçants, il leur donnait une serieuse garantie; les affaires n'étaient pas assez fiévreuses pour que l’on se plaignit de pertes de temps. Avec la notule, un acte était établi; on le présentait A celui qui tenait le registre spécial des parte de la; gabelle du sel, et le trau-sfeit de propriété avait lieu. L)ans P essentiel, ce sont encore là les procédés courants pour la cession de titres nominatifs. Si rudimentaires que fussent encore les méthodes, les besoins imposaient des pratiques qui sont devenues, sans modifications fon- 76 Les valeurs nominatives et leur trafic â Gênes_ dament aies, après de simples facilités et perfectionnements, les pra. tiques modernes. , •Les textes précisent certains points; cherchons à comprendre lesquels sans nous lancer dans de dangereuses hypothèses. Il était de règle que 1;acheteur eut disposition immédiate de la somme à verser, et le vendeur la possibilité et la volonté d ettec. tuer aussitôt la transmission de son droit; mais, ainsi que dans les opérations mercantiles de Gênes au XIIIe siècle, la situation se trouvait compliquée ,souvent par la nécessité de délais d exécution ou par des combinaisons à caractère individuel, s’écartant de tout cadre précis. _ , Parfois, le transfert avait lieu de suite, tandis que le payement était remis ’à mie date prochaine ou éloignée. Dans un contrat du 8 mars 126G (v. Appendix Y), le payement était fixé à la fin du mois courant ; vingt jours étaient probablement nécessaires, soit pour se procurer sur place de l'argent, soit pour en faire arriver de l’endroit où l'on en avait. Dans un autre contrat, en date du 10 décembre 126G (tv. Appendix VI), le paiement était stipulé dans l'année, au plus tard au bout d'un an, jour pour jour, encore question de disponibilité dans une certaine mesure, cependant, comme le prix était fixé dès le contrat, l’acheteur tout au moins ne s’attendait pas à le voir diminuer, sinon prévoyait une augmentation de la valeur du locus, et agissait en conséquence; il faisait donc, bel et bien, ce que nous appelons une opération à la hausse, tandis que le vendeur abandonnait son droit à un prix qu il jugeait satisfaisant, vu les circonstances et ses prévisions d’avenir. Remarquons que le transfert aurait pu être remis à l’époque du payement, le prix seul étant fixé lors du contrat; mais l’on n aipiait guere, an XIIIe siècle, cette façon de pratiquer, à cause de 1 interdiction de l’usure au. sens extrêmement large du terme, alors que l'on connaissait et pratiquait depuis longtemps ia vente à crédit, livraison immédiate et paiement digéré, et c’est ce cadre que l’on a d abord ac- En sens inverse, le prix pouvait être payé comptant et la livraison remise à un terme. Le contrat du —♦ > Juin 1_G7 (\ . Appendix VII) par lequel un de la Volta, d illustre famille, avait lait mit préstation imprécisée et devait au bout de six ans recevoir un lo eus et un quart, ainsi que, en termes échelonnés, cinquante quatre livres de Génois, 'était, en réalité, un prêt masqué. Si Rubeus de la Volta demandait livraison, au bout de six ans, d’une part et quart de la gabella salis dont les part« avaient baissé à 15-20% au-dessous du pair (l) il espérait une amelioration des prix au cours des six an. nées suivante.5. Cet exemple n’exclut pas pour le vendeur la possi- (1) H, Sieveking, op. cit., p. 69. Andre E. S a you s 77 bilité cl’obtenir un délai pour le transfert; rien ne permet toutefois, dans la documentation recueillie, de supposer qu’en ce cas, il y est en Γespoir de racheter meilleur marché un locus avant le terme fixé; et cependant la chose devenait possible. Voici encore deux prêts de locus par transfert de propriété et stipulation de restituer un locus semhlaMç. Celui du juillet 1207 (v. Appendix Vili) imposait le remboursement en février 1268; était-ce une façon de transmettre, un droit pour (pie le nouveau proprié taire en tirât prolit momentanément en le cédant à un autre? C'est fort possible, à chercher des hypothèses plus compliquées, on risquerait de s’égarer. Le contrat du 10 novembre 1264 (v. Appendix III) est plus intéressant; la restitution devait avoir lieu au bout de deux ans — assez long délai —, non en nature mais en espèces, — ce qui rendait possible ou même laissait prévoir une cessasion —, mettant l’emprunteur à la baisse soit involontairement, si son but était de se procurer de l'argent, soit volontairement. Ce n’était certes pas encore la base de quelque spéculation à la baisse, même conçue d'une façon plus ou moins étroite, ni de reports ; les situation se présentaient d'une façon telle qu’il suffirait par la suite de préciser certains points, d’organiser un ensemble, pour avoir la Bourse moderne dans tout son caractère. Ainsi il y à Gênes, au XIIIe siècle, de franches et nettes valeurs nominatives, qui, bien que se transmettant par des méthodes encore primitives, annonçaient des méthodes plus perfectionnées. Ces valeurs n’étaient l’objet de négociations ni fréquentes, ni suivies. disons même qu’elles étaient l’objet de négociations assez ra_ rew, mais débordant du cadre des achats et ventes avec paiement du prix et livraison immédiate. .Les fluctuations des prix en période de grave crise, incitaient à des actes de spéculation. Nous n’en trouvons pourtant que de$ traces très peu précises ; ce que l’on constate, c’est le début d’efforts encore mal organisés, travers les combinaisons d’alors, l'on peut toutefois entrevoir les combinaisons actuelles, car l'on trouve déjà la notion du terme et le prêt de valeurs. M. AVerner Sombart à parlé avec quelque mépris du moyen-âge parce que le mouvement des affaires était alors bien faible comparativement. à celui d’aujourd’hui. Si nous ne nions pae le manque d’intensité du commerce, nous affirmons, en opposition avec l’historien allemand du capitalisme moderne — qui n'est jamais remonté aux sources — que déjà la vie économique s'organisait sur des bases (pii permettent d’entrevoir dans une période assez lointaine, le point de départ de transformation qui se sont prolongées jusqu'à nous. André E. Bayous. 78 Les valeurs nominatives et leur trafic â Gênes APPENDIX I Inventaire après décès de la fortune d’Ansaldo Maniavaca, beau frère de Castello Calvo (7 octobre 1236) (Notules du Notaire génois Giovanni Yegio, registre I, fol. 15; Archive® d'Etat de Gênes). Exemple très intéressant de 1/emploi d'une assez belle fortune à Gênes durant le second quart du XIII0 siècle. Ut constitutiones sacratissimi principis Iustiniani observem et eius beneficium valeam immitari et salubriter hereditatis lionera sub-portare, idcirco ego Alda uxor Castelli Calvi et soror quondam An-saldi Ma-niavace et eius heres ab intestato volens illius hereditatem applecti cum beneficio inventarii priusquam ad eam hereditatem ipsius vel aliquid attingam ex ea, venerabili signo crucis propriis manibus primitus inscripto, convocatis creditoribus et legatariis in-fr ascriptis et loco absencium inter esse nolentium adhibitis testibus, idoneam substanciam possidentibus et tabulariis infrascriptis, inventarium seu repertorium de rebus ipsius hereditatis et que reperitili-tur in ipsa hereditate et esse credo omni malicia remota que licet a me non possideantur in ipsa, tamen hereditate et ipsius heredi tatis facio et facere incepi infra legitimum tempus)existens. In primis inveni in ipsa hereditate domum unam qua habitabat dictus q. An-saldus tempore mortis et galeam unam quam dictus q. Ansaldus possidebat tempore mortis prout credo pro medio et octena et rondinini unum quem modo tenet lienricus .Maniavaca cum fratribus suis et libras centum tredeeim et soldos... laniiinorum que sunt penes Conradum Calvum bancherium; item locum unum quem ipse Ansaldus quondam habebat in compera salis in potestacia Lazarii; item libras X\ III soldos XIII denariorum lanuinorum quas uxor quondam dicti Ansaldi habuit et recepit de oleo quod erat in domo dicti quondam Ansaldi post mortem eius; item in cabeila salis nova, ut in cartulario communis continetur, locum unum; item Pitetus filius Wilielmi Pitavini habet libra* XXV in accomendatione a dicto q. Ansaldo ut fertur; item Enricus filius dicti Wilielmi habet libras XXV in accomendatione ab eodem q. Ansaldo ut dicitur; item Guil-lielmus Binçerrus habet ab eodem q. Ansaldo libras LIIII in aercipiendi et colligendi quem habeo vel michi competit precio librarum centum septem Ianuinorum de quibus me bene quietum et solutum voco, renuncians exceptioni non habite et non numerate pecunie et precii non soluti, doli et condictioni sine cau>a et omni exceptioni. Et si plus valet, id plus mera et pura donatione inter vivos dono et remitto* renuncians iuri deceptorum dupli pro pre-dicto itaque precio dictum locum tibi vendo ed trado ad faciendum de cetero quidquid volueris et ad percipiendum iure proprietario et titulo emptionis tu et heredes tui vel cui dederis vel habere statueris sine omni mea omniumque pro me con tra dicione, possessionem et dominium eius tibi confiteor tradidisse. Quem promitto tibi dimit- 80 Les valeurs nominatives et leur trafic a Gênes tere non impedire nec subtrahere, sed ab omni persona- legitime defendere et auctorizare constituens te procuratorem ut in rem tuam hoc acto inter nos quod non compellas me expendi facere de pecunia percepta dicte compere in communi nec ego te occasione illius compere compellam te sen expendi faciam in communi. Alioquin penam dupli dicte quantitatis tibi stipulanti spondeo ratis manentibus su* p rabietis et proinde omnia mea bona habita et habenda tibi pignori obligo, abrenuntians iuri ypotlie ario, senatus consulto Velleiani et le, gi Iulie de preciis inextimatis et omni i uris auxilio ut me et mea ubique convenire possis facio hec consilio Danielis et Iacobini de Galterio, quos meoss propinquos et consiliatores appello. Testes pre-dicti consiliatores, Franciscinus de Castro. Actum Ianue in domo heredum quondam. Rubaldi Alberici, die IIa aprili», VI° indictionis, MCOLXII1I. APPENDIX III Prêt d’un tiers de LOCUS (/Ô novembre 1264) (Notules du notaire génois Guglielmo de Sancto-Georgio, reg. I, fol. 40 verso, Archives d’Etat de Gênes). La propriété était transférée à l’emprunteur par inscription sur le registre ordinaire des Compere \ la restitution d'un montant identique de la même serie devait avoir l'eu dans les deux ans; l’emprunteur s’engageait à restituer au prêteur les intérêts perçus entre temps; deux personnes se portaient garantes de l’exécution de l'engagement. Ego Nicola Bu ff eri us confiteor Imbuisse et recepisse mutuo gratis et amore a te Franciscino quondam Conradi de Castello libras triginta tres et solidos sex denarios Vili Ianue de pecuniaquam habes in comperis salis Baynerii vel Alberti et quas hodie fedisti scribi supra me in cartulario comperarum communis; renuncians exceptioni non habite et non recepte pecunie, doli et in factum, condictioni sine causa et omni exceptioni. Quas tibi vel tuo certo misso per me vel meum missum in eisdem comperis Ravnerii vel Alberti usque ad annos duos dare solvere et restituere promitto. Insuper omnes pagas quas commune de dictis libris XXXIII, solidis VI, denariis VIII fecerit per tempora secundum quod commune solvit eo modo in anno tibi solvere promitto. Alioquin penam dupli cum dampnis et expensis quas pro infrascriptis tuo solo verbo tradito sine testibus et iuramento tibi stipulanti spondeo, ratis manentibus supra· dictis, et proinde omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo. Insuper nos Anselm us Buferius et Detesalve de predictis André E. Savour 81 adversus dictum Franoiscinum nos const il nimiis proprios et principales debitores ; reimnciantes imi de principali, promittentes facerë et curare sicut et taliter quod dictus Nicola attendet, solvet et com. plebit ut superius promisit, alioquin nos solvemus de, nostra propria/ pecunia. Testes Obertus Fontana, Procncinus de Portuvenere. Actum Ianue iuxta doniuin (juondam Thome Venti, die X\lll no-vembris ante vesperas, VIIe indictionis, MC< LXIIJI. APPENDIX IV Dation en paiement de la moitié d un immeuble indivis pour un LOCUS (22 décembre 1264) (Notule du notaire génois Guglielmo de Sancto Georgio, rég. I, fol. Gl verso, Archives d'Etat de Gênes). Première mention de l’inscription du droit sur une « columpna ». Ego Ugo Vensus confiteor liabuisse et recepisse a te GuiUielmo Mallono Sol dan o locum unum salis in comperis Raynerii cum vestro omni iure quod percipitur et habetur de ipso et quem locum super me fecit scribi dominus Tedixius de Flisco de columpna sua unde et pro quo seu nomine cuius vendo cedo et trado tibi medietatem cuiusdam domus posite lanua in mercato Sancti Georgii pro indivisa cum Bartholomeo Bacliimo et quam emit Guillielmus Ventus de pecunia mea et meo nomine ab Anselmo Bacliimo et Iohannina iuga-libus... pro precio librarum XXXV. Ianue. APPENDIX V Contrat d’achat d’un LOCUS de la COMPERA SALIS paiment comptant, transfert à la fin du mois (8 mars 1266) ((Acte du notaire génois Guglielmo de Sancto Georgio, rég. I, fol. 190; Archives d’Etat de Gènes). NTos Sydonus de Cornilia et Enricus de Camuzio et Bamdetus de Ardito quisque nostrum in solidum confitemur tibi Rubeo de Λ olta nos habuisse et recepisse a te libras centum Ianue, renuntiantes 82 Les valeurs nominatives et leur trafib à Gênes exceptioni non numerate pecunie, doli et in factum, condictioni sine causa et onini iuri, unde et pro quibus et ex supradiçta causa quisque nostrum in solidum promittimus et convenimus tibi dare et super te scribi facere locum unum salis videlicet de compera Earynerii vel Alberti usque ad kalendas marcii ad habendum et tenendum et quicquid volueris faciendum sine omnia nostra omnium-que pro nobis contradictione. Alioquin penam dupli cum dampnis et expensis quas propterea feceris tuo solo verbo tradito tibi stipulanti spondemus, ratis manentibus supradictijs, et proinde omnia bona notra liabita et habenda tibi pignori obligamus. Hoc acto inter nos et te quod si ultra terminum predictum contingent nos tenere dictas libras centum tibi secundum quod respondebunt loca salis et per eamdem rationem et eo modo solvere et satisfacere promittimus. Testes Iacobus Mazuchus notarius, Iohannes Niger de Bisane. Actum Ianue iuxta domum quondam Thome Venti, M°OC°LX°VI., dies VIII. mariai, VIII0 indictionis, post nonam. APPENDIX VI Contrat de vente d’un LOCUS transfert déjà effectué, paiement dans l’année (lO décembre 1266) (Acte du notaire génois Giberto de Nervio, rég. III, fol. 227 verso; Archives d’Etat de Gênes). In nomine Domini amen. Ego Liichetus ,Becusrubeus confiteor tibi Bartholino Merlonis de Castello me tibi dare debere libras quin. quaginta qoiatuor lamie pro precio medii loci salis a te iniclii venditi et traditi in communi in comparis .salis, renuncians exceptioni dicte pecunie non debite, doli in factum, condictioni sine causa, et omni inri. Quas igitur libras- quinquaginta quatuor convenio et promitto tibi dare, solvere tibi vel. tuo certo misso per me vel per meum missum hinc usque ad annum unum proximo venturum. Alioquin penam dupli dictarum libratum quinquaginta quatuor tibi stipulanti dare spondeo cum expensis que fierent transacto termino pro predicates exigendis te tradito de expensis verbo tuo sine testibus et sacramento et proinde et ad sic observandum omnia bona mea habita et habenda pignori obligo. Testes Bon en segna de Monelia cens ari us et Enricus Todescus censarius. Actum Ianue in aiîgiilo domus Pedicularum. Anno dominice nativitatis M°C<1mLXV1°, indictione V1III, die X decembris circa nonam. André E. Sa you s 83 APPENDIX VII Engagement, contre une préstation faite et imprécisée, de payer 54 livres de génois en six échéances annuelles, et de remettre, au bout de six ans, un LOCUS et un quart de !a Gabelle du sel de la série Raynerio ou Alberto (26 juin 12é7) (Notules du notaire génois Guglielmo de Sancto Geòrgie, rég. I, fol. 173 verso; Archives d’Etat de Gênes). Ce contrat semble être beaucoup plus un prêt qu’une vente. 'La largeur du délai de livraison du locus et un quart constatait on faisait naître un intérêt spéculatif. Ego Iiertholinus Gaginellus et Baudetus quondam Arditi de Cor. nilia et Sydon ito de Cornilia et Benvenuta uxor dicti Sydoni quisque nostrum in solidum confitemur tibi Rubeo de Volta Maiori nos habuisse et recepisse a te tot de tuis rebus renuntiantes exceptioni non habitarum rerum, doli in factum condictioni sine causa et omni i uri, unde et pro quibus et ex predicta causa quisque nostrum in solidum promitimus et convenimus dare et solvere hinc ad annos sex proximos venturos locum unum .salis et quartam partem loci alterius in comperis Ravnerii vel Alberti et libras quinquaginta quatuor in pecunia numerata solvendas per hos terminos videlicet in capite sex annorum dictum locum et quartam partem alterius et libras quinquaginta quatuor solvendo annuatim libras novem usque ad annos sex completos usque ad integram solutionem dictarum librarum quinquaginta quatuor, et si dicta loca non invenirentur* vel haberi non possent infra dictos sex annos promitimus tibi dare et solvere librais centum pro loco et quartani alterius ad rationem librarum octuaginta pro loco renuntiantes iuri solidi, epi-stule divi Adriani nove constitutionis de duobus reis et iuri de principali. Acto expressim inter no.s et te in presenti contractu quod si nos vel aliquis nostrum dabimus et consignabimus dictum locum salis et quartam partem alterius in dictis comperis non teneamur tibi adsolvendas dictas libras novem, et si forte ad dictum terminum annorum sex contingeret vel infra quod tibi non daremus et solveremus sive conssignaremus dictum locum et quartam partem alterius in dictis comperis tibi et heredibus tuis per nos et heredes nostros dabimus et solvemus omni anno nomine pensionis libras novem lanne quouisque tibi dederimus et eonssiguaverimus dictum locum et quartam partem alterius : predicta omnia promitimus attendere, complere et observare et in nullo contravenire. Alioquin pe- 84 Les valeurs nominatives et leur trafic à Gênes nam dupli de quanto et quotiens eontrafactum fuerit tibi stipulanti spondemus, ratis manentibus supradictis et proinde omnia bona nostra liabita et habenda tibi pignori obligamus. Et ego Benvemita abrenuntio iuri ypotheeario senatus consulto Yelleiano et legi Tulie, faciens Lee in present ia, consensu et voluntate dicti viri mei et consilio Lanfraneini Sardene et Guillielmi de Gauterio de Clavaro quos meos vicinos et consiliatores appello. Testes Lanfrancus de Ri-parolio scriba, Lanfrancliiniis Sardena. et Guillielmus cie Ganterico de Clavaro. Actum Ianue iuxta domum heredum quondam Tliome Venti, M°CC°LXV1I, die XXVI iunii, VIIIIe indictionis, post nonam. APPENDIX VIII Prêt d’un LOCUS à restituer en espèce au bout de sept mois ef demie ( 14 juill 1267) (Notules du notaire génois Gioachino Nepitella, rég. I, fol. 158; Archives d’Etat de Gênes). Ego ïohannes Albeïicus confiteor me habuisse et recepisse mutuo gratis et amore a te Iacobo Papia locum unum salis in communi, renuntians exceptioni non habiti et non recepti loci, doli in factum et sine causa quem vel aliunde pro eo simile tibi vel tuo certo misso per me vel meum missum dare et restituere promitto usque kalendas februarii proximi venturi vel dare tibi libras centum. Ianuinorum. Alioquin penam dupli cum dampnis et expensis quas feceris pro ipso loco recuperando seu pro dictis libris centum recuperandis te tradito de expensis solo verbo sine juramento et testibus et alia probatione tibi stipulanti promitto et pro pena et ad sic observandum universa bona mea habita et habenda tibi pignori obligo. Actum Ianue in contratis Sancti Laurentii ante palatium illorum de Auria ubi tenetur curia per potestatem. M°CC°LXVII0 die VIII1 iulii, indictione VIIIla inter nonam et vesperas. Testes Obertus Pa-stinus de Clavica et Nicola Saverius de Ri parelio. TREGUANI DE LUNEXANA La Lunigiana « non è Roma e neanche Firenze o Venezia, per quanto non vi sia storia di piccola terra che non pos*a essere messa e vista nella storia universale ». 0) ... v i Per tale ragione appunto, non può dirsi inutile lo studio anciie analitico di piccoli episodi; non foste'altro per rilevare la portata di fatti o (li istituti che hanno avuto anche in Lunigiana niomenri di vita, per cogliere i riflessi delle più o meno analoghe istituzioni forestiere, segnare le differenze concettuali e pratiche, scoprire così le direttive ispiratrici dei movimenti sociali e contribuire a tracciare per questa via un quadro completo e reale della vita italiana nel suo complesso Siamo dunque in Lunigiana, nel tempo in cui, per effetto delle saggie direttive sociali dei Vescovi, nuovi borghi e nuovi castelli cominciano ad elevare sul verde delle macchie, costellando le apriche costiere dei monti degradanti sull’aperta vallata della Magra, i loro fumanti camini od i belfredi imbertescati, mentre a lor volta, su questa intelaiatura nuova collegante le fila del canovaccio an tico, i Vescovi stessi si preparano a costituire le basi del comitato integrale quale verrà effettivamente loro riconosciuto e confermato dai diplomi imperiali della line del sec. XII. Accanto a questo complesso di energie e di attività endogene, prettamente lunigianesi anche quando i borghi ed i castelli nuovi adempiono alla funzione creatrice di nuovi centri di vita attraverso abitanti dalle contrade montuose tra Magra e Aulella o tra Magra e Vara, notiamo la presenza di forze politiche pure lunigianesi, ma estranee ai vescovado — il Comune pontremoiese — e di entità politiche estranee e al vescovado e alla Lunigiana ; Genova e Lucca so-pratiitto. Ë inutile ripetere cose già espóste da altri. Basterà ricordare il predominio genovese sull'importantissimo golfo de La Spezia, ottenuto col possesso di IOrtovenere e con il conseguimento di diritti sulTopposta sponda, e Γavanzata lenta ma incessante in Val di Vara. DalFaltro lato, l’avanzata di Lucca, sotto la pressione dì Pisa, in Garfagnana e in Versilia: particolarmente, in quest1 ultima zona, sul litorale tirennico (2). Due vere tenaglie quindi, en- (1) \olpe, Lunigiana Medievale, Firenze «La Voce» 1923, pag. 8.7. (2) ib, pag. 42 e segç. 86 Treguant de Lunexana trambe con le branchie pericolosamente aperte sulle vie d’invasione montana e marina. Preponderanza od anche soltanto influenza politica sono parole che molte altre ne comprendono. Ad esempio, necessità di patti intesi a garantire al più debole il libero esercizio di determinate attività: ed ecco i Fontremolesi stipulare il trattato del 1153 .per avere libere e sicure le strade di Genova (Jtanto la via interna da Pon-tremoli a Isola di Sestri, quanto l'altra corrente lungo Magra per confluire nella via Aurelia) e per esser su entrambe le arterie tutelati e difesi da parte dei Genovesi e dei feudatari della ((Compagna». Oppure anche introduzione di istituzioni, influsso diretto sul- lo sviluppo della civiltà, dei costumi, della vita in genere privata e pubblica. Ed ecco allora — fra l’altro — i « treguani ». Ila ricordato lo Sforza (*) come proprio a datare dal 1171 le cause, nelle quali avevano parte cose e persone di chiesa, fossero in Lucca affidate ai Consoli e Treguani del Comune. Non a caso quindi troviamo nel 1172 i Consoli e i Treguani di Pontremoli. Evidentemente si tratta di una magistratura civile identica nei due luoghi, investita delle medesime funzioni, intesa a custodire in generale Ja pace sociale e a sottrarre alla viva lotta delle fazioni quanto avesse carattere sacro — e come tale senza dubbio favorita nella nascita e nelle sue affermazioni dalla Chiesa. Attratti da più complesso argomento, tanto lo Sforza quanto il Λ olpe — pur most rancio di esserne a conoscenza — non hanno dato rilievo all’esistenza dei Treguani di Pontremoli e non hanno perciò definito in modo esauriente le differenze tra costoro ed i Treguani de Lunexana. L ) Sforza si limita a constatare che questi ultimi compongono un associazione annata, che presta il suo soccorso e il suo .aiuto in imprese di guerra. H Volpe, mente certamente più adatta a studiare il lato politico dei problemi storici, ci presenta la Tregua come «forse» una federazione di Comuni o Consorzi della valle, e altrove si chiede se in essa i vassalli del Malaspina non entrino assieme a quelli del vescovado^ e se essa non sia un’unione giurata di vassalli tenuti « se ad invicem aiutare » perchè nessuno violi a lor danno la pace e offenda i loro diritti : un’associazione insomma analoga a quella prevista da una clausola della .sentenza arbitrale del 12 maggio 1202 — per dirimere le vertenze tra Vescovo e Malaspina — in tempo di vacanza della sede vescovile, t2) Questo raccostamentojill’atto del 1202, se è nel complesso fondato, potrebbe così com’ò fatto — svisare in parte la vera natura ed il vero scopo della Tregua del 1172. Rileviamo intanto, e (1) Storia di Pontremoli dulie origini al 1500, FireLze, 1 rancegehini, 1904, page. 108-10Ö. (2) op. cit. pagg. 43, e 05. Ferruccio Sassi 87 non senza un certo compiacimento, die raggiunta de « Lunexana » ηυη è casuale, ina prodotto d’una certa tendenza unitaria per la quale, pur difendendo i treguani un interesse proprio, si riconosce anche nel tempo stesso resistenza d'un vincolo comune originato dalla stessa x^osizione geografica, tale da raccogliere in fascio, sia pur temporaneo, le forze locali e da originare la costituzione d’un vero fronte unico. Fronte unico, che nel campo politico, è destinato altresì a conservare tra i «singoli quell’unità di intenti che è sempre necessaria per poter conseguire unità d'indirizzo nell azione pratica. Passiamo ora in rassegna la qualità e la. quantità delle forze sommate nella, tregua, di cui i treguani vsono evidentemente i rappresentanti elettivi. La tregua ci appare infatti modellata esattamente sullo schema giuridico del consolato, e non solo perchè anche nel caso specifico i treguani assumono il titolo di consoli, quasi veri consoli de Lunexana, cioè d’un superorganismo territoriale che vuole altresì essere giuridico a carattere contrattuale e volontario, con base e intendimenti superanti la ristretta cerchia delle ambizioni dei singoli. L’unico atto che ci ricorda la tregua è del settembre 1172, com’è noto, ed i treguani giurano di osservare la lega stipulata con Genova contro i Vicedomini di Trebbiano, usurpatori delie ragioni di Parente e Giustamente, « quamdiu consulatus eorum presen tis tregue duraverit»: ma anche « cogerint ac indebitatomi t proximor intrai uros post se t regnano» ». Abbiamo dunque uìia carica. a rotazione presumibilmente annuale ed elettiva, dalla quale esula ogni carattere di magistratura ed avente sfondo nettamente politico; agente, inoltre, a maggioranza: non sarà fatta pace se 11011 consenziente la maggioranza dei componenti la tregua, purché non si fugga la pace con male arti. Dei quattro treguani in carica nel .1172, nulla sappiamo circa Guglielmo de Rafia: o almeno non ni'è riuscito di trovare nel Codice Pelavicino elementi che ne consentano il raceostamento documentato a questa o quella terra. Figura importante è quella di Gherardo di Guglielmo dei domini di Fosdinovo, sia di per sè stessa,’ sia per il complesso di interessi posti in giuoco da quell'importante consorzio signorile, che, caso non frequente nella Lunigiana medievale, si presenta costantemente concorde, retto da un istinto di solidarietà famigliare conservato attraverso le generazioni sus-seguentisi e frutto naturale d’un severo «modus vivendi» e d'una non oscura tradizione. Anche sotto quest’aspetto, essi ci richiamano i Bianchi di Lunigiana da cui sono sciamati. (’) (1) Ritengo non inutile tracciare la genealogia dei domini di Fosdinovo tra la seconda metà, del secolo XII e la line del secolo XITT, quale ci è disegnata dalle carte del Cod. Pelavicino. 88 Treguani de Lunexana Se pure l’importanza dei domini di Fosdinovo negli affari della Lunigiana vescovile si afferma in modo netto nei decenni immediatamente successivi alla tregua del 1172, 11011 si può negare la loro o*ij\ anteriore qualità di feudatari del Vescovo almeno per una parte dei beni e dei diritti loro pertinenti. La cessione dei beni al Vescovo, seguita dalla· consueta infeudazione vescovile, effettuata da parte di‘Montanino e Gaforo nel 1184 (J), estende semplicemente a tinti i loro beni la qualità di feudi vescovili e pel ramo di Ga- OUGLIELMO vivente nel 1172 f av. 1181 GAFORO teste alla pace del 1124 vivente nel tempo del Vesc. Goffredo II (1134-1153) GHERARDO vivente 1203 ΑΤΤΟΝΕ - ieste nel 1193 alla convenz. del Vesc. con Sarzanaper regol. mat. penale — teste nel 1203 alla in-feudaz. dei Vezzanesi — contende col Vesc. per Pulica nel 1211 MONTANINO vivente nel 1202 presente ai giudizio contro un Aldoberto perTivegna GUGLIEMO cit. in atti cel 1236-7 SALADINO — teste nel 1231 a convenzione del Vescovo con gli Erberia estimatore nel j 235 col Vie Alberto dei beni e dei diritti ceduti al Vesc. dai Vezzano di Lamberto. ALTRI TESTI GAFORÒ già adulto nel 1181 ; assieme al padre cede be. ni al Vesc. per riaverli a feudo nel 1184 — vivente nel 1211 SALADINO già f nel 1279 GERARDO cit. nel 1 54 ZUCHANO GUGLIELMO contende col Vesc. Gualtiero per Pulica nel 1211 GUALTEROTTO ROCHEXANO citato nel 1?31 GERARDO detto FRO citato nel 1231 ; f av. il 1255 GERARDO FRUMENTO citato nel 1155 Quasi certamente l'origine comune deve ricercarsi nell’immediato antecessore, sconosciuto, di Guglielmo e di Gaforo. Per gli Erberia, notiamo in Lunigiana nello stesso periodo di tempo le stirpi di Gerardo da cui Guido, il Podestà e Rettore dei Bianchi nel 1188,e il figlio suo Palmerio erede della carica paterna nel 1231 ; di Giberto, da cui Arduiuo coetaneo di Guido, ed il figlio suo Gibertiuo; di Lanfranco coetaneo di Arduino e di Guido. Notiamo poi Bernardino, che contende per Pulica nel 1211, ed il figlio Pietro coetaneo di Palmerio e di Gibertino. (1) C. P. n. £00. Ferruccio Sassi 89 foro il vecchio. Ma nè esclude tale qualità per il ramo stesso nel periodo anteriore per una porzione dei diritti; nè tanto meno lo l>uò escludere per il ramo del vecchio Guglielmo, i cui discendenti compaiono trascorei appena pochi anni e pressoché in tutti gli atti politicamente più importanti della curia senza che sia ricordato un particolare di omaggio posteriore al 1172. La sfera d’azione dei domini è descritta; molto bene dall’atto del 1184; «a juva que est super pleben S. Laureneii que est ut aqua diffluit usque Auulam et usque ad mare, et sicut acqua diffluit ab Alpibus usque ad portam Bertrams usque ad mare et a flumine Macre eundo usque ad mare per locum dictum Ca.nevariam usque ad stagnum et sicut stagnum intrat in mare». Ï3 lina zona assai vasta quella che i domini direttamente controllano nel campo giurisdizionale e militare. E la visuale ancora si allarga ove si rifletta alle numerose ed importanti cointeressenze che alcuni dei rami degli Erberia mostrano di avere conservato nei castelli e nei borghi sorgenti numerosi sul crinale spiovente nelle vaili della Magra e del Bardine. Basterà ricordare le vertenze ed anche — ma più tardi, quando il dominio vescovile si va recisamente affermando — le cessioni riflettenti Marcioso e Pulica e Mon toni agno e il Monte Cernitore e via dicendo t1). Non è possibile differenziare la condotta dei domini di Fosdinovo da quella degli Erberia. E con questi si giunge, attraverso l'intera Val del-Γ Au Iella e dei suoi affluenti, proprio a ridosso dei feudi dei Malaspina dallo Spino fiorito, eli quelle terre del Taverone e del Ba-gnone che più innanzi nel tempo serviranno spesso di punto d’appoggio per l’espansione dell’influenza di signorie o ìli dominazioni lunigianesi e forestiere. ^ Ï0 il caso di passare ad un altro dei treguani : Greco de Fé-lecteria. Chi possa essere costui ^ non è difficile immaginare. Raccostiamo pure la carta del 11 <2 alla pace del 1202 tra Vescovo e Malaspina, che in questa occasione può fornirci lumi sufficenti. Fra coloro che dovranno giurare i patti notiamo i « domini et populus » di Gio\ agallo, di Calice, di Mulazzo e poi globalmente indicata tutta una serie di vassalli e di rustici della riva sinistra della Magra, dalle sponde del fiume con Villafranca e Filattiera su a Bagnone e sino al cuore dell’impervio Appennino con i Bianchi, i domini ed il popolo di Verrucola ridiscendendo poi sino ai domini di Gragnana. Ecco quindi Greco di Filattiera rappresentante, nel consolato della tregua, degli interessi e delle aspirazioni d’una numerosa classe di vassalli delle terre dei Marchesi, dei più prossimi a Pontremoli, dei più soggetti perciò all’influenza prevalente mente spirituale, ma senza dubbio anche materiale, del Comune pontremoles'e; e perciò anche dei più propensi ad orientarsi poli- (1) ib. nn. 499, 502, 504, 507 etc. 90 Treguani de Lunexana ticamente verso il Piagnaro ed assorbirne i principii di vita, an-zicliò lassù verso i manieri ove « Saltellante la grandine picchiava Le vetrate e imbiancava il fuggitivo Balen le appese a muri armi corusche » Ed infine, ecco il rappresentante del «libero» comune pon-tremolese Albertino — console e treguano di Ponti-emoli , d solo comune lunigianese, il vero ispiratore della« tregua de L nexaua », che aveva saputo in sè raccogliere — più che» fonde e " le energie fluenti come le acque del \ erde e della di le forre dell’Appennino, del comune che, pm di ^«1, sentna bisogno di opporre, alle cupide brame dei poco pieghevoli vicm , forza a forza, insidia ad insidia. Se i vassalli dl soi' vano apportare alla tregua forze materiali non md ^renti o tanto da Pontremoli - per la stessa ^-^tituzione politica co ^ trastante con l’organizzazione sociale della restante Lunigia a potevano e dovevano partire le idee ispiratrici, organizza i , -rettive di un movimento unitario che in fondo spingeva conti o feudalismo coloro stessi che ne erano direttamente beneficiati Dall'osservazione delle posizioni occupate m diritto e te. -reno dai singoli rappresentanti della tregua, mi sembra logico dedurre che di questa dovessero far parte soprattutto, e quasi direi esclusivamente, le terre lunensi a levante della Magra, dal fiume all’Appennino ; e in tal caso non sarebbe troppo azzardata 1 il o tesi che quel Guglielmo de Rafia rappresentasse domini minori delle valli del Taverone, del Caviglia e del ]Baguo e chiudendo così il circuito che giungeva alla Cisa partend da ne lembi di terra ove meno ferma era ancora χ influenza della cuna vescovile di Luni. . . , , Sarei perciò indotto ad affermare, eliminando ogni dubbio dalla congettura formulata dal Volpe, che realmente nella tregua- do-vesser entrare promiscuamente energie comunali —· queste con carattere idealmente direttivo — ed energie feudali, di carattere promiscuo ecclesiastiche e laiche. Come mai, allora, questi treguan della Lunigiana orientale possono intervenire in una questione che trova il suo svolgimento soltanto ad occidente della Magra. La risposta non mi pare troppo difficile. Certamente la tregua era stata conclusa all infuori, ed anzi contro, la volontà di coloro che incarnavano l’idea fendale ed. avevano iì massimo interesse alla conservazione del sistema politico. Vescovo e Malaspina, Scopo ultimo, di fronte al quale_ tutti gli altri — compreso quello di conservare la pace in Lunigiana — passavano in seconda linea: per il Comune di Pontremoli, conservar la propria autonomia e possibilmente espandersi, Ferruccio Sassi 91 e per gli altri, svincolarsi dal vassallaggio e tentare vita propria. Non bisogna infatti dimenticare che sono proprio questi gli anni in cui Federico I, costretto dalla Lega Lombarda a rivarcare in gran premura le Alpi, dopo Γinfruttuoso assedio di Milano del 116S, trovasi impelagato in intestine lotte germaniche ed impossibilitato a tutelare in Italia il prestigio dell’impero : Toccasi one è propizia. Ed ora riaccostiamo pure la tregua del 1172 alla pace del 1202, ma non tanto alla clausola per cui i « juratores » si impegnino ad aiutarsi scambievolmente in caso di sede-vacanza vescovile, quanto all'altra per cui essi stessi si obblighino a far osserva e A due contendenti maggiori i patti stabiliti e a mantenere tra essi la, pace con argomenti persuasivi. Gli «juratores», che ora comprendono tutta la Lunigiana feudale, ci appaiono perciò come treguani sotto quest’ultimo aspetto e sotto quello indicato dal Volpe, ma rivestono anche pratica-mente la qualità di arbitri delle questioni che avessero ad insorgere tra i loro stessi diretti signori. Questo è il lato politicamente preminente della loro complessa figura, pel quale in definitiva conservano essi una posizione equidistante tra le due forze opposté e ne costituiscono una terza in grado di inserirsi fra di esse per abbattere l una o l’altra od entrambe a seconda delle circostanze. Poiché, da che mondo è mondo, fra due che bisticcino è proprio al terzo, riconosciuto arbitro, che compete la preponderenza quando abbia sufficiente forza: il che, nel caso specifico, è fuor dubbio, poiché precisamente esso avrebbe dovuto fornire le milizie più scelte ai due contendenti. E il pericolo è così evidente che tanto il vescovo quanto i Malaspina si guardano bene dal ricadere nel medesimo errore e cercano invece — per i Vescovi l’azione ci è ampiamente documentata nel Codice Pelavicino — di scalzare con lusinghe, con concessioni, con minacele la posizione preminente che essi medesimi hanno riconosciuto ai loro vassalli. Ritorniamo ora al 1172, anteriormente cioè all’opera di paziente penetrazione dei Vescovi nella montagna fosdinovese. diretta ad attrarre in modo dolce ma continuo i domini di Fosdi-novo nell’orbita della contea vescovile in posizione subordinata. Ne citerò per brevità i soli momenti più salienti dopo la ricordata cessione del 1184. Nel 11S6 0), vertendo contestazione tra gli uomini di Pulica e i domini di Fosdinovo circa le prestazioni che quelli debbono a questi, il Vescovo Pietro e Guglielmo Bianco di Vezzano « honorem fidelium augere potius quam minuere et eorum amore benigno favore retinere volentes » acconsentono che gli uomini di Pulica <( adiuvent facere et attrahere palos, vimenas, sepes, boceos, palancam, scelonos, et lignamina ad bertescam et betefredimi tantum ». « Et nielli! alliud », sia pure, poiché già abba- co Cod. Pel. li. 499. 92 Treguani de Lunexana stanzi, è stato accordato con questa carta, clie ad un amatore consentirebbe di disegnarci con molta approssimazione una veduta ideale di questi castelli della montagna lunense sul finire del secolo XII. E nel 1197 0) il Vescovo Gualtiero — investendo Ma· snerio, Marchesello e Selvagio qm. Bonaccorso di un terzo del castello di Marciaso — riconosce loro il dovere di non marciare contro i Marchesi di Massa, i Marchesi Cavalcabò e i domini di Fosdinovo. Fra l’uno e l’altro atto, l’opera vescovile conseguiva ottimi successi nel versante dell’Aulella dove — alla presenza di Atto di Fosdinovo, fratello del console treguano Gerardo, di Pal-miero e Greco di Trebbiano, di Ribaldo di Giovagallo e di altri — Lombard elio qm. Pellegrino di Burcione immetteva il vescovo Pietro nell’alto dominio della quota spettantegli sul castello della Brina. (2) Ritorniamo, dicevo, ali 1172, e non avremo alcuna difficoltà a riconoscere in alcuni di quetsti « juratores » del 1202 — in quelli della montagna — gli esponenti del movimento politico della « tregua » che meglio avrebbe potuto chiamarsi alleata per la conservazione ed il miglioramento della: posizione del Comune autonomo e di vassalli semi-indipendenti. Non potremo dunque meravigliarci di vedere la tregua interessarsi della sorte di Trebbiano. Sarebbe in verità un portar vasi a Samo insistere sull’importanza politica e militare di questo castello. Soffermiamoci piuttosto sulla condotta degli interessati, in quello scorcio d’estate apportatore di tempesta per il Pastore e la Chiesa di Luni. Il Volpe prospetta l’ipotesi che almeno sotto mano il vescovo abbia appoggiato le forze dei Vicedomini rimasti nel castello avverso Parente e Giu-stamonte, i Genovesi e la « tregua ». Modestamente, lo affermerei : ma non già perchè il Vescovo ambisse allungar le mani sulle rendite del Vicedominato, bensì per ben altro motivo, assai più grave. Ho provato in un mio breve studio antecedente (3) come l’istituzione del Vicedominato lunense presenti le caratteristiche d un ufficio creato in momenti religioso-politici specialmente delicati e sotto la pressione di avvenimenti sfavorevoli tanto per la Chiesa in generale quanto per il Vescovado di Luni in particolare. Mi sono soffermato altresì sulla fase critica che l’istituto del Vicedominato attraversa,· passando da carica personale ed unitaria ad ufficio consortile. Or non è chi non veda come nel trapasso, analogamente a quanto già si era verificato altrove in tempi precedenti e pel vicedominato e per il Viscontado e per TAvvocazia, fosse troppo facile per- ei) Cod. Pel. n. 511 (2) ib. iu 517. (3) «Viccdomini e Gastaldi del Vcscov9 di Luni» in «Gior. Stor. e Lett, della Liguria»,. IH, 2. Ferruccio Sassi 93 dere rapidamente di vista — da parte degli investiti — il vero originario carattere dell’istituto, creato in Lunigiana spiccatamente ed esclusivamente per l’interesse della Chiesa, non del singolo o del consorzio. Il frazionamento, la ripartizione consortile creavano cioè, col moltiplicarsi dei rami, sempre maggiori difficoltà al riconoscimento dell’autorità vescovile, al contrario, almeno mi pare, di quanto generalmente si verificava per gli altri consorzi di vassalli, la cui azione non era di cosi vitale importanza per garantire al V escovado la libera esplicazione della sua missione, e che non erano <( ipso jure » così intimamente legati alla vita stessa della curia. (L) Nulla di strano perciò che il Vescovo fosse incline a favorire anziché ostacolare ogni azione che potesse condurre, anche soltanto gradualmente, al ristabilimento dell’ufficio personale: e naturale .altresì, date le premesse politiche della ((tregua», che gli adgrenti ad essa impugnassero le armi, ufficialmente per ristabilire la pace in Lunigiana, in realtà per indebolire il vescovado ed iscalzarne uno dei capis.aldi, anzi — con Sarzana — uno dei più delicati. Quanto a Genova... Lucca forse — nonostante i patti del 1266 — od anche Parma, Piacenza poi senza dubbio, con la quale i Pont remolesi avevano instaurato ottimi rapporti di lì a poco solennemente riconfermati, avrebbero ben provveduto ad arrestarne la marcia quando il passo ne fosse divenuto accelerato. Non per nulla eravamo al tempo dei « liberi » Comuni, con tutti i beni ed i mali annessi e connessi. E segnaliamo pure all'attenzione degli studiosi questa tipica manifestazione lunigianese di idee e d’istituti comunali, trasformati in uno, sia pur transitorio, strumento politico di portata regionale. Ferruccio Sassi (1) La fase consertile del \icedominato si inizia precisamente in Lunigiana con i genitori dei signori di Trebbiano in lotta fra di loro nel 1172, conio si può arguire dalla ripartizione delle quote, latta in base al lodo di Ugo Vescovo di Ostia. Cfr. in proposito O. P. n. 492, il mio studio cit. e F. Poggi. Lerici e il suo castello, I pag. 197 e ?egg. Sarzana, Tip. Costa, 1907, Agostino Ruffini a Edimburgo i Continuazione vedi numero precedente) IV. La famiglia degli Hunters era, in questo senso, una famiglia ideale. Quella grande cordialità che distingueva i due sposi era ben nota ed apprezzata in tutta una vasta cerchia d’amicizie che andavan dal ministro della propria a quello d altra chiesa, dal magistrato pubblico al poeta rinomato, dal direttore di giornale al professore d’università, dal promettente avvocato novello all esordiente architetto. Alle feste familiari, che in casa Hunter eran numerose e bellissime, s’accoglieva tutta questa varia e nobile folla: ed erano allora quei trattenimenti o, come si dice in inglese Parties, che davano ai convenuti la tangibilità e la immanente certezza d’una felicità in terra compiuta e totale. Agostino Ruffini era sempre della felice comitiva. Non eli egli fosse felice con quel suo carattere chiuso e, a volte, cupo, con quel suo cuore lacerato ; ma tutti sanno che la miglior medicina per chi pa/tisce di mali dello spirito è pur sempre la compagnia lieta, l’ambiente riposato e tranquillo, l'aspetto sorridente di tutte le cose. In casa Hunter egli era del resto un ospite assiduo : la sua presenza era tollerata, anzi richiesta anclie nei giorni domenicali, allora quando cioè il buon costume voleva che, fatta eccezione per l’andata e il ritorno dalla chiesa, non s’uscisse di casa per nessun motivo, e sotto nessun pretesto si facessero o accettassero visite. (A questo proposito è tipico il caso di quella signora che, per esser più ossequiente all’uso dei tempi, la sera del sabato si faceva chiudere entro la sua casa dalla domestica che, andandosene pei suoi venti, dato il doppio giro alla serratura, recava seco la chiave e ritornava solo ad aprire il lunedì mattina. La buona signora standosene così in clausura pregava e meditava, e se qualcuno veniva a bussare —· poiché anche a vincer tutto la donna non vincerà mai la sua curiosità e la sua smania di far due chiacchiere — andava ad occhieggiare da un [tassello fatto all’uopo in mezzo alla porta e, se riconosceva nel volto del visitatore un amico, attaccava discorso, che, dicono i malevoli e maldicenti contemporanei, a volte durava più ore; se no chiudeva cautamente e tornava a rintanarsi). Non così facevano gli Hunters. Agostino era sempre ammesso in casa loro, poiché egli era considerato come un familiare. Pranzava in famiglia, sostava in famiglia fino a tarda ora, e andandosene accompagnato immancabilmente fin sulla porta del giardino Alfredo Obertello 95 dal suo ospite, interrompeva alfine la discussione su questo o quell'argomento, che era nata al solito fra i’una e l’altra fumata copiosa, fra Puna e l’altra tazza di tè, quando non si trattava di capaci tazze di brina montanina, cioè di wisky. Walter Scott, anch’egli avvocato e poeta, disse bene dei suoi concittadini : che avevano il «prurito del disputare» Edimburgh 'pruritus disputandi (r). Si narra perfino il caso di colui che per finire un argomento sul quale le sue opinioni non andavano d’accordo con quelle di uno dei quattro testimoni, dimenticasse d’entrare in chiesa a dire il si delle sue nozze sospirate. John Hunter, come abbiamo visto, era avvocato ed era poeta: e grande era dunque la copia degli argomenti che lo interessavano. Di natura piuttosto romantico e in ogni caso idealista, in religione e in morale era puritano, ma in arte e inj politica era liberale. Virgilio, Dante, Milton, Shakespeare — tutti i più grandi poeti favoriti dai più grandi spiriti; Wicliff, Lutero, Calvino, John Knox — tutti i più accesi riformatori favoriti dai più ardenti riformati; Catone, Boezio, Machiavelli, Garibaldi — tutti i più grandi apostoli della libertà favoriti dai più grandi patrioti, formavano oggetto di interminabili discussioni nelle quali le idee si chiarivano ma nello stesso tempo si acuivano, e più rigide venivan così a stabilirsi le convinzioni personali, e più accaiiita si faceva dunque la disputa-zione. Certo, su molte cose i due amici andavan d'accordo : sulla grandezza di Dante e di Milton e di Shakespeare; sulla necessità pei popoli dell’indi pendenza nazionale : ma in faitto di religione e di moralità, qui principiavano i guai!... Per questo, fin sulla porta ed oltre, si continuavano le sere delle domeniche le discussioni ! John Hunter era un intelletto di natura speculativa più che creativa. Buon linguista e studioso ardentissimo di letterature straniere e in modo speciale della italiana, veniva considerato ai suoi giorni come un acuto intenditor di poesia, e, come tale, le sue opinioni eran citate favorevolmente a pro’ di questo o quello scrittore. E’ °ncor oggi viva la tradizione che fa di lui il più illuminato ri-vendicatore della poesia di Keats ; poiché sembra si debba attribuii'' alle sue lodi entusiaste la favorevole critica di Lord Jeffrey che, comparsa sulle colonne dell’allora famosissima e autorevolissima Edinburgh Review, racconsolò gli ultimi giorni del poeta morente in Roma. Comunque sia, — e su questo non si potranno mai avere documenti — è certo però che alla morte di Jeffrey, la seconda moglie di lui offrì allo Hunter la copia del ritratto di Keats dovuto al Severn, che il poeta aveva inviato al critico per suo ultimo e cordiale ringraziamento. Di questo ritratto esiste un duplicato nella Keats’ House di Roma. (]) Journal di Sir Walter Scott : Nov. 20, 1825. 96 Agostino Ruffini a Edimburgo Un piccolo s ol umetto clie l’autore intitolò brevemente e umilmente Miscellanies e che firmò con le ultime lettere del suo nome N R., testimonia F impegno che John Hunter metteva nello scrivere versi, anche se grande poeta egli, naturalmente, non fosse (*), In ciò, simile ad Agostino. Resta anzi un curioso documento d’una specie di gara poetica nella quale l’uno impegnò l’altro a mostrare il proprio valore. Sembra che più volte lo Scozzese sollecitasse l’italiano a mostrargli i suoi versi, i versi scritti in segretezza e della· cui esistenza trapela van segni da certe allusioni che nel calore delle discussioni, malgrado la buona volontà di tacere sempre e definitivamente su questo punto, scaturivano assai esplicitamente. Agostino Ruffini però nicchiava, e opponeva alle insistenze dell’amico la ragion ultima e definitiva : sono esercizi, non sono creazioni. L’altro, da buonissimo scozzese, duro! Ma la partita, così non la vinceva. Studiò allora uno stratagemma : prima inviò le sue Miscellanies ancora in manoscritto, con la preghiera di fabbricarsi un’Edimburgo a Genova o in riviera, dove potersi racchiudere per sempre. Ma, purtroppo, anche questo è un sogno ! Assistiamo così a quella rapida sua decadenza prima spirituale e poi corporale che lo strazia per brevi anni, a poi, datagli la suprema pace dei sensi e dell’anima in una pacata confidenza in Dio, lo conduce alla tomba (2). Il ciclo è conchiuso. (1) « We heard of hia arrivai in his native town, of the haste of the Genoese to do him and brother by electing them as representatives of the city in the Sardinian Chamber of Deputies, and of the participation of the two brothers in the proceedings upon which so much depended. Then we heard of the appointment of the elder brother for a time to the post of Sard in. am Ambassador to France. But of Agostino, meanwhile, the news was and wear of new anxieties. Utterly prostrate, at last, by a paralitte affliction, he had to sad. What strength had remained in his long enfeebled frame had been too little for the tear watch that progress of events, amid which he would have fain been active, as a helpless and bedridden invalid. Πβ had been .restored to his native land too late ». Masson, studio citato, pag. 142. (2) Mentre la severa amica stava per ghermirlo, egli, nell'ultimo soffio mortale, compose per gli am.ci scozzesi, \cnu-il ancora ad assisterlo di lontano, le tue parole estreme: Affetto profondo! Era quanto aveva da lascia»’ loro: ed era tanto. 112 Agostino Ruffini a Edimburgo Un amico di Edimburgo, ancora il Masson (1) , riassumeva per tutti lo strazio di quella perdita ormai irreparabile, con le grandi parole : « Più che mai care e benedette saran per noi quelle strade e quei suburbi della nostra città fatta più ricca dal ricordo della sua antica presenza, nei quali s'usava passeggiare insieme. Più cara in particolare sarà per noi l’ampia e triste George Street in cui egli aveva la sua abitazione. Là nella camera superiore dove pobabiJ-inente non entreranno più i nostri passi mortali, quante volte abbiamo potuto contemplare il suo bruno e gentil viso con quegli occhi dolci e espressivi, e quante volte non abbiam partecipato al suo sereno e delizioso conversare! Ah, così è che per mezzo della semplice vita d’un uomo nato in una plaga «lei globo e gettato da una serie di eventi in altra lontanissima, terre assai distanti e climi assai diversi possono venire congiunti nello spirito indisolubilmen-te!». Parole sulle quali noi italiani d'oggi dobbiamo un poco meditare. ALFREDO OBERTELLO. 'lhe Witness, citato LETTERE INEDITE DI MAZZINI E DI GARIBALDI Oltre i varii documenti, relativi alla storia letteraria specialmente (l) ed ai pochi riguardanti la storia della Corsica (2) si trova, nella biblioteca universitaria d’Amsterdam, una lettera che Mazzini dirigeva ad Agneni, nel maggio 1831, scritta con ogni probabilità da Marsiglia. Benché essa non abbia un grande interesse storico, ci sembra meriti di esser resa nota. Caro Agneni, Una moglie di nostro, madre di quattro figlie, e povera, lia bisogno di un piacere che, a quanto mi dicono, non dà rischio alcuno il chi glie lo facesse. Ve ne sarà parlato dal Dr. Ripari; ed io iivav venturo a dirvi che se mai poteste esaudir la dimanda, fareste piacere anche a me : avrei fatto io, ma non posso materialmente. Vogliatemi bene; vostro amico Maggio, 31 Gius. Mazzini (3) Le due brevi lettere di Garibaldi non hanno invero un particolare interesse, ma poiché il raccoglier tutto quanto si trova sparso in tutto il mondo è tangibile prova dell’amor vivo che tutti portiamo al nostro grande eroe nazionale, non ci sembra inutile trascriverle. (1) Di prossima pubblicazione in Rivista Storica degli Archivi Toscani, (2) Archivio Storico di Corsica, 1032, fase. S\ (3) Bibliot. Univ. d’Amsterdam, Manoscritti lì. x. 23, b. 114 Lettere inedite di Mazzini e di Garibaldi Caro Ruston, CapreraJ 7 maggio 1S68 Ho ricevuto le vostre affettuose lettere. Sento quanto mi dite di Napoli. Io già conosco l’affetto che ha per nie quella* cara popolazione. In quanto alla mia· salute tranquillatevi; la mia ferita migliora sempre, e spero presto lasciar le gruccie. Fate arrivare la qui acclusa alla Signora contassa· di Holzfeldtr e con stima credetemi vostro G. Garibaldi II' Mio caro Avezzana, Ti prego d’inf ormarti se a Napoli vi tosse la Signora Giulia Salis Schwabe, che si occupa della istituzione di scuole per le ragazze. Essa aveva incaricato la Signora Reives per tali organizzazioni. La Reives è morta, e se si trovasse costì la Signora Schwabe te la raccomando caldamente. Un caro saluto alla famiglia dal tuo Caprera, 4 dicembre ISTI G. Garibaldi (l) ■X * * Altre due lettere di Garibaldi si trovano nella Biblioteca Reale dell'Aia. La prima si riferisce al noto appello che il nizzardo rivolse agli italiani, iu vista di preparare le armi per una nuova azione liberatrice. Essa non porta l’indicazione della persona alla quale era diretta, della quale però non credo sarà difficile l’identificazione. (1) Sia l’uua che l'altra si trovano nella Biblioteca universitaria Amsterdam. Manoscrittiz D. r. 152 S. Mario Battistini 115 Caro amico, Caprera, 17 agosto 1863 Ho chiesto un altro milione di fucili agli Italiani. Sicuro del vostro concorso delego voi a raccogliere i fondi necessari associandovi, ove il crediate utile, altre persone per comporre una commissione. I fondi raccolti li verserete nelle mani del sig. Adriano Lemmi nostro cassiere in Torino. Vostro G. Garibaldi Caro Lafarina, Genova, 20 dicembre (67 o 68) Il nostro Briseiotti, latore di questa, abbisogna d’un passaporto per i motivi che vi spiegherà lo stesso. Vogliate esser tanto buono da procurarglielo e comandate il vostro G. Garibaldi (v) Questa seconda lettera, diretta a Giuseppe Lafarina, Torino, via Goito 3s. 15, è del 1867 o 68, ma la calligrafia del generale è sì irregolare in questa indicazione che non ci è stato possibile poter compiere la lettura delle due cifre. Mario Battistini. (1) Bibliot. cit. d'Amsterdam. Manoscritti. D. s. 138. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE SULLA CORSICA (Contiti. vedi num. precedente) Dalla cessione della Maona (1378) alla rivolta del 1729 ADAMI Vittorio. — La Corsica sotto i Duchi di Milano, (1464-1479), in Archiv. Storico di Corsica, 1925, pagg. 170-194. ADRIANI. — Istoria dei suoi tempi. Firenze, Giunti, 1583. G AMBROSI A. — La Banque de Saint-Georges et la Corse de 1453 à 1562, in Bull, de la Soc. hist, et nat. de la Corsf, 1912, (Ann. 32), (fase. 340-342), pagg. 209-245. - AMBROSI. — Un épisode de la guerre entre Gênes et Aragon (1402-1431 ) Vincentelio d’Istria, in Bull. Soc. hist. Corse, 1911, (nn. 325-327), pagg. 1-64. ARRIGHI A. — Histoire de Sampiero Corso ou Guerre de l’indépendance, 1551-1509. Bastia. Fabiani, 1842, 8% vol. 1 BG ARU Carlo. — La Difesa litoranea della Corsica durante il periodo genovese. Cagliari, Editoriale Italiana, 1927. Ree. Luigi Venturini, in Archiv. Stor. di Corsica, Gennaio-Giugno 1927, pagg. 172-173. [L’organizzazione della difesa dell’isola durante le incursioni barbariche del secolo XV e XVI.] Gg BACCHERÒ Giuseppe. — Genova e le due Riviere. Descrizione di Genova, Luigi Pellas Ed., 1846, 8°, pagg. CXXVIJI, 772, 112, con tavole, fNotizie su legati riguardanti la Corsica, i Governatori dell’isola (lista completa), il governo di S. Giorgio, ms.] BANCfiiLRO. — Annaie.-: de B. ancien podestat de Bastia; Manuscrit inédit; Texte italien, publié par M. Letteron, in Bull. S. des Sciences corses, 1887,· (Ann. VII), fase. 80-82, pagg. 1-220. [Notizie sui ms di quest’epoca e su Banchero]. BANCU (U) de San Giorgiu e a Corsica, in Almanaccu di A. Muvra, 1927, pagg. 203-205. BELGPANO. — Un assassinio politico nel 1490; Ranuccio de Leca (1490 per L. T. B. D In Atti Soc. Lig. di Stor. Patria, Genova, 1898, XIX, 425-462; 2) in Bull. Soc. hist, de la Corse, 1889, Ann. IX, (fase. 103-106), pag. 475-516; 3) Bastia, Ollapnier, 1890, 8\ pagg. 42. BONOLIS. — Sulle maone Genovesi e su una maona fiorentina sconosciuta, in «Il Diritto Commerciale», Pisa, 1907, pagg. 489-506; 833-864, Estr. Firenze, 1907, pag. 3 flegg. Renato Giardelli 117 BOSIO Jacomo. — Della Istoria della Sacra Religione et illma ]\Iilitia di S. Giov. Gieroso-lom [ita] no di J. B. Parte Prima di nuovo ristampata e dal medesimo autore ampliata ed illustrata. Roma, appresso Guglielmo Facciotto, 1621, Tom. I-III. [Trattative di Alfonso dOrnano con Acciaiuoli a Firenze per far passare l’isola sotto l’ordine Gerosolimitano. Tom. III, pag. 795.] BRACELLIUS Jaco'bus. — Genuensium a secretis De Bello quod inter Hispanos et Genuenses seculo »suo gestum Libr. V, in Graevius,. Thesaurus Antiquitatum, Tom. I, Pars I, pag. 1267. [Notizie sull’assedio di Bonifacio. Rapporti di Genova con Milano.] CASONI Filippo. — Annali della Repubblica di Genova del secolo decimo sesto descritti da Filippo Cason*. Genova, per Antonio Casamara, 1778, 8°, pagg. \ 1-392. [Libr. VI Difesa di Corsica contro Enrico IT, pagg. 216-265; Libr. VII Sampiero, pagg. 266-277; Alfonso Ornano pafg. 293-304. LJbr. Vili e IX pochi accenni.] CASTAN Aug. — Anneau d’investiture pour la souveraineté de la Corse donné en 1453 à St. George de Gênes, conservé au musée de Besançon et interprété, in 'Mémoires de la Société deft antiquaires de France (lSg2), Tom. 43. CESSI L. — Studi sulle Maone medioevali, in Archivio Storico Italiano, 1919, (Ann. 77), pagg. 5-69. [Spiega l’essenza giuridica della Maona, ma non parla di Corsica.] CESSION de la Corse à la Banque de St. George, in bull. Soc Scient. Corse, 1831-2, pag. 213. [Spoglio di vari articoli in Manno, n. 17463.] CHANTELAUZE. — Lettres et Mémoires sur les affaires de Rome. Part. I, Affaire de la garde corse et du duc de Crequi, ambassadeur de Louis XIV à Rome (1662-1663). Paris, Hachette, 1882, 8°. CIRNI Antonfrancesco. — Commentari sull'ultima guerra di Francia di A. F. C. corso, neili quali si descrive la guerra ultima di Francia, la celebratione del Concilio Tridentino, il soccorso d’Orano, l’impresa di Pignone e l’historia dell'assedio di Malta diligentissimamente raccolta insieme con altre cose notabili.... coi privilegi di Nostro Signore, del Re di Francia, della Repubblica di Genova, dei Duchi di Savoia, di Lorenzo d’Ur-bino e d’altri principi. Roma, Guido Accolto, 1567, 16°, pagg. 133. G. COMMISSARIO (Un) che va in Corsica, in Giornale Storico della Lunigiana, Vol. II, (1910), pagg. 215-217. [È AnVbrogio di Negro inviato dall'ufficio di S. Giorgio; 14S8 : Corsicae Commissari M. Si descrivono gli andirivieni del viaggio.] CONVENTION entre Giudice della Rocca et les Protecteurs de Saint George (1453), in Bull. Soc. hist. Corse, 1882, n. 15, pagg. 113-425. CONVENTION entre l’Oflìce de Saint George et Galéas de Campo Fregoso quei cède les places de Saint-Florent-, Biguglia, Bastia et Corte, (1453), in Bull. Soc. hist. Corse, 1882. (n. 17), pagg. 501-514, 619), 554 561. CONVENTION entre l’Offlce de Saint-George et les t-eigneurs Simone et Giovanni da Mora, 6 Die. 1454, entre Ranuccio de Leca et la commune de Gênes, 2 mai, 1440, in Bull, hist, de la Corse. R. S. Ili, 351. CONVENTIONS entre G. B. Doria délégué de Saint George et les Seigneurs du Cap. Corse, 1453. In Bull. Soc. Scient. Corse, (1881), fase. 12, pagg. 305-325. 'COSTA de Bastelica. — Sampiero Corso. Ajaccio, Impr., I Zevaro, 1905, 8°, pagg. 344. Ree. Assereto in Giorn. Stor. e Lett, della Liguria, 1906, pagg. 94-100. [Importante per quanto riguarda Sampiero : usa fonti francesi.] 118 Saggio di una Bibliografia Generale della Corsica ÇUK1TA Geronimo. — Los c-nco llbros postreros de la prima parte de los annales de la Corona de Aragon compuestos por G. Ç, chronista del regno. Çaragoça, Petro Bernuz, 1522, (Tom. II) Libr. VI, Cap. 52. pagg. 46. [Sottomissione della Corsica ad Alfonso d’Arasona : notizie tratte da Ramon Montaner.] % ESTE (Reynaud d'). — Mémoires depuis l’an 1657 jusque au dernier de septembre 1673 jour qu’en d’autres lieux, durant ce temps, sons la conduite de ce prince. Cologne, Demen, et an de sa mort où l’on voit tout ce qui s’est passé de remarquable tant à Rome 1677, 12*', 2 voll. FONTANA Pau1.. — L'anneau d’investiture pour la Souveraineté de la Corse in Petit Marseillais, 15 Août, 1D26. FONTANA Paul. — Vanina d Ornano et Sampiero : leur lontrat de fiançailles, 1526, iu Revue de la Corse, 1926, pagg. 72-76. GALLUZZI. — Istoria del Granducato di Toscana sotto il Governo della Casa Medici a S. A. R. il Serenissimo Pietro Leopoldo... Granduca di Toscana. Firenze, per Gaetano Cam-biagi, Stampatore Granducale, 1781, (Vol. I), - 1781 (Voi. 5), con indice. [Trattative con Cosimo II, 57 segg.] ^ GERIN iCharles. — L’affaire des Corses en 1662-1664. Paris, Lecoffre, 1871, 8°. GIUSTIFICAZIONE del Sindacato tenuto in Corsica dalli Signori Carlo Spinola del quond. G io. Benedetto e Carlo Giustiniani del Sig. Luca nell’anno 1726. 1) Firenze, Stamp. Bernardo Paperini, 1727 pagg. 39; 2) in Atti della Società Ligure di Storia Patria, (X), pagg. 683-704; 3) Estr. Genova, 1876, 4‘, pagg. 17. GIUSTINIANI Agostino. — Dialogo nominato Corsica del Mons. A. G. vescovo di Nebbio, publié par M. de Caraffa, in Hull. Soc. hist. Corse, 1882, (21) pagg. 120. [Condotto sul ms. "Vaticano n. 812 e un altro di Oliviero de Santi 1731. Accuse ai Corsi e ai Genovesi. Impresso per la 1* volta nel 1882.] GIUSTINIANI Luca - INVREA Antoniotto. — Risposta data agli Ill.mi Signori Supremi Sindacatori dalli M. M. Luca Giustiniani e Antoniotto Iuvrea già commissari Sindacati del Regno di Corsica contro il ricorso dal M. Filippo Cattaneo, Genova. Per Antonio Ca samara (sd.). GONGORA (De) Luis. — Alcasar Pempicileon Real Grandeza dela Serenissima Republica de Genova escrita en lengua espaùola por D. Luis de Gongora Alcasar e Pcmpicileon y despues aûadida y traducida en lengua italiana por Carlos Esperon, noble Giuoues... Real Grandezza della Serenissima Republ. di Genova scritta in lingua spagnola... e poi aggiornata e tradotta.... Madrid, Joseph Fernandez, e in Genova Giovan Batt. Ti'boldi, 1669, 4°, pagg. 57-69. GREGOROVIUS. — Sampiero; Ein Heldenbi-ld aus der Geschichte der Corsen, in Allgemeine Zeitung, 1853, nn. 47, 48, 49, 51, 53, 54. INTERESTS et Maximes des Princes et des états Souverains. Cologne, Chez Jean du Pats, 1667, 16; Cologne, 1684, 16°, pagg. 46. [Diritti del re di Francia sulla Corsica.l LEN'GUEGLIA (Gio. Agostino della). — Guerre dei Genovesi contro Alfonso Re d’Aracona descritte da D. G d. L. dedicate airill.mo et Ecc.mo Signore Lorenzo Giustiniani senatore della Ser. Repubblica, Gem.va, per G'<.. Calenzàni, 1643, 6, pagg 121, 2 Γ. IH» 45. [Importanti le notizie sul mutamento deila pubblica opinione contro Filippo.] * Renato Giardelli 119 LETI Gregorio. — Vita del Catoliec Re FLippo II, Monarca delle Spagne sornomato il Politico con tutti, il Prudente nei suoi interessi, l’Accorto coi Soprani... scritta anzi raccolta di quanto sin’liora s’è pubblicato delle penne di tanti differenti Autori, espurgata dell’altrui passioni, ridotta in un ordine disinteressato da G. L. detto il Resuscitato - Premesso Dilucidazione sopra i titoli di Re Filippo. Coligni, Giovanni Antoni’o Choüet, 1679. [Dilucidaz. pagg. 18-19]. LETI Gregorio. — L’Italia Regnante di G. L. Parte III divisa in quattro libri nei quali si dà piena notizia del Governo, Forze, Ricchezze, Humori dei Popoli et ogni altra particolarità dello stato presente dei Regni di Sicilia, Sardegna, Corsica, Isola di Malta e Repubblica di Ragusa... Valenza, Pietro Francesco Guerini, 1676, pagg. 22-30. LEVATI Luigi Maria. — Dofji perpetui di Genova ann. 1339-1528 : Studio biografico. Genova, Marchesi e Campera, 1927, 8°, pagg. XII, 546 LIVI Giov — Delle relazioni dei Corsi colla repubblica Fiorentina e con Giovanni de’ Medici dalle Bande Nere. 1) in Archiv. Stor. Italiano, Serie I\, 1883, (XIII), pag. 415-436; 2) Estr. Firenze, Tip. Cellini, 18S4. Ree. Bertocci, Repertorio B bl. Ill, R S/546, pag. 424, n. 736. [Notizie su Sampiero, Vincentello d’Istria, Pisa. Corsi arruolati in Firenze, Trattative con Cosimo.] LIVI Giov. — La Corsica e Cosimo I de’ Medici. Florence - Rome, Frat. Bencini Ed., 1885, 8°, pagg. XIII, 413. [Opera di p(rima mano con materiale tratto dagli archivi di Parigi, Genova, Torino, Corsica ; fa menzione di tutti gli avvenimenti importanti che si sono compiuti in Corsica fino al 1769, studiando Saicpiero, l’offerta della sovranità a Cosimo. Ree. A. Medin, in Archiv. Stor. Italiano, Ser. IV, XVII, (1886), pagg. 405-411.] LOBERO — Memorie storiche della Banca di S. 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[Corsica, pagg. 1421-1434 passim: Descrizione. <1425) Sottomessa ai Genovesi, pag. 1434.] MERELLO Michele. — Della guerra fatta dai Francesi e dei tumulti suscitati poi da Sam-pi-ero dalla Bastelica nella Corsica. Libri otto di Michele Merello con una breve dichiarazione dell’istituzione della compera di S. Giorgio e dei principali della Corsica. Genova, Giuseppe Pavoni, 1607, 4°, 4 cc nn. pag. 594, 19 cc nn. MOLARD Francis — Documents inédits sur l'histoire de la Corse: Dépêches des piotecteurs de Saint-George Ìì. leurs fonctionnaires et leurs partisans dans l’île de Corse (14o4-57), in Bulletin historique et Philologique; 2) Paris, Impr. Nationale, 1897, 8°, pagg. 74. MORATI (De). — La Corse, Cosme 1 de Médicis et Philippe II, in Bull. Soc. de Sciences Corses, 1888, (Ann. VI), fase. 67-68, pagg. VIII, 100. [\uole, sulla base di alcuni documenti sfuggiti a Livi, dimostrare che Cosiino anteriormente al 1564 pensava alia Corsica e tenne poca sincerità nelle negoziazioni pensando a ingrandimenti territorial] MORATI. — Les Milanais en Corse. Une investiture de fief Cortinco par François Sforza. La terre des Communes, in Bull. Soc. hist, et nat. de la Corse, (Ann. XX), fase. -34, pagg. 1-112. Ree. Ugo Assareto, in Giornale Storico e Lett, della Liguria, 1901, pagg. 52-55. MORATI Antoine. — Sampiero e Vannina d'Ornano, 1545-1563, par M. A. de M., in Bull. Soc. hist. Corse, 1891, (XI), fase. 132, pag. 1-84. NASALLI-Rocca. — Un Piacentino Governatore di Corsca, (1465), in Archiv. Storico di Corsica, 3925, (I), pagg. 223-224. PERES - Corses et Génois - Pàris, Poitiers, Soc. d’Impr. et de Librairie, 1918, pagg. -90. PESCE Ambrogio. — Di Antonio Maineri Governatore di Corsica per l'ufficio di S. G'.orgio, (1457-1458), in Gornale Stor. e Lett, della Liguria, 1001, pag. 24-35. [Notfeie sulla sua opera di repressione dei delitti.] ORNANO (Marquis DO. — la Corse miltaire. [Corsi guerrieri] Paris, Champion, 1904, 8j, pagg. CXC-300. [Storia precisa dei corsi distintisi nel servizio militare in Italia e a-l’estero; capi corsi al servizio degli stati italiani; studio sul famoso scontro ila i Corsi e i famigliali deirambasciatore di Francia Du Crequis che provocò la cacciata dei Corsi dal servizio pontificio e l'erezione della colonna infame, Rec., Bull Soc. hist. Corse, 1913, (Ann. 33), n. 385-360, pagg. 117-120. Courtillier. Ree. Rivista del Collegio Araldico, 1904, pag. 122.] ORIGINE (L’) des cardinaux du Saint Siège et particulièrement des françois; [Edilioa augmentée de la] Relation du succès de l’insulte des Corse contre le duc du Crequis. Cologne, Pierre le Pain, 1670, 12; 1680, 18. (continua) Renato Oiardelli, Rassegna Bibliografica Roberto Lopez, Genova marinara nel Duecento . Benedetto Zaccaria ammiraglio e mercante - Messina - Milano, Principato, 1933, pp. XII-288. Dopo aver tante volte lamentato che la storia genovese e ligure nel momento suo più grande e glorioso e nell’aspetto più caratteristico, la funzione coloniale e commerciale, sia divenuta campo riservato quasi esclusivamente agli stranieri, si comprende con quanto lieto animo si annunci ora lo studio di un giovane italiano. Tanto più che si tratta di un’opera veramente notevole. Il Lopez pone Benedetto Zaccaria tra i naufraghi della storia, tra quei personaggi cioè che, pur degni di ricordo e di illustrazione, non hanno trovato uno storico che si dedicasse a riesumarli. 11 che è vero nel senso che dello Zaccaria mancava una esauriente biografia anche se di lui hanno parlato occasionalmente moltissimi, anche se egli è, anzi, uno dei nomi più ricordati e genericamente esaltati nelle consuete e varie e indeterminate celebrazioni retoriche che si sogliono fare della sua età. iE l'uomo che fu amico di Bonifacio Vili, congiunto del trovatore Pereivalle Doria e capace egli stesso, all'oc-correnza, di maneggiare la penna, parente degli ulissidi Vivaldi e di Andalò di Negro, mercante, ammiraglio c diplomatico uguagliato da pochi, meritava bene un’indagine particolare diretta a mostrare concretamente nelle reali sue vicende, quale fosse l’attività· ligure del tempo, elemento prevalente sulla fine del secolo XIII del primato che l’Italia ebbe tenendo in pugno il dominio commerciale del mondo. Le linee generali della biografia di Benedetto Zaccaria erano note, ma qui ricevono particolarmente rilievo dalla narrazione organica che molti fatti illumina e chiarisce, altri rettifica correggendo i racconti tradizionali e, pur nella narrazione scorrevole e spigliata, lontana da pedanterie erudite, fondata sempre su diretto uso delle fonti documentarie, in primo luogo dei preziosi protocolli notarili, e con larghissima conoscenza bibliografica. S’intende che il protagonista non è chiuso e quasi soffocato nell'ambiente locale, cosa del resto impossibile perchè l'azione dello Zaccaria si svolge specialmente fuori di patria, ma è inserito nella storia più vasta, nelle vicende dei vari paesi coi quali egli e la repubblica che spesso 122 Rassegna Biblioorafica rappresenta o difende sono a contatto. Forse il Lopez esagera un pochino quando dice troppo genericamente che le vicende di Genova appaiono povere e scialbe : appunto nel secolo XIII la grande contesa con Federico II che ha notevoli ripercussioni interne e 1 azione dei Diarchi nei rapporti con Carlo d’Angiò presentano momenti di interesse veramente drammatico ; tuttavia è perfettamente esatto che una vera storia di Genova non può aversi senza la rievocazione, spesso frammentaria, dei personaggi e delle colonie. Egli stesso ne dà un saggio perchè, mentre colloca il suo protagonista in tutti i paesi e le vicende del Mediterraneo, dall’Impero d’oriente alla Spagna, dalla Siria alla Francia», dall’Egitto alla Sicilia e alle altre repubbliche marinare italiane, pone a centro e a sfondo del quadro sempre Genova e la sua potenza e l’espansione dei suoi tralLci e l’attività inesauribile dei suoi mercanti e dei suoi marinai, gli elementi cioè per i quali e coi quali la storia di Genova si eleva dal carattere strettamente municipale per confondersi con quella del mondo civile. Il primo capitolo conduce dalle notizie sulla famiglia e dalle più antiche vicende note di Benedetto sino alla concessione del feudo di Focea da parte dell’imperatore Michele Vili Pàleologo, forse in seguito all'ambasceria affidatagli dal governo genovese; incerta origino ampiamente discussa dal Lopez, ma concessione importante per lo Zaccaria e per suo fratello Manuele e anche per l’impero bizantino che trovava, in un punto particolarmente delicato e pericoloso, alleati battaglieri e sicuri in quei suoi nuovi feudatari. I quali a lor volta dallo sfruttamento dell’allume onde il loro feudo .era. ricco traevano cospicui guadagni. Il secondo capitolo che studia Γorganizzazione economica e lo sfruttamento delle miniere di allume in rapporto anche con le industrie tessili è dei più interessanti del libro e conferma ancora una volta Γinsufficienza della teoria del Sombart, già rilevata^, tra altri, dal Bratianu e dal nostro Scliiaffini, per cui l’industria degli italiani medievali non sarebbe andata oltre l'artigianato, e presenta invece in pieno commercio internazionale l’organizzazione economica di un’industria precapitalistica. Non solo sulla scia delle galere di Benedetto e di Manuele si può percorrere quasi tutto il mondo del Duecento, entro i limiti che gli tracciava la civiltà occidentale, ma seguendo l’attività di quei mercanti si riscontra anche la forma tipicamente moderna dell’integrazione dell’industria. Infatti 1 allume estratto dalle loro miniere viene esportato nelle loro navi ; e poiché questo prodotto è impiegato particolarmente dai tintori, Benedetto impianta a Genova, presso il Bisagno, una tintoria. In tutta questa azione la figura di Benedetto, precursore del capitalismo odierno, non appare ben distinta da quella del fratello che gli è unito nella ragione sociale. Nel 1282 Benedetto (cap. Ili) ritorna alla vita politica e diplomatica come emissario del suo nuovo Rassegna Bibliografica 123 sovrano e della $ua nuova patria, Bisanzio, giovando insieme alla città natale perchè la circostanza accomuna gli interessi greci con quelli dei Genovesi. L’azione diplomatica di Benedetto in Aragona e in Cartiglia, che si riconnette all’ardua questione delle origini del Vespro, è acutamente esaminata e trasporta nel pieno della politica europea, mentre il posto di Genova è per necessità accanto ai nemici di Carlo d’Angiò. Il quarto capitolo riguarda più immediatamente Genova nella sua lotta con Pisa e anche in questa materia tanto nota e trattata ci sono punti e rilievi di notevole interesse, come quello che tratta delle condizioni rispettive di Genova e di Pisa, in complesso favorevoli piuttosto alla repubblica toscana, ma radicalmente mutate dallo scoppiare della guerra del Vespro. Alla riapertura delle ostilità nella primavera del 1284 Benedetto Zaccaria torna a combattere per Genova e salpa dal suo porto con una «quadra di trenta galee. Rotto alla guerra di corsa e alla polizia marittima nel mare più infestato, l’Egeo, egli porta la propria esperienza in una lotta nella quale il blocco commerciale ha tanta importanza quanta la guerra vera e propria; corre il mare e reprime il contrabbando dei neutri. Richiamato mentre è in Corsica, sfugge alle navi pisane e si congiunge con Oberto Doria e con lui si trova alla Meloria, anzi gli spetterebbe il merito dello stratagemma che procurò la vittoria. La tesi che non tanto Oberto quanto Benedetto sia il vero vincitore della Meloria, se a prima vista può apparire determinata dal naturale desiderio di mettere in primo piano il proprio eroe, appare confortata da argomenti tecnici degni della massima considerazione. ILa tradizione, da Iacopo Doria fratello di Oberto all’imperiale suo illustratore, ha dato il merito maggiore al diarca ; contro questa versione il Lopez si batte con la sua bella baldanza giovanile. « Artefice del trionfo della Meloria — egli conclude — vincitore dei corsari nemici, due volte vittorioso nel Porto stesso che aveva fatto per secoli fortunata concorrenza a Genova, Benedetto Zaccaria merita il primo posto e la gloria maggiore nel trionfo dei Genovesi». Ë una giusta rivendicazione, ma a qualcuno sembrerà che Oberto Doria sia messo un po’ troppo nell'ombra. Dopo la guerra con Pisa, Benedetto (cap. V) torna in oriente e in Siria, il solo luogo ove in quegli anni della massima potenza Genova avesse perduto terreno; riesce, intromettendosi nelle lotte lo. cali, a stipulare un trattato per il quale Genova ottiene in compenso delPappoggio contro i nemici cristiani e musulmani, l’alta sovranità su Tripoli col diritto di nominare un Podestà che la governi: ma Genova non accoglie di buon grado un tal dono. Occupare Tripoli significa infatti esporsi a lotta certa contro l’Egitto : non ragioni militari ma calcoli commerciali rendono sgradita l'offerta dello Zaccaria. Genova col non mandare rinforzi mostra che il suo rappresentante ha agito per propria iniziativa e si disinteressa della nuova colonia che in realtà ben presto cade in potere del Sultano. Poco 124 Rassegna Bibliografica dopo Benedetto, imite le proprie navi con quelle di Paolino Doria, suo genero e console a Gaffa, sorprende una nave egiziana e, vinto in sanguinoso combattimento l’equipaggio, porta le merci e gli uomi ni superstiti a Genova e li consegna al Comune come un trofeo. Ma il bel colpo da corsaro è una sfida vera e propria al Sultano, un atto impulsivo che minaccia di perdere i frutti di una lunga politica e di portare alla» guerra. Benedetto cioè lia compiuto un atto di indisciplina che danneggia il Comune — non primo nè unico esempio nello sfrenato individualismo genovese — e si comprende che sia sconfessalo d,al Comune : non è vero però che sia etato esiliato, come credono alcuni storici. Tuttavia parte da Genova : poiché la sua patria non gli offre incarichi degni di lui, rivolge altrove l’indomita irrequietezza. Cambia servizio, ma rimane ai suoi odii : costretto ad abbandonare la presa coi Saraceni d'Egitto, muove a combattere i Saraceni del Marocco. Qui comincia la poderosa1 opera dello Zaccaria a vantaggio delle marine occidentali per la quale egli è realmente il primo e il precursore dei grandi ammiragli genovesi creatori e ordinatori della marina spagnola e della francese (cap. VI-VII). L'accusa di irrequieta volubilità rivoltagli da molti storici moderni non è giustificata: in oriente o in occidente egli intende sempre combattere lo stesso nemico della cristianità; e se dalla Spagna passa in Francia ove lo attendono nuove glorie e nuovi onori, la responsabilità è tutta dell’ingiusta e ingrata ricompensa riservata ai suoi servigi Con ampia documentazione in una trattazione di largo respiro sono esposte le innovazioni anche tecniche introdotte nelle marine ove servì e l’azione politica e militare compiuta: e se può talvolta apparire, come la ove si parla dell’azione di Benedetto in Francia, che sia molto frequente il ricorso alle ipotesi, bisogna convenire che a questo induce la scarsità delle fonti, non sempre concordi, e che non diversamente aveva fatto il De La Boncière dal quale spesso il Lopez dissente. Seguendo l'ammiraglio nelle imprese di Spagna e di Francia e nelle organizzazioni delle due marine, specialmente nella redazione del progetto di campagna redatto per Filippo il Bello, egli mostra in Benedetto un profondo conoscitore dell’anima del marinaio, un organizzatore pratico che prevede minutamente ogni spesa e commi sura gli sforzi ai risultati, un calcolatore lucido e ordinato oltre che un manovratore abile e ardito. Cominciata in oriente, l’attività di Benedetto ritorna e si conchiude in oriente (cap. IX)? dopo lo strano progetto della crociata delle donne esaltata, con fervide parole da Bonifacio Vili, con la difesa di Focea minacciata da ogni parte, oasi cristiana tra barbari, e con la presa, l’occupazione, la sistemazione difensiva di Scio destinata ad essere poi per lungo tempi; possesso geno\ese, Scio occupata per ragioni di difesa ma anche con intenti economici, per lo sfruttamento delle cospicue risorse, prima di tutte il mastice. Così Rassegna Biblioorafica 125 Γultima impresa chiude in un ciclo compiuto l’attività inesausta del guerriero mercante che nella giovinezza con l’acquisto di Focea aveva ottenuto e organizzato il commercio dell’allume, nella vecchiaia si impadroniva di quello del mastice e il possesso dei due più preziosi prodotti del Levante lo poneva tra i più ricchi mercanti del mondo. Nel 1306 e nel 1307 alcuni documenti lo segnalano a Geuova; nell’aprile 1307 si disponeva a un altro viaggio a Focea; sul principio del 1308 la notizia della sua morte era conosciuta in Levante. « Così doveva morire Benedetto Zaccaria : in porto, ma pronto alla partenza ; nella sua Genova, ma con lo sguardo rivolto lontano ». "Non tutti i problemi sono forse risolti e ulteriori ricerche, specialmente nel tesoro degli atti notarili, potranno illuminare alcuni punti più oscuri e controversi, ma la figura di Benedetto Zaccaria navigatore e guerriero, diplomatico e mercante, ora interprete della politica della sua città, ora ispirato a quell'individualismo che ha posto tanti suoi eguali o minori di fronte agl’interessi più diretti della patria, ora in ardito atteggiamento di corsaro e di ammiraglio, ora circondato quasi dall’aureola della santità nella perpetua lotta contro gl’infedeli e nel progetto della crociata, balza viva e compiuta, nella sua azione personale e nell’ampia cornice del tempo e dei luoghi in che gli accadde di vivere e agire, dalla: vivace e animata ricostruzione del giovane studioso che con questo saggio cospicuo si afferma sicura promessa per gli studi storici. Vito Vitale. Giacomo Lumbroso, 1 Moti Popolari contro i Francesi alla fine del secolo XYIJJ (1796-1800), Studi e Documenti di Storia del Risorgimento. IX, Firenze, Le Mounier, 1932, pp. VIII-22S. Nel mutare delle condizioni politiche, nelFaccumularsi delle esperienze storiche, nell’affinarsi e nello svolgersi, con sempre mag giore coscienza, dello spirito nazionale, la revisione della storia del passato è continua e rispecchia sempre i sentimenti, le aspirazioni, gli stessi bisogni urgenti del presente. Che il risorgimento, per esempio, risalga ben addietro nel secolo XVIII e abbia caratteri in gran parte indigeni, che non sia un grazioso dono della rivoluzione e delle armi francesi, le quali non hanno certo fatto balzare dal suolo italiano nuove genti e nuove concezioni, è ormai cosa tanto nota e tanto assodata da essere un luogo comune e da far meraviglia che alcuno parta ancora in guerra contro l’antica concezione quasi con la-pretesa di scoprire un nuovo mondo. Ma sembra eccessivo che, movendo da questa base ormai acquisita, si giunga all’affermazione che, dunque, i veri patrioti negli ultimi anni del '700 si trovavano in Italia non tra coloro che erano indicati con questo nome, e suggel- 126 Rassegna Bibliografica larono talvolta col sacrifìcio della vita la propria fede, ma tra le popolazioni, specialmente rurali, che insorsero tra il 179G e il 1799 in moti spesso incomposti e terribilmente sanguinosi contro le innovazioni dei patrioti e contro i francesi ai quali questi si appoggiavano. La tesi è stata accennata, ma con molta misura e molto senso storico, alcuni anni or sono, dal Rodolico che aveva studiato il fenomeno per ΓItalia meridionale (Il popolo agli inizi del Risorgimento nell'Italia Meridionale, 1798-1801, Firenze, 1926) e aveva acutamente indicato, sulle orme del resto del Cuoco e specialmente di Giustino Fortunato, le cause morali ma sopra tutto economiche e sociali del tragico equivoco tra i patrioti novatori, ingenuamente entusiasti dell’idea di libertà e per analogie intellettuali e psicologiche e per necessità pratiche appoggiantisi ai francesi, e le umili popolazioni della campagna, della montagna e delle marine, avverse per •motivi economici alle classi borghesi dei nuovi possessori di terre o, s'intende, fervidamente attaccate alle vecchie tradizioni politiche e religiose; classi che, insorgendo, rappresentarono, anche se inconsciamente, lo spirito d’indipendenza. Quasi svolgendo i concetti espressi nella prefazione del libro del Rodolico, il Lumbroso allarga ora la tesi e la estende a tutta l’Italia, anche là dove non esistono <> sono meno sensibili le ragioni di rapidi mutamenti economici e di trapassi di proprietà che hanno valore per il Regno di Napoli ; ma sopratutto, estendendola, la deforma, pur circondando le affermazioni di qualche cauta riserva, contrapponendo patriottismo vero a patriottismo falso, ponendo cioè l’antitesi in un modo dal quale il Rodolico si era ben guardato. Ë ormai convenuto e pacifico che il moto di rinnovamento italiano che parte dal secolo XVIII è sopratutto un movimento intellettuale e culturale di minoranze che via via si trascinano dietro masse più vaste e agiscono in cerchi sempre più larghi e in strati sempre più profondi. Accogliendo la concezione del Lumbroso avremmo avuto appunto nel momento che non sarà il punto di partenza ma del quale non si può disconoscere per le vaste conseguenze l’opera di profondo sconvolgimento, proprio una larga e cosciente partecipazione di carattere nazionale da parte di quegli elementi rurali che poi sono stati i più assenti, sino a non partecipare mai, toltomi momento nel ‘48, alla rivoluzione nazionale, sino a non aver dato un solo uomo alla spedizione dei Mille. Ed è troppo noto che è occorsa la grande guerra e poi la rivoluzione fascista per immettere veramente le popolazioni agricole nel circolo della vita della nazione. Sulla line del ’700 esse non erano ancora sfiorate dalle riforme principesche o dalle dottrine dei χ)βη-satori e dei politici : la loro tenace opposizione alle innovazioni recate dai francesi e dagli spesso incauti e maldestri nuovi governi borghesi, mostra indubbiamente un senso di conservazione delle istituzioni antiche politiche e religiose che ha il suo notevole valore e· Rassegna Bibliografica 127 ohe va giustamente apprezzato come inconscia manifestazione d'indipendenza, ma è reazione che si esaurisce in sè stessa, nel bisogno del conservare, nell’avversione ad ogni mutamento, nel timore che sia toccata la religione. Se da questo atteggiamento spirituale e pratico, se da questo elemento popolare e agricolo caparbiamente ostile alla coscrizione napoleonica si fosse dovuto attendere il risorgimento nazionale, l’Italia sarebbe ancora da fare. E si può ancora notare che molte volte gli eccitatori di queste resistenze, nella insofferenza violenta non prive di grandezza, sono appartenenti al clero o alla nobiltà; ma l’esempio tipico citato dal Lumbroso·, quello del frate veronese che nella predica infuocata arriva alla cosciente affermazione di avversione ad ogni straniero, ha un valore molto dubbio e può persino ritorcersi contro la tesi. È opinione generale infatti che quella predica, della quale non abbiamo altra notizia che dal Botta, sia, se non invenzione, rifacimento dello storico ed espressione del pensiero suo più che di quello del frate; del pensiero cioè proprio di uno di quei patrioti, prima seguaci dei francesi, che « più tardi nell*amarezza del disinganno lasciate da parte le idee cosmopolite, il più delle volte mascheratura di ben più concrete conquiste, diventarono i più risoluti partigiani della patria indipendenza e con Vincenzo Cuoco i primi teorici del nascente nazionalismo italiano». Parole di Koberto Soriga che a questi problemi lia dedicato non qualche ricerca frettolosa e superficiale, ma un’intera- operosa; esistenza. Con acuto senso storico e con maggiore aderenza alla realtà il Kodolieo aveva parlato non di più o meno vero patriottismo, ma di un tragico dissidio tra due elementi e quasi due mondi diversi tra i quali ci fu da un lato incomprensione profonda, dall’altro contrasto insanabile d’interessi : l'uno affermò l'idea della libertà e persino dell’unità politica, l’altro il bisogno dell’indipendenza e il senso dell’orgoglio nazionale, l’attaccamento al costume nativo e locale. Quella libertà astratta per la quale gli uni avevano così idealistici e ingenui entusiasmi, confermati e santificati eroicamente col sacrificio della vita, non rappresentava, per gli altri, reali, immediati benefici, non si tramutava in concrete soluzioni di urgenti problemi politico-sociali; e mancò così l'unità morale e i due elementi rimasero separati di intendimenti e di interessi, allora e poi, per troppo lungo tempo. Ma se si dà tanta importanza e significato così nettamente nazionale e patriottico a quelle insurrezioni (klelle quali/ s’intende, nessuno vuol negare il disperato valore e l'inconscio senso d’indipendenza) si viene a negare che il risorgimento sia opera delle minoranze intellettuali e non si spiega il fenomeno dell’assenteismo posteriore di quegli elementi allora così fieramente nazionali. A loi* volta i così detti patrioti hanno indubbiamente commesso gravi errori, hanno avuto ingenue illusioni, si sono abbandonati anche, ma erano gli opportunisti e non i migliori, a sciocche esagera- 128 Rasseona Bibliografica zioiìi : tuttavia non dimenticheremo che alcuni di essi sono sacri nel martirologio nazionale quanto gli altri caduti colle armi 111 pugno nelle reazioni antifrancesi. Le accuse di esagerazioni demagogiche, di scarsa capacità politica, di imitazione servile, di avere persino anteposto la causa dello straniero alla propria, non sono nuove davvero nè sempre e interamente ingiuste. Eppure a valutare la situazione non sarebbe male rileggere le acute pagine che Ettore Rota ha dedicato alla formazione psicologica del « patriota», non ispuu-tato improvvisamente sulle baionette dei francesi nè fra le iperboliche promesse dei loro proclami, ma lenta formazione storica per gran parte intimamente autonoma e prodotta, tra Γaltro, dallo sta celo dei vecchi principati e dal risveglio di una nuova coscienza poetica e sociale promossa da un complesso di fattori per lo più indigeni. Con tutti gli errori e le colpe, <|iiei patrioti rappresentano l a. spirazione al nuovo: la loro preparazione spirituale li porta a credere — fatale ingenuità — ai principi generali della rivoluzione quando questi nella Francia stessa sono ormai sopraffatti dalle ambizioni egemoniche e dallo spirito di conquista. Nelle parole di libertà e di indipendenza trovano qualche cosa che risponde alle aspirazioni che si vengono chiarendo nel loro spirito e gli omaggi ai generali francesi non implicano nel pensiero dei migliori un rapporto da servo a padrone ma di completa pai ita secondo le massime egualitarie del tempo, anche spesso una necessità pratica per impedire il ritorno ad antiche forme di governo clic pensano di aver superato. Esagerazioni servili, scimmiottature ridicole, atteggiamenti talvolta privi di dignità, da un lato, certamente; ma dall’altro manifestazioni paurose di crudeltà e di furia incomposta, implosioni di vecchi odii più economico sociali che politici ; e alla testa di questi energumeni 1 briganti sedicenti patrioti, da Fra Diavolo al minore Diavolo, Giuseppe Musso che funestò col fratello Diavolino le montagne liguri, al famigerato e losco sedicente marchese -Luigi Asse reto, al Doria detto Rodomonte che commise nel 1700 violenze da spaventare pensino gli Austro Russi, ad altri molti. Questi accenni mi conducono a quello che mi pare il difetto maggiore del lavoro del Lumbroso, la superficialità della informazione che lo porta a frettolose conclusioni. Il suo vuol essere un lavoro d’insieme e non poggia, per esplicita dichiarazione, su inda gini proprie e minute nel campo bibliografico e documentario. Ma per chi intende di rovesciare una vecchia tesi, l'ampia ricerca documentata è indispensabile se vuol riuscire persuasivo. Per la Liguria, per esempio. l'informazione bibliografica è veramente scarsa. Nessuno può pretendere che l’autore conoscesse e adoperasse il volume LIX degli Atti della Società Ligure di Storia Patria pubblicato sul principio del 1932 e tanto meno il volume LXI edito nel giugno 1033. ma il volume LVIII contenente le Memorie del Serra poteva essere consultato: ma Γessersi servito della storia Rasseona Biblioorapica 129 popolare del Bargellini o della superficiale compilazione del Varese dimenticando affatto gli Annali del Clavarino, cioè la sola opera che tratti di proposito di quel periodo storico, è prova di una preparazione troppo insufficiente. È ricordata la preziosa raccolta di Appunti e documenti storici della nostra Biblioteca Universitaria, ma non sono ricordati i numerosi studi che il Nurra ne ha ricavato. Sopratutto non bastava servirsi, e molto parcamente, della Gazzetta Sazionale di Genova ; per avere una nozione abbastanza precisa della vita genovese e ligure del tempo, occorre confrontare la Gazzetta con gli altri giornali, e non solo il Difensore della libertà citato un paio di volte, ma il Censore Italiano, il Flagello della maldicenza e della calunnia t il Monitore ligure, il Rcda-ltorc italiano, per non nominare i minori e di più effimera vita, e gli Atti a stampa dei governi e delle assemblee. Γη fugace esame di questo materiale avrebbe •evitato gravi errori : i due Consigli dei Giuniori e dei Seniori — ricalcati. si capisce, sull’ordinamento del Direttorio 11011 ebbero 150 v 100 deputati, come era stato proposto in un primo momento e apparve subito eccessivo, ma (>0 e 30: e si può ammettere volentieri che furono anche troppi e troppo inesperti. Tutte queste fonti meriterebbero un esame approfondilo e, per quanto siano unilaterali, ne risulterebbero elementi di grande importanza sui moti di Albaro <· di Val Bisagno nel settembre ITiiT, provocati dalle inopportune prediche patriottiche di sacerdoti giansenisti proposte da Gian Car- lo Serra e da tasse odiose alle popolazioni, come ammette il Cenefore Italiano; e suirinsurrezione del 1709 nella Fontanabuona che i giornali democratici chiamarono la Vandea d’Italia. Il Lumbroso ammette giustamente che i patrioti genovesi sono stati più dignitosi di altri e se avesse studiato più addentro la ^tona della Repubblica, Ligure e della sua penosa vita sotto l'opprimente protettorato francese avrebbe trovato numerose e costanti conferme di questa asserzione; ma dopo le prime ubbriacature anche altrove il disagio per quell’oppressione si manifestò evidente. Il Porro, rappreseli teinte della Cisalpina a Genova, in un discorso al Circolo Costituzionale affermava nel marzo 179X che occorreva rendere il popolo capace di onorare coi fatti il nome genovese e 1111 altro nome ancora più augusto: il nome italiano. Gerolamo Boccaloni mila mene, in una lettera con la quale accompagnava l'invio di un suo libro, lodava il Corpo Legislativo ligure di quanto aveva fatto e aggiungeva : <· avreste fatto anche di più se» una mano potente che oggi dà il destino ai popoli 11011 avesse per ora trattenuto la maggior-gloria del Vostro»; dove l’accenno al Bonaparte», allora in Egitto, ò. di un’aperta chiarezza. E le lettere che un informatore — forse il Fantoni? — mandava da Torino al Redattore Italiano contro la forzata unione del Piemonte alla Francia sono ispirate a un profondo sentimento dell* in dipendenza nazionale. La realtà è che in questi torbidi anni non come dono della F ran. 130 Rassegna Bibliografica cia ma, nella delusione, in contrapposizione alla Francia nasce nei migliori (come il Cuoco, il Foscolo, il Lomonaco e molti di quelli che sono stati i giacobini e i patrioti a Napoli, a Genova, un po’ da per tutto) il preciso sentimento della nazione, e anche la visione unitaria. La concezione unitaria, termine massimo del risorgimento, condizione necessaria e punto di partenza di tutte le future auspicate ascensioni, germina proprio tra questi novatori. Il Lumbroso si meraviglia, dell’importanza data al proclama del· napoletano Cesare Paribelli redatto nel 1799, ma non ne ricerca i rapporti con la lettera del Foscolo allo Championnet, come non indaga gli eventuali punti di contatto tra la predica del cappuccino veronese, alla· quale dà tanta importanza, e gli appelli al Consiglio dei Cinquecento fatti presentare da un gruppo di patrioti tra i quali era appunto il Botta. Invece scopre e mette in rilievo gli articoli del Difensore della libertà nei qual.i, sulla fine del 1797, si accenna precisamente ad aspirazioni unitarie. In verità questi articoli sono noti sin dal 1S87, quando ne parlò· la prima volta Achille Neri; e un’attenta lettura, avrebbe mostrato che essi sono derivati proprio dalla delusione di Campoformio, dal dolore di veder sostituire i nomi oscuri di Cispadana e di Cisalpina all’atteso nome glorioso di Repubblica Italiana. Anche prima, sin dall’3 luglio, il loro autore, Gaspare Sauli, diceva: «Ben presto l’Italia non formerà che un popolo solo, animato dagli stessi principi, guidato dai medesimi interessi, felice di dentro e rispettato di fuori da tutte le nazioni dell’universo ». Saranno state allora utopie; ma mi ostino a credere che dell’odierna Italia unitaria e totalitaria mussoliniana ci fosse qualche cosa di più in queste parole che nelle torbide astiose insurrezioni popolari conservatrici delle forme locali e provinciali. « La (Liguria — continuava il Sauli — è pronta ad unirsi all’Italia libera quando sarà tutta rivoluzionata o almeno quando l’Italia libera sarà liberamente e sovranamente governata». Dove l’accenno all’opprimente protezione francese è di una cristallina trasparenza. Ebbene: pochi mesi dopo Gaspare Sauli, che era stato uno dei più accesi patrioti, fu esiliato da Genova per volontà dei generali francesi perchè sospetto come ex nobile e reazionario! E con lui dovè andarsene Giambattista Serra, quel che si firmava Serra il giacobino ma che sin dal 1794 scriveva al fratello Gian Carlo che l’amicizia con la Francia e il suo appoggio non dovevano significare occupazione francese dell’Italia : «No, mio caro, non aspettare la rigenerazione del tuo paese dalla mano dei Francesi». Ed ebbe anche lui preannunci unitari. Con profetico acume egli consigliava poi a Napoleone di non permettere che fosse toccata la religione; e proprio suo fratello· Gian Carlo favorì invece quelle missioni di predicatori giansenisti che provocarono il più profondo malumore e le aperte insurrezioni popolari. Le vecchie questioni tra Stato e Chiesa, tra clero tradi Rasseona Bibliografica 131 zionalista e giansenisti sono riprese con inopportuna e imprudente violenza dai novatori; e poiché dietro a loro ci sono i francesi il moto di resistenza e di rivolta assume di riflesso un carattere di indipendenza. Ma a questa concezione altri erano arrivati per altra via, e anche prima. Uno dei giacobini più accesi, Sebastiano Biagini, fin dal 1794·, prima dunque dell'invasione francese, in uno scritto che gli meritò l’arresto da parte dei Serenissimi Collegi, aveva esposto audaci e profetiche idee di indipendenza e di unità, inveendo contro la divisione d’Italia in tanti Stati e affermando la necessità della sua unione in uno solo. Έ se il romano Enrico Michele Laurora nel '93 proponeva- enfaticamente si levassero legioni composte di soli italiani perchè «coll’Aquila romana conquistassero tutta l’Italia», Filippo Buonarroti nel 1796 più concretamente invocava che le frivole distinzioni regionali sparissero per sempre perchè gl’italiani sono tutti fratelli. Intanto la concezione unitaria era affermata da Melchiorre Gioia, dal Galdi e da molti altri nel famoso concorso lombardo del 1796 sulla miglior forma di governo da dare all'Italia e ripresa con netto e costante e tenace carattere antifrancese dal genovese Redattore nel 1799 (sul quale v. il voi. LXI; degli Atti sopra ricordati) e trovava la sua sintetica e comprensiva espressione sopra ricordati; che il 17 agosto chiudeva un articolo dal titolo precorritore e profetico Le speranze degli Italiani con le parole: «Non andrà guari che sentiranno gl’italiani il bisogno di scuotere il giogo dei barbari e risorgere alla Libertà. A forza di essere nella dura necessità di rompere ora un giogo ed ora un altro, si dimenticheranno essi d’esser Liguri, Cisalpini, Romani, Veneti ecc. per divenire una volta unicamente Italiani ». Questa concezione appunto trovava la sua sintetica e comprensiva espressione nel proclama del Paribelli, nelle invocazioni del Botta (compresa probabilmente la predica del frate cappuccino veronese), nella lettera del Foscolo. Voci che per amore di tesi non si possono disconoscere. Vito Vitale. Doti1. Leopoldo Valle, Per iuna nuova edizione veramente critica degli annali di Jacopo DO ria - Osservazioni e concezioni. Genova, 1933. Il lavoro compiuto da L. Valle con costanza e tenacia, con sacrifizio di tempo e di denaro, si può dire, senza iperbole, una nobile fatica, perchè, oltre a tutto, esso richiede preparazione paleografica, lessicografica, storica ecc. non comune, larga conoscenza delle fonti, somma perizia nello scegliere, fra le varie lezioni offerte dai codici, quella che presumibilmente rappresenta nella sua integrità il pensiero dell’Autore. Aggiungasi che un lavoro simile 132 Rassegna Bibliografica l esta necessariamente ristretto nella breve cerchia degli studiosi di professióne, e non può aspirare a quella larga diffusione tra il pubblico, che, qualche volta, dà allo studioso, se non un compenso adeguato, almeno una giusta soddisfazione morale. Jacopo d’Oria, ultimo, in ordine di tempo, dei continuatori, di Caffaro, è quegli che più gli si avvicina « per acutezza narrativa, per valore insieme di uomo e di storico ». I suoi Annali narrano gli eventi del periodo eroico della Repubblica Genovese, che va dal 1280 al 1293, nel quale è compresa la battaglia della Meloria, epilogo della semisecolare lotta tra Genova e Pisa per il predominio del Mar Tirreno. Degli annali di Jacopo D Oria sì conoscono quattro codici, di cui uno nella Biblioteca Nazionale di Parigi, uno nel-l'Archivio del Ministero degli Affari Esteri, pure a Parigi, uno nel Museo Britannico e uno nella Biblioteca Lniversitaria di Genova. Quando il Muratori pubblicò nei RR. II· SS. gli Annali di Caffaro c dei continuatori, ebbe tra le mani un codice scorretto ed incompleto, per modo che, degli Annali di I. D'Oria pubblicò soltanto una parte. Di questa edizione scriveva L. Scarabelli, il. 3 novembre 1854, ad Agostino Olivieri, « Ritenga che il Caffaro del Muratori è un guazzabuglio indegno (q ben lo sentiva il grand’Uomo e se ne doleva) e che il Caffaro vero deve ancora essere stampato ». Dopo le malinconiche considerazioni dello Scarabelli furono fatte due edizioni degli Annali di Caffaro e dei continuatori : una dal Pertz (Mon. Germ, liistor. Script, t. XVIII) e una dall Istituto Storico Italiano (Fonti per la Storia d’Italia). L’Edizione dell’istituto Storico Italiano fu iniziata da L. Tommaso Belgrano e continuata dal March. O. Imperiale : essa dovrebbe essere definitiva, dovrebbe, come si suol dire, dare gli ultimi risultati della critica. Il Valle non ha preso in esame tutto il complesso degli Annali, 3uà soltanto il vol. V, che contiene la parte scritta da Jacopo D’Oria. Confrontando le edizioni del Pertz e dell’imperiale con i vari codici e sottoponendo le due edizioni a un esame acuto e diligentissimo, il Valle vi notò numerosi e gravi errori, che raccolse in un opuscolo di' ben 58 pagine. Per procedere con ordine, egli ha cominciato coll’indicare le lezioni errate del Pertz e le correzioni da Ini introdotte senza necessità, che VImperiale ha negligentemente accolto nella sua edizione (pag. 4-19) ; indi ha seguitato enumerando i difetti e gli errori proprii di ciascuno dei due editori: quelli del Pertz corretti o evitati dall’imperiale (pag. 19-27), e quelli assai numerosi commessi dall’imperiale. Secondo il Valle, l’imperiale non si accinse al. lavoro con un piano ben preparato, ma procedette senza metodo e un po' a capriccio. Ciò si osserva nelle postille marginali, che ora introduce nel Y apparato critico, mentre avrebbe dovuto incorporarle tut- \ Rassegna Bibliografica 133 te nel testo, neii punti chiaramente indicati dai segni di richiamo appostivi dal D’Oria medesimo. Nè questo è il solo difetto dell’edizione Imperiale; ben altri ne ha trovati il Valle: omissioni di vocaboli e di intere· frasi, errori di concordanza, casi sbagliati, vocaboli aggiunti senza alcun motivo, sostituzioni che non hanno senso, errori di interpretazione ecc. ecc. Caratteristico l’abbaglio preso dall’imperiale a proposito del vocabolo rebatvm (dall’arabo ribàth —edifìcio costruito solidamente, ospizio, stazione) che egli spiega « Rabat, sulla costa occidentale del Marocco ». Di capitale importanza nell’edizione di testi antichi è la questione dell’ortografia. Non sempre gli ammanuensi furono scrupolosi nel copiare i codici, anzi troppo spesso o per negligenza o per capriccio alterarono, aggiunsero, tolsero vocaboli o consonanti, usarono grafìe diverse per lo stesso nome proprio, scrivendolo ora in una forma ora in un’altra. Senza dubbio chi cura un’edizione critica ha il dovere di proporsi e di risolvere il problema ortografico, adottando un criterio unico ed applicandolo in modo costante ed uniforme. Tale problema, invece, non si proposero nè il Pertz nè 1 Imperiale, i quali ora seguirono i codici ora se ne scostarono, dando luogo, special-mente nei nomi proprii, ad una varietà molto vicina alla confusione. Per es. cotidie, quotidie, cottidiej pulchris, paleris; Catalonia, Catlia'lonia; Guillelmusf Guilliehnus, Gitillermus, GuiUier-mus| Guliermus, Guiliermus ecc., ecc. Se a tutto ciò si aggiungono i numerosi errori di stampa, che deturpano il testo dell’imperiale e che il Valle elenca a pag. 42, si deve ammettere che questa; edizione critica degli Annali di Jacopo DOria è ben lungi dall’essere perfetta. «Così l’imperiale, scrive il Valle a pag. 58, ha reso un cattivo servizio all’istituto Storico Italiano e agli studi storici: all’istituto Storico Italiano, perchè questo volume è una stonatura nelle Fonti per la Storia d Italia, una raccolta meritamente apprezzata presso di noi e all’estero per la grande dottrina e la scrupolosa diligenza con le quali ne hanno curato i testi maestri come il Comparetti, il Monaci, il Novati, il Cipolla, lo Schiaparelli; agli studi storici, perchè l’edizione è cattiva e perchè opere simili, che costano fior di quattrini, non si possono rifare facilmente ». Carlo Bornate. Spigolature e Notizie La Beale Accademia d’Italia nella ricorrenza del 21 aprile 19o3 ha concesso al Giornale storico e Letterario della Liguria, in riconoscimento delle sue benemerenze culturali, un premio di incoraggiamento di 'L. 3000. * * * Luigi Parmeggiani lia illustrato il 15 maggio 1933 in una conferenza tenuta a Chiavar! all’istituto Fascista di cultura «Un episodio di storia CHIAYARESE E I SUOI RAPPORTI COL POEMA DANTESCO ». Il diSCOTSO, testé edito col tipi della Tip Artistica L. Colombo di Chiavari, è assai importante, perchè ci dà una persuasiva interpretazione della famosa invettiva di Dante contro i Genovesi. * * * In un lussuoso opuscolo edito da Fr*tz Lindner di Kussnacht al Rigi» « I/Università e gli Istituti Superiori d’Istruzione di Genova», sono ampiamente ed esaurientemente illustrati. * * * Una monografia assai importante che illustra « Il porto di Genova » in tutti i suoi aspetti ha pubblicato Giuseppe Andriani, per i tipi di don Bosco, sotto gli auspici della Federazione ligure dell’istituto fascista di Cultura di Genova-Sampierdarena. * * * • Uh saggio assai pregevole su «Le guerre Romano Ingaune e la romanizzazione della Liguria di ponente» pubblica #wo Lamboglia nel N. 1 dell’anno secondo della Collana storico-archeologica della Liguria occidentale. Mario Pedemonte illustra nella «Rassegna dorica» di Roma del 20 dicembre 1932 la figura e l’opera del musicista ligure «Matteo Bisso». * * * Nel fascicolo di dicembre 1932 della « Rassegna Industria-Commercio » di Savona, Italo Scovazzi scrive acute osservazioni su I’« Attività pratica e religiosità Liguri ». Spigolature e Notizie ' 135 * * * U. G. Mondolfo pubblica nel fascicolo del gennaio 1933 della «Nuova Rivista Storica » di Napoli, un’ampia recensone del volume Giovanni Ruffini e i suoi tempi. * * * A C. Jemolo recensisce ampiamente nel fascicolo del gennaio 1933 della «Rivista storica italiana» di Torino, l’opera di A. Codignola: «Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri ». * * * Su « Dego e i suoi rapporti con Savona al principio del secolo xix » scrive con la sua consueta competenza Filippo Noberasco in « Rassegna Industria-Commercio » di Savona del febbraio 1933. * * * Aldo Guerrieri pubblica in «Corsica antica e moderna» del gennaio-febbraio 1933 un importante saggio su « Come Vincenzo Salvagnoli chiese la Corsica a Napoleone III », corredandolo con documenti inediti e facendolo seguire da una ricca bibliografia. * * * Con II. Decreto del 23 marzo 1933 il nostro condirettore Arturo Codignola è stato riconfermato Ispettore onorario per le opere integrative della Scuola. * 4 ί In una corrispondenza de La Spezia pubblicata in « Secolo XIX » del 24 marzo 1933 col titolo «La Confraternita dì S. Antonio Abate» si contengono notizie storiche ed artistiche su di essa e sugli Oratori da essa posseduti ed officiati da tempo assai remoto. * * * Lo scritto « Topografia poetica genovese » a firma erre pubblicato in c Corriere Mercantile » del 25 marzo 1933, raccoglie giudizi di italiani e stranieri -sulle bellezze di Genova. * * * In «Giornale di Genova» del 26 marzo 1933 Giovamii Descalzo scrive de «La Fontana del Diavolo» cioè della Fontanabuona, l’operosa valle ligure che fu denominata del Diavolo dai francesi ai quali i valligiani diedero molto da fare quando nel 1800 insorsero contro il governo di Masséna. * * * «Naviganti genovesi sul Teveke» è il titolo d’un articolo di S. B. in «Corriere Mercantile» del 27 marzo 1933. Vi si ricorda la manovra audace d’un capitano genovese all’imboccatura del canale di Fiumicino compiuta tra l’ammirazione dei piloti del luogo molt’anni addietro, rievocandosi altre prodezze di comandanti dei vapori della ditta Centurini di Genova. 136 Spigolature k Notizie * * * Cesare Marchisio in «Secolo XIX» del 28 marzo 1Î1S3 raccoglie notizie storiche ed illustrative su «Ville e Parchi di Genova». Particolarmente ricordata è la Villa Brignole Sale a Voltri, l’ultima di cui il Comune b divenuto proprietario. * * * Uno scritto ch'offre una vita vissuta e sempre ricca per i genovesi di interesse è Quello di F. E mesto Ai ovando in «Corriere Mercantile» del 2S marzo-1933 col titolo «Il 'ritorno di Gandoijn». Lo scritto è proseguito nei numeri del lo e 5 aprile seguente. * * * Ernesto Astengo illustra nel fascicolo del marzo 1933 della «Rassegna Industria-Commercio» di Savona, il «Dato di panificazione nel Comune di Savona al principio del secolo xiv». * * » Nel fascicolo di marzo 1933 della Rivista Municipale «Genova» Antonio Cappellini scrive su «La via di Circonvallazione a Monte», raccogliendo vìa via dati storici ed artistici interessanti uomini e fatti di cui la importantissima arteria, una tra le più belle vie di Genova, offre il ricordo. * * » Nel fascicolo di marzo 1933 de «Il Raccoglitore Ligure» stella nera ha un lungo articolo su «La più fedele colonia di Genova», cioè Bonifacio, che ancor oggi conserva i segni dell’antica apparteneuza a Genova. * * * Nel fascicolo gennaio-marzo 1933 de Γ «Archivio storico di ( or sica» Uosa rio linsso replica all’articolo critico e polemico di 1*. I lario R mi eri con «La ribellione di Sampiero e la penetrazione francese pella Corsica» ; il Kinicrt prosegue la pubblicazione delia sua monografia su «I Vescovi della Corsica»; A Lumbroso tratta de «I Bonaparte dell’isola e i Buonaparte del continente» Nelle notizie di fonti e documenti C. Domate dà notizia di «Manoscriiti di storia corsa nell’archivio >Storico del Municipio di Genova», ed h Michci illustra un manoscritto inedito del sec. XVIII «Corsica contro Genova» Hanno collaborato alle rubriche Varietà, Questionario e Bibliografia M. Roselli Cecconi, G. Micheli, D. Spadoni, 1\ Parisella, Kewc, D. Soutwel Colucci, I. Rinieri, B. Emmert, R. Russo, E. Michel. G. Bottiglioni, G. Curaci, G. Cecchini, G. Muzzo, T. Guarnaschelli, U. Biscottini. * * * Arturo Codignola scrive ne «Il Raccoglitore Ligure» di marzo 1933 «Sui PRIM0RDÎ DELLA POLITICA COLONIALE NEGLI STATI SAIT 1». * * ♦ Su «Il Giornale particolare Dell’Ammiraglio Francesco Serra» rinvenuto-nelle carte dell* Archivio Serra a Bonassola scrive Orlando Grosso ne «li Rac- Spigolature e Notizie 137 coglitore Ligure» di marzo 1933. Lo scritto è continuato nei due fascicoli di aprile e maggio dello stesso periodico ed è in continuazione. * * * Un acuto esame delle caratteristiche della coltura ligure fa Italo &co-yazzi in uno studio «Minerva e Mercurio», pubblicato nel fascicolo del marzo 1933 della «Rassegna Industria-Commercio» di Savona. * * * In «Secolo XIX» del lo aprile 1933 Giuseppe Scolari scrive su «Il Convitto Nazionale di Genova» adunando interessanti ricordi di sessantanni addietro e ricordandone i professori più illustri e gli alunni ch’ebbero più fama. • * * cPerciiì'. Saliceti?» è il titolo d’uno scritto di Vito Vitale in «Giornale di Genova» del 1° aprile 1933. L’autore contesta le benemerenze di Cristoforo Saliceti, cui Genova ha dato il nome di lui ad una via, sia pure modesta. * * * Lo scritto di Sirius in «Corriere della Sera» del lo aprile 1933 dal titolo «Giovanni Caboto» rileva l’origine genovese dei grande navigatore cui Venezia avrebbe poi concessa la cittadinanza per aver dimorato quindici anni in quella città. * * * Giuseppe Foches scrive in «Giornale di Genova» del 2 aprile 1933 sulle «Vestigia di Roma nella valle dei Ponti». L’A. illustra le strade consolari nella Riviera ligure di Ponente e rileva i segni della romanità lungo la via Giulia Augusta, specialmente tra Vado e Finale e lungo la valletta del Rio Ponci. * * * Iu un breve scritto anonimo pubblicato dal «Secolo XIX» del 4 aprile 1933 è tracciata a grandi linee la storia di «Pontedecimo» altro dei finìtimi borghi ora aggregati a Genova. * * * a. pc. scrive in «Secolo XIX» del G aprile 1933 su «Le due Falleite» e cioè Leonora e Lavinia Falletti gentildonne liguri che fiorirono nel secolo XVI. • * * Nello scritto oBigiìellonando fra Creto e Montoggio» pubblicato in «Giornale di Genova» del C aprile 1933 l'mbevto Di Leva aduna memorie storiche e rilievi folkloristici relativi alla regione descrìtta. • * · Lo scritto (anonimo) pubblicato in «Nuovo Cittadino» del G aprile 1933 col titolo: «La R. Scuola d'ingegneria a Genova» rifà brevemente la storia 138 SPIGOLATURE E NOTIZIE del novello istituto eli'è una trasformazione della R. Scuola Superiore Navale istituita nel 1S70. ♦ * * «Nietzsche a Genova» è ricordato da Francesco Ceraci in «Secolo XIX» dell’S aprile 1933 a proposito dell’epistolario or ora pubblicato in Germania e dove moltissime sono le lettere genovesi del Nietzsche. * * * «Vestigia liguri tra le mura di novi» è il titolo d uno scritto di Mario Ferretti, in «Secolo XIX» del 9, aprile 1933. In «Nuovo Cittadino» del 9 aprile 1933 è pubblicata, a firma N. Bozzano, uno scritto sulle «Mura e Porto di Genova antica». All’articolo aggiunge alcune osservazioni «Un lettore dei Giornale», pure in «Nuovo ( ivtadino» del 1S stesso mese, sotto il titolo: ((Antiche costruzioni genovesi». j ■ * * * Nello scritto «Italiani benemeriti del Brasile» pubblicato, a firma a c in «Secolo XIX» dell 11 aprile 1933 è contenuto un cenno illustrativo del Dott. Libero Badare, ligure, di Laigueglia, che fu assai caro al popolo brasiliano e specialmente ai cittadini di San Paolo, per la sua opera patr o ica ed umanitaria. * * * «Una pagina della storia del lavoro in Liguria» scrive Rinaldo hiffojp in «Lavoro» del 13 aprile 1933 riandandone le vicende da cent’anni addietro sulla scorta, specialmente, degli scritti del Cevasco. * * * «Quando i vascelli inglesi comparvero nelle acque della Rimerà di Ponente» dice G. B. A. in «Lavoro» del 15 aprile 1933. Ix> scritto riassume parecchie pagine di storia, a partire dall’epoca della seconda guerra per a successione al trono di Spagna, fino all’eroismo dei marinai inglesi nel tragico naufragio del «Transilvania» avvenuto nel 1917. ♦ · * ((L’industria delle campane a Recco» è illustrata con ricordi storici da «Ipoy> in «Secolo» XIX · del 10 aprile 1933. * * * Lo scritto anonimo pubblicato in «Lavoro» del 15 aprile 3933 col titolo: «Cronache d’altri tempi» ricorda un curioso episodio per l’innalzamento d| una bandiera della Repubblica Genovese sul Torrione della Marina a Diano. • · · Lo scritto «Dichiarazioni alla superba» pubblicato da Arrigo Fugassa in «Corriere Mercantile» del 17 aprile 1933 recensisce ampiamente il recente volume d’egual titolo di Umberto V. Cavassa. Spigolature e Notizie 139 * * * M. F, tratta ampiamente nel «Le Soir» di Bruxelles del 17 aprile 1933 dello studio di Mario BattistinJ. su Paganini nel Belgio, pubblicato nel nostro Gioviale, * * * «Domenico Ferrari di Taccia» è evocato tra le ombre e figure del Risorgimento da 7. in «Lavoro» del 1S aprile 1933. * * + In «Giornale di Genova» del 18 aprile 1933 Aro inizia uno studio sulle industrie liguri movendo dai tempi più antichi della Repubblica di Genova. Lo studio ha per titolo: «L’Alra della vita industriale ligure». Lo scritto è continuato nei numeri del 19 seguente e del 5 maggio. * * * Lo scritto «Inno a S. Giorgio» (a firma P.) in «Secolo XIX» del 24 aprile 1933 ricorda Terenzio Mamiani (nome un ΤΛΓ dimenticato a Genova) autore d’un inno scritto nel 1S4G pel centenario della cacciata degli Austriaci da Genova e recante il vaticinio all'unità d’Italia. In «Secolo XIX» del 24 aprile 1933 è pubblicato un articolo anonimo dal titolo «Cuiavari la bianca» dov’è riassunta molta parte di storia e sono riepilogate le bellezze artistiche della cittadina sorella di Levante. * * * «Giovanni Caboto genovese» è il titolo d’uno scritto di Alfredo Obertello in «Giornale di Genova» del 23 aprile 1933. Ricorda le testimonianze storiche che attestano il celebrato navigatore ligure e genovese della nostra terra. » * 0 Dì «Giovanni Hocke», olandese, profondo conoscitore della nostra lingua e traduttore di Dante nella sua, scrive un commosso elogio Amedeo Pescio in «Secolo XIX» del 22 aprile 1933. L’Hocke fu per molt’anni in Italia dove ebbe amici, carissimo tra tutti Candido Augusto Vecchi, e l’inverno del I860 trascorse tutto a Villa Spinola presso Sestri-Ponente. Anche del nostro Risorgimento nazionale egli fu un ammiratore entusiasta. * * * T’no scritto anonimo apparso in «Secolo XIX» del 2f> aprile 1933 amiunciaudo prossimo «Il restauro casa di Simone Boocanegra a Santa Tecla» non mette in dubbio che i ruderi attuali sieuo d’un palazzo appartenuto al primo Doge di Genova appoggiandosi ad una Λ"ο/α pubblicata in «Giornale degli studiosi» del 1870. • · · In «Secolo XIX» del 2ì aprile 1933 Mario Ferretti pubblica una seconda puntata del suoi «Itinerari Provinciali» col titolo «Orme Novesi nella storia». 140 Spigolature e Notizie Lo scritto è ricco di ricordi storici illustranti personaggi notevoli di Novi-Ligure, dal Girardengo clie v'ebbe bottega di stamperia dieci anni prima che l’avessero a Venezia i Manuzio al Gagliulìi che vi morì e vi fu sepolto. * * · Scrive il Gen. L. A. Maggiorotti in «Giornale di Genova» del 27 aprile 1933 su «Guglielmo Boccanegra e le fortificazioni d’Acquemorte»* rievocando memorandi ricordi lasciati dai Genovesi in Frovenza. D. Spadoni illustra nei «Fante» di Milano del 30 aprile 1933 quale fu l’atteggiamento di Garibaldi verso la Corsica, in un articolo dal titolo «Garibaldi e la Corsica». * * * A firma m. sono esposte ne «Il Raccoglitore Ligure» di aprile 1933 «Curiosità d’Archtvio» riguardanti beghe d’Artigiani e di medici. La voce bega è schiettamente dialettale e vuol dire più o meno pettegolezzo. * * * Del generale corso «Antonio Filippo Casalta» traccia un profilo il generale Colonna de GioveUina nel fascicolo del marzo-aprile 1933 della «Revue de la Corse». * * · Stella Nera illustra ne «Il Raccoglitore Ligure» d’aprile 1933 «La colonna infame» cioè quella che a Genova è dedicata al ricordo del tradimento di Giulio Cesare ATacchero. * * * Nel fascicolo d'aprile 1933 de «Il Raccoglitore Ligure» Vito Vitale. sotto il titolo «Ancora Gagliuffi» aggiunge qualche rilievo a proposito del tema trattato di Umberto V. Cavassa nel fascicolo di febbraio 1933 dello stesso periodico e cioè : «Una villeggiatura genovese di cent’anni or sono». * * * Stefano Rehaudi ha ne «11 Raccoglitore Ligure» d’aprile 1933 un ampio articolo su «La Cortina del Palazzo Ducale» dove alla rievocazione topografica è collegata la rievocazione storica per dare una completa relazione delle compiiate vicende del grandioso edifizio. * * * Su «Il completamento della facciata di S'. Lorenzo» scrive Orlando Grosso in «Genova» Rivista Municipale di aprile 1933. Al progetto studiato ed esposto dal Grosso, precede uno studio retrospettivo delle vicende costruttive del nostro maggior Tempio al cui restauro il Grosso ha già dato molto delle sue intelligenti cure. Spigolature e Notizie * * * 141 In relazione, e come Note, allo studio analogo già pubblicato in «Genova» Rivista Municipale (lei luglio 1932, Mario Celle nel fascicolo di aprile 1933 •della stessa Rivista, scrive su «Colombo e il nuovo Mondo nella tradizione cinquecentesca». La tradizione colombiana primitiva ne riceve una completa luce specialmente col sagace studio della iconografia. * * * , A fìrma tre steUe in «Lavoro» del 5 maggio 1933 è ampiamente recensito 1 opuscolo di L. Parmeggiani : «Un episodio di storia chiavarese e Dante». La incursione cui ebbero parte diretta o indiretta personaggi che Dante forse conobbe, è quella descritta da Caffaro e suoi continuatori, del 127S. * * * «L antica industria degli orologi da torre» è illustrata da Ivo in «Secolo XIX» del 5 maggio 1933 con particolare riguardo alla cittadina di Recco e suo territorio dove tale industria fu da anni lontani in fiore ed ancor oggi vive * * * «Capitan Bixio» è il titolo d’uno scritto a firma a. c. in «Secolo XIX» del 5 maggio 1933. Recensisce ampiamente il volume recènte di Ugo Cuesta pubblicato a cura della Lega Navale Italiana «Gli antichi pontoni a ruote» congegni ormai disusati nel Porto di Genova sono ricordati da S. B. in «Corriere Mercantile» del 5 maggio 1933. Servivano per operazioni di carenaggio accostati or a uno or all’altro lato delle navi da riparare. Ora il Porto è provvisto all’uopo di ampi bacini. * * * «Storie di arrembaggi, di naufragi e di miracoli» è il titolo d'uno scritto di Giovanni Descalzo in «Giornale di Genova» del G maggio 1933. Evoca tratti di storia camogliese e spunti di folklore marinaro riferentesi alla graziosa cittadina della riviera di Levante con un accenno ad un episodio riguardante la lotta che Genova sostenne per conservare *otto il suo dominio la Corsica. * * * oRicordi d un tempo ciie fu» raccoglie un vecchio genovese in «Lavoro» del 0 maggio 1933 a proposito del lavoro, dei lavoratori e delle loro paghe nei Porto di Genova un cinquantennio addietro. * * * In «Secolo XIX» del 7 maggio 1933 Carola Roncali riassume la «Vita di una Regina Santa». Trattasi di Maria Cristina di Savoia che dimorò a Genova e nel Santuario dell’Accjuasanta presso Voltri sposò Ferdinando II di Napoli. L’A. ricorda che nella Villa Brignole-Sale a Voltri ebbe luogo la •colazione che seguì gli augusti sponsali. • · * «Memoria dei primi voli» ossia, inizi dell’aviazione a Genova, è il titolo 142 Spigolature e Notizie d'uno scrìtto pubblicato in «Secolo XIX» del 7 maggio 1933. to tolto dalla Rivista (ora cessata) «Liguria Illustrata» e porta la firma di Amedeo v cscio. Il tema è poi proseguito nei numeri del 0, 10, 11, 12, 14, 10 e li) stesso maggio, pure nel medesimo Giornale. * * * «Il Cenacolo falansteriano di salita S. Caterina» da il titolo ad uno scritto di F. Ernesto Morando in «Corriere Mercantile» del 9 maggio IMS. La dottrina economi co-soci ale del Fourrier ebbe anche a Genova degli ec ed i seguaci di tali principi s’adunavano presso il Conte De Asarta, patrono del Cenacolo. Stella Nera scrive in «Lavoro» del 10 maggio 1933 su «Benedetto Zaccaria genovese del duecento» recensendo ampiamente il volume recente di Ro »ei o Lopez «Genova marinara del duecento - Benedetto Zaccaria ammìragl.o mercante». g lo tun firma un articolo in «Giornale di Genova» del 10 maggio 1Λ».. cbe ha titolo «Oggi al Santuario della Vittoria». Rievoca la giornata storica del 10 maggio 1G25 che vide la resistenza di un manii»olo di polceverasclii a duemila franco-sardi e ricorda le vicende del Santuario che vi sprse e le trac zionali gite che vi si compiono. * * * Uno scritto anonimo in «Secolo XIX» dell’ll maggio .1933 illustra «L Ora-torio di Coronata» ricco di pregevoli opere d’arte e special mente di pitture del genovese Badaracco. L’edifizio, che sorge sulla collina amenissima che sovrasta Cornigliano Ligure, non ha ricordi storici, tuttavia menta 1 accenno fattone dell’A. per riguardo alla storia dell’arte genovese. » · * Di .1/ R Pizzorni è lo scritto «Campo Feudo Imperiale» pubblicato in «Secolo XIX» del 12 maggio 1933. Riassume uno studio di Domenico Leoncini in «Bollettino Parrocchiale» di Campoligure dove la storia «lei notevole borgo è esposto in una serie d’articoli fora raccolti in opuscoli) su documenti ricercati negli archivi. Paolo da Milano nello scritto «Genova santa» pubblicato dal «Nuovo Cittadino» elenca personaggi ragguardevoli nel campo delle opere buone e di carità, con speciale riguardo alla Bracelli ed all Istituto da lei fondato. * ♦ · In «Lavoro» del 12 maggio 1933 Un vecchio gcr.ovese continua ad adunare «Ricordi d’un tempo che fu». Specialmente dei lavoratori del mare e loro assistenze tratta l’articolo odierno chiuso con un Tratto simpatico del dirigente della Federazione Marinara. Spigolature e Notizie 143 Sotto il tìtolo «L’opera civilizzatrice di Genova in Corsica» si dà notizia in «Secolo XIX» del 13 maggio 1933 d’una conferenza ^tenuta su quel tema çla Oreste Tencajoli a Savona per iniziativa della «Dante Alighieri». * * * «Taccia vecchia e nuova» è ricordata con spunti storici che rievocano le origini ed i monumenti più interessanti, da A. B. in «Secolo XIX» del 13 maggio 1933. * * * Vito Vitale in «Giornale di Genova» del 14 maggio 1933 recensisce ampiamente, sotto il titolo «Genova nel duecento» il recente volume di Roberto Lopez su Benedetto Zaccaria commerciante e navigatore. * * * F. Ernesto Morando prende occasione della conferenza tenuta in Genova dal Tencajoli per trattare ampiamente sul «Corriere Mercantile» del 15 maggio 1933, intorno a «Genova e la Corsica». * * * Sotto il titolo La Corsica e Genova il «Telegrafo» di Livorno del 17 maggio 3933 dà un ampio resoconto della conferenza tenuta in Genova il 16 maggio nella sede dell’istituto fascista di cultura da O. P. Tencajoli. I * · * In «Corriere della Sera» del 19 maggio 1933 si rende brevemente conto d’una conferenza tenuta i] is stesso ad Alessandria, presso l’istituto Fascista di Cultura, dall’Avv. Stefano Bozzetti che rievocò, sulla traccia d’un diario inedito lasciato dal padre suo Romeo Bozzetti uno dei Mille, la battaglia di Calataflni. L·» scritto ha per titolo: «Garibaldi, Bixio e Nievo a Ca-latafini». • * * In uno scritto pubblicato in «Secolo XIX» del 21 maggio 1933 e ch'ha per titolo «Il Bfato Bastiano» Amedeo Pescio (sotto la siglia a. pe.) riassume lucidamente la storia del B. Sebastiano Maggi, bresciano di nascita, ma morto a Genova, che nel Tempio di S. M. di Castello ne eustodìsce la salma incorrotta. • · · In «Lavoro» del 2Γ» maggio 1933 sono tradotte alcune pagine d’un recente volume di Gabriel Faurc (Les rendez-vous italiens) sotto il titolo: «Gustavo Flaubert a Genova». 144 Spigolature e Notizie Il «Nuovo Cittadino» del 20 maggio 1933 il Can. Mussi scrive d’«Un'insigne OPERA D’ARTE NEL PALAZZO DEL GOVERNO DI MASSA IN LUNIGIANA». Trattasi d’un rilievo marmoreo dei see. ΧΛΓ rimesso in buona luce nella Cappella del Palazzo ex ducale restaurata a cura dell’attuale Prefetto Festa. * * * Dei rapporti fra Genova e Koma parla Amedeo Pescio in «Secolo XIX» del 27 maggio 1933 sotto il titolo: «Spurio Lucrezio». ♦ * * «Il Santo Precursore» è titolo uno scritto pubblicato da Lazzaro De Si-moni iu «Nuovo Cittadino» del 27 maggio 1933. Rifà la storia del trasporto da Mira a Genova delle Ceneri di S. Giovanni Battista. * * * «Il ricupero d'una bella Chiesa» è annunciato da B. B. in «Secolo XIX» del 2H maggio 1933. Trattasi dell’antica chiesa di S. Siro a Sanremo costruita nel sec. XH, ora restaurata e ridotta alla forma primitiva dopo lunghi anni di decadimento e profonde traccie di deturpazione. * * * «Teramo Piaggia» da Zoagli è studiato nella sua complessa opera pittorica da Giorgio Berzero in «Nuovo Cittadino» del 2S maggio 1933. L’A. cita lo scritto d’un diligente e competente studioso di vecchi artisti liguri. Mario Bonzi, già pubblicato in «Genova» Bollettino Municipale del Giugno 1925 pur ricordandone in qualche rilievo e mettendo in luce migliore, anche contro il Vami, il valore del Piaggia cui riconosce doti di vero maestro. * * · In occasione del trasferimento da Torino a Genova del materiale costituito da oggetti dell’antica Liguria, romana e preromana in «Corriere Mercantile» del 30 e in «Secolo XIX» del 31 maggio 1933 si analizza, di contro ad opposte pretese accampate in «La Stampa» di Torino, le pertinenze di tali oggetti al costituendo «Museo Archeologico Ligure». I due scritti, che portano questo stesso titolo, sono anonimi. * · · Notizie e dati su «Le Biblioteche Genovesi» .sono raccolte da L. in «Lavoro» del 31 maggio 1933. • · · Su «Luigi Serra olivetano e i Novémviri» scrive Vito Vitale ne «Il Raccoglitore Ligure» di maggio 1933. La tipica figura del monaco autore degli «Inni di libertà», verrà a ricevere nuova luce nelle prossime puntate dello studio, che è in continuazione. * · · M. U. Masini tratta de «Le Lampade e i Mostri di Fortunio Liceti» ne Spigolature e Notizie 145 «Il Raccoglitore Ligure» di maggio 1933. li Liceli nacque a Rapallo da famiglia recchese. * * * Mari Bonzi illustra ne «Il Raccoglitore Ligure» di maggio 1933 «Un trittico della Scuola del Brabante» già nel palazzo aless ano dei Cambiaso in San Francesco d’Albaro. L’A. lo riaccosta alla «Adorazione dei Magi» del van Cleve che si conserva nella Chiesa di San Donato a Genova. » » * Di stella nera è il lungo articolo pubblicato ne «Il Raccoglitore Ligure»
  • «Secolo XIX» del 2 giugno 1933 è pubblicata una recensione del recente volume di II. Tegani «Viaggio nel Mondo sommerso» cli'è pure il titolo dello scritto a firma a. c. V’è ricordato come Genova conobbe e utilizzò di buon ora il palombaro (detto in dialetto magrón) citandosi Egisto Roggero, Leon Battista Aberti e documenti deir Archivio dei Padri del Comune. * * * Uno scritto di stella nera in «Lavoro» del 3 giugno 1933 dal titolo «Ca-lendarietto - Un Marinaio» esalta le qualità marinaresche di Garibaldi opportunamente studiate e messe in rilievo. L’À. muove dallo spunto offertogli nell’articolo pubblicato nel numero precedente del «Lavoro» da «Roscellino». in recensione della «Vita di Garibaldi» di G. Sacerdote. * *· * «La Settimana Religiosa» di Genova nel suo numero del 4 giugno 1933' pubblica (senza firma) uno scritto dal titolo «Memorie Storiche Genovesi -Vigilia e Festa di Pentecoste». Oltre a consuetudini liturgiche interessanti vi si parla della solenne premiazione che nel giorno di Pentecoste si faceva pei Balestrieri più distinti nel maneggio delle armi dopo pubbliche gare in luoghi pubblici della città. * * * Renzo Bianchi ha un articolo in «Lavoro» del 4 giugno 1933 col titolo: «Su un fiume di velluto a Zoagli». Ricorda la lavorazione a mano dei velluti che diede celebrità a quelfamenissimo luogo della Riviera di Levante ch’è la cittadina di Zoagli. * * * v. g. scrive in «Secolo XIX» del 4 giugno 1933 su «L’evoluzione artistica, di Óneglia e Portomaurizio» if dando notizie sul Museo di Imperia di prossi-ma apertura e sulle opere d’arte e collezioni storiche che ospiterà. * t * Lo scritto di G, Ccnzato in «Corriere della Sera» del 5 giugno 1933 ^ che ha per titolo «Castelli liguri e della Bassa Veronese» è in parte una buona recensione del volume sui Castelli Liguri da poco pubblicato dal Brunetti. Lo stile dell’A. dello scritto aggiunge vivacità e colore alle vicende· da esso riassunte delle tipiche rocche dei Fieschi e dei Doria. * * * «Un ardito del mare nel Duecento» è il titolo suggestivo d’una bella recensione del recente libro del Lopez dedicato a Benedetto Zaccaria. Lo scritto-è pubblicato in «Corriere della Sera» del G giugno 1933 ed è firmato g. ve1h. * * * c. p. commemorando in «Secolo XIX» del G giugno 1933 «Gaetano Bavagnoli» (che fu per lunga dimora un po’ genovese) ricorda una signorina americana, della quale molto si parlò a Genova, che nella stagione 1909-10 do- Spigolature e Notizie 147 veva interpretare la parte (li «Melisenda» al «Carlo Felice» e che Edoardo Searfoglio, di lei invaghito, sottrasse improvvisamente alla scena, Lo stesso c. p. nel numero successivo (7 giugno) del medesimo giornale, aggiunge particolari su questo episodio sotto il titolo: «La mancata rappresentazione del pELLEAS AD CARLO FELICE VENTANNI FA)). * * * Νίκο Pastore discorre in «Lavoro» dell*8 giugno 1933 de «La biondina di piazza (Fontana Marose». Si tratta di Argentina Spinola che sarebbe effigiata nella quarta delle statue che adomano il fronte del palazzo quattrocentesco ove oggi ha sede le Società di Letture Scientifiche. * * * «Ignorati capolavori d'arte si trovano a Genova?». Così si chiede il signor Luigi Anseimo in uno scritto pubblicato in «Secolo XIX» pubblicato in «Secolo XIX» dell’S giugno 1933. A dir dell’Anseimo una povera casa nei pressi di Banchi custodirebbe due Ìtaflìaelli ed un Tiziano, tre quadri di valore inestimabile. * * * In «Secolo XIX» dell’S giugno 1933 è pubblicato uno scritto (a firma a. e.) dove, sotto il titolo «Per l’avvenire di Citiavari» e rifacendosi al volume degli Atti della Soc. Ecnomica pel 1932 ora editi, si segnala l’importanza dello studio pubblicato in Appendice dal Trof. Panneggiami, già ricordato. * * * A. R. Scarsella scrive in «Secolo XIX» del lo giugno 1933 su «I tumulti del 49 e del ΌΤ a S. Margherita Ligure». * * * «li- Preziosissimo Sangue, sacra reliquia lunense» è il titolo d’uno scritto di Alfredo Bonati in «Secolo XIX» del 10 giugno 1933. Vi si fa la storia di un^insigne reliquia della Passione che in modo miracoloso sarebbe giunta a Luni nel 7S2 e tuttora si conserva nella Cattedrale di Sarzana. * * * Nel fascicolo di giugno 1933 de «Le Vie d’Italia e del Mondo» Edith bouthivell Colucci ha uno scritto dal titolo «Pastori Còrsi». Non mancano referenze storiche ma sopratutto il folklore isolano, e particolarmente quello delle regioni del Niolo, ha in questo scritto una copiosa illustrazione. APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Studi ^scritti su G. Mazzini pubblicati all' estero A. Màbcu, ConsjHratorii si conspiratii in epoca renaste rii politice a Romànici, 1S4S-1S77. Cartea Romaneasea, Bucarest, 3930. 1. a. traccia un interessarne q'-adro della vita politica romena negli anni in cui più dura fu la lotta per il nostro Risorgimento. Vi è diligentemente seguita I azione del Mozzini e di altri patrioti svolta in accordo coi patrioti romeni. Iou\ Marriott, The Italian Risorgimento, in «The Sunday Times», Londra, 5 marzo 19.33. Ampia recensione delia monografia di G. F. Berkeley, giù segnalata. L’a. el sofferma ad illustrare di proposito le pagine dell'opera che trattano della diversa funziout espi cat a dal Xazzini, dal Gioberti e dal lialbo, ntl costro Risorgimento. Alessandro Ferrara, Mazzini maestro d'd’cryia, in «11 Mattino d’Italia», Buenos Ayres. 30 marzo 1933. Appassionata rievocazione della figura dell’Apostolo ntl Gl* anniversario della morte V'ò però da prendersi con le molle, la .‘fguente asserzione : Mazzini è morto in Genova «in casa Rosselli. Questa casa, messa in vendita il mese scorso, fc t ita acquistata dal Municipio di Genova» ecc. tee. Folco Tortena, «L'omhra sua toma ch'era dipanila», in «Giornale d’Italia», Buenos Ayres, 10 marzo 1933. Sagace nota commemorativa. L*a. afferma, fra l'altro, e ci trova pienamente conico* zicnti : «Pochi in Halia, pechUfc mi nel monde cono'· one l'alto pensiero di questo eduratorc di popoli. 11 mondo ha fretta e si contenta di conoi ere appena di Giuseppe Mazzini la sua opera di primo e determinante fattore dcH'unitk italiana. E poiché il risorgimento d'ital a fu indubbiamente il fatto maggiore del secolo XIX, grandissima è ed apparirà ne’ secoli la figura di Giuseppe Mazzini, anche a chi la contempli sotto quest'asp tto di «ultimo dei grandi italiani antichi e primo dei moderni»; eppure il Mnzzini educatore, il Mazzini creatore di coscienze e di leggi che vivono per il fnturo, è immensamente superiore al Mazzini patriota». --, Un maestro di salvezza, in «Bollettino della Sera», Philadelphia, 11 marzo 3933. L a., dopo aver ricordato che a New York existe un Circolo di studi mazziniani, che conta ira i suoi aderenti molti studenti universitari, prosegue : BIBLIOG BA FIA M A ZZI MA ΝΑ 149 «(ili Italo·Americani dovrebbero coltivare molto di più che non fanno gli studi mazziniani. Max/ini è ancora maestro e lo sarà sempre. Quando il marxemo aveva creduto di superarlo, venne la guerra mondiale ad avverare la profezia fatta da Mazzini che l'Internazionale di Marx avrebbe smembrato i popoli invece di affratellarli. L'interpretazione materialistica della storia ebbe in Mazzini per ordine di tempo e di uppn^ oliato convincimento il primo e più forte avversario. Mazzini desiderò infinitamente più che Marx l’emancipazone del proletariato; ma senza abbrutire ancor più la vita ; ma senza l’odio cieco della lotta di classe ; ma non forzando la realtà entro schemi intellettualistici, ma adoperando e purificando le forze reali del progresso del popoli e deUe classi. Dovrebb’essere un titolo di orgoglio per gli Italo-Amerioani portare il contributo del pensiero sociale di Mazzini negli sforzi che negli Stati Uniti i migliori fanno per superare U depressione economica e per impedire la periodicità di taii crisi. Secondo il concetto mazziniano, è assurdo epperò peggio che inutile tentare di riparare i mali ecouomici con forze soltanto economiche. Il pen&iero centrale del sistema mazziniano è che lo spirito è sovrano e adatta ai suoi bisogui la materia, invece di lasciarsi asservire dalla materia. Troppa fldauza nelle sole forze economiche, cioè materiali, hanno fatto gli Stati Uniti. Io mezzo airabbomlanza di tutti i beni e le risorse dell e onomia, soffrono come e più dei Paesi poveri. Nessuno può quanto gli Italo-Americani assimilare Ü pensiero mazziniano, epperò essi possono essere I più validi cooperatori all’opera di infusione di spiritualità nel gioco delle forze economiche e delle relazioni fra le classi. Il che vuol dire salvare ΓAmerica». WaLTEB Littlefield, The Making of Italy, in «New York Times», 12 marzo 1933. Succinta recensione della monografia del Berkeley già segnalata. Valjkan, Feticismo, in «Giornale d’Italia », Buenos Ayres, 10 marzo 1033. L’a. prendendo lo spunto dal dono fatto al Museo del Rsorgimeuto di Genova dall’aw. MaMtKconc del giuoco di stacchi appartenuto al Mazzini, deplora che si dia troppa importanza al culto degli oggetti appartenuti ai Grandi, e prosegue: *Γ>ί Mazzini bisogna conservare il pensiero, l’ammaestramento, l’esempio di una vita pressoché unica nell'ardenza della fede e del sacrificio. Conservarne la scacchiera ove possibilmente giocò, i.· lo stesso che si fossero conservate tutte le selci dei lastricati di Genova, perchè ognuna d’esse poti esser calpestata dal piede dell'Apostolo. Il pensiero e l'esempio; il rimanente non ha, non potrebbe avere nessuna importanza. Il resto non è che or Retto di feticismo che lascia indifferente la mente e vuoto il cuore o può servire, al massimo, per elemento polemico a chi ha aspettato l’anno di grazia 1933 per accorger*! che dal 1805 al 1872 vinse un uomo, che creò l'anima italiana, che costrinse i pigri e gli ignari a fare la guerra e le rivoluzioni per ricostituire la nazione italiana e vide «co Ί cuor di Bruto ed il pcnsler di Dante», ciò che non potevano vedere nò i neoguelfi nè i ghibellini in ritardo. Quanto cianfrusaglie inutili inceppano la comprensione della Storia!». — -, Mazziniancsimo e Fascismo, in «L'Italiano», Montevideo, 26 marzo 1933. Risposta polemica a due giornali di Montevideo El Ideal e El Dia. Afferma, fra l’altro,, l’autore : «Mazzini, che ha sempre svolta una accanita lotta contro ogni aspetto della concezione ma· terialfctica della vita, può considerarsi il pioniere delle attuali conquiste morali e spirituali italiane, fascist«. Mazziniano è il concetto fase sta della Nazione, poiché finalmente si è compreso come il popolo che non sia diretto da saldi principi comuni, affratellato in una tendenza uniforme e radicalmente morale, non può costituire la Nazione». 150 Bihliografia Mazziniana Arthur Livingston, Freeing Italyy in «New York Herakl Tribune», 20 marzo 1933. Succinta recensione della monografìa del Berkeley già segna.ata. __, Scacchiera che fu di Mazzini donata al Comune di Genova, in «Progresso Italo-Americano», New York, 28 marzo 1033. Si dà notizia del dono fatto dal pronipote di Antonietta Mazzini l’aw. Massuccone al Museo del Risorgimento di Genova. Anthony M. Gisolfi, Mazzini : prophet of moderi> Europe, in crAtlantica», New Y’ork, marzo 1933. Sagace recensione della monografia del Griffith più volte segnalata. --, L’anniversario della morte di Giuseppe Mazzini, in «Italia», Montreal, lo aprile 1933. Si dà notizia delle cerinonie commemorative tenutesi in Genova il X marzo. Mieczyslaw Pruszynski, Xi emana K a respondere ja Ulama) cha z Mazzini, in «Slowo», Wilno, 14 aprile 1933. L’a. sulle orme della munorrafla pubblicata dal MazzucctielU sulla «S«-ia* di Milano d*l 15 c 18 settembre 1932 già segnalata, illustra nel riguardi delU Polonia, 1 importanza dei negoziati segreti avvenuti nel 1867-G8 fra Bismarck c Mazzini. --, Mazzini, Carducci cd il Fascismo, in «L’Italianoo Montevid«O, 21 aprile 1933. Prosegue lo scritto polemico, già segnalato. Scrive l a. : «Mazzini è stato la prima scolta del'a nuova epoca che ha livelato una legge organ ca basata «su un principio», nella cui fede gli uomini possono riconoscersi, affratellarsi, a>so c.arsi. Questo principio, scriveva Mazzini, dovendo porsi a base della riforma sociale, deve cerere necessariamente ridotto ad assioma; e, dimostrato una volta, fottrarsl all incertezza e all’esame individuale che potrebbe, rivocandolo in dubbio ad ogni ora, distruggere ogni s a -oilità di riforma: che a rimanere inconcusso, è d’uopo rivesta aspetto di verità di un ordine superiore, indistruttibile, indipendente dai fatti e immedesimato col sistema mora c deli universo : e noi dobbiamo persuaderci che esso, aveudo a stabilire un vincolo di a.-socia· rione fra gli uomini, deve costituire per tutti un‘eguaglianza di natura, di milione, d'intento. Lo Stato corporativo fascista rappresenta il mezzo per la realizzazione di tale principe perchè disvela la potenza dell’associazione intesa ad un fine comune, a creare nei r.ttadjn la coscienza dei propri diritti nel compimento del dovere, in cui consiste il valore del vita, a stimolarne la volontà per un miglioramento mirale e per un perfezionamento e «viluppo progredivo dell'atthitk sociale». --, Cavour et VepopCe du Risorgimento, in «L’Illustration», Parigi. 29 aprile 1933. Segnalazione della monografia del Panzini sul Cavour, già ricordata. Scrive l'effemeride francese : . «Ces pages nous expliquent Cavour doua chacune des phases de sa vie si fertile en incidents dramatiques. L'époque est l'une des plus riches en personnalité de premier plan. De Mazzini, de Nigra, de Napoléon III, de Garibaldi M. A. Panzini nous donne de, per-traits fort exprcss'fa. DimportanU chapitres sont consacrés aux batailles de Magcnt-a et de tollerino». Bibliografia Mazziniana \$\ Opere e studi su G. Mazzini pubblicati in Italia Adolfo Omodeo, Figure e passioni del risorgimento italiano Palermo. Libreria Cluni, 1932. In questa raccolta di saggi, la maggior parte giî» editi, se ne rintraccia uno dedicato in particolar modo al Mazzini e cioè quello eul «primato francese e l'iniziativa italiana». Con la consueta sagacia ΓΟ. trattando da par suo l’importante problema coglie ed illustra le a (Unità e le discordanze tra il pensiero dell'Apostolo e quelle del Gioberti, del Guizot, del Lamennais e del Michelet. Ettore Fabikiti, Mameli, Milano, Treves-Treccani-Tumminelli, 1933. Il prediletto discepolo di Mozzini ·> ristudiato c ripreseutato dal Fabiett· con ottima informazione e con appassionato intelletto d’amore. G. C. L. S16MONDI, Epistolario, vol. I, Firenze, «La Nuova Italia», 1933. Carlo Pellegrini per incarico dell’Ente Nazionale di Cultura, inizia con questo volume la pubblicazioni* doli'Epistolario del Sismondi, i cui rapporti col Mazzni sono ben noti. Il P. fa precedere l'epistolario da una nutrita introduzione, nella quale accenna pure alle divergenze ed alle affinità fra le due ligure. Alessandro Lu zio, Una lettera canzonatoria di Felice Orsini a i suoi giudici, in «La Voce di Mantova», 5 maggio 3933. L'insigne storico ha dettato per Gonzaghaca (la rivista della III Settimana mantovana) una girotta primizia, che l'effemeride ripubblica. Il Luzlo informa sul carteggio Hcrwegh recentemente acquisito dallo Stato, che si propone di presto illustrare; cd intanto rende noto l'efficace concorso offerto da un popolano, Giuseppe Su grotti, per salvare Γ Orsini dalle ugne delia polizia. La testimonianza deUa Herwegh è decisiva a questo proponilo. Rende più sa por· to l'articolo la 'beffarda lettera scritta dall'Orsini alla I. e K. Corte speciale di Giustizia, non appena toccata la terra ospitale della Svizzera. Guido Zadki, Controversia ài Giuseppe Mazzini col Lamennais, in «Pegaso», Firenze, maggio 3933. Il valoroso cultore degli studi sul giansenismo pubblica, sagacemente illustrandole, sei lettere inedite dell*Apostolo aj Lamennais, scritte daini novembre 1840 al 29 settembre 1851. Lo lettere vertono sulla differente concezione religiosa che divideva — nonostante la grande stima reciproca — l'abate bretone dal Mazzini e sono perciò dr notevolissima importanza Antonio CUOCO, Una pagina inedita su Mazzini, in «La Rondine», Roma, maggio 1933. L’a. pubblica, commentandolo, uno scritto della contessa Maria Celano del Vasto, figlia di Emilio (Viano, che fu prefetto di Gaeta durante la permanenza di Mattini nel 1870 in quella roccaforte. Ιλ vita dell'Apoistolo dal 15 agosto al 15 ottobre 1870 riceve nuova luce. Lo scritto, che è In continuazione, è stato ripubblicato da «Siracusa fascista» del 20 maggio 19S3. 152 Bibliografia Mazziniana Articoli vari in Riviste e Giornali ---,L'idea garibaldina nel Risorgimento e lino alla guetra mondiale, in «Nuova Rivista Storica», Napoli, gennaio 1033. L’autorevole rassegna storica recensisce due monografie di: Massimiliano Claar apparse nella «Deutsche Rundschau» e negli «Europäische Gespräche», ed in tal modo conclude il suo esame : «Mentre il Claar rivela una piena conoscenza della nostra storia del Risorgimento ed ima costante simpatia per l’Italia, dob'oiamo fare invece -riserve sul giudizio affrettatamente-severo che egli dà dell’opera di Mazzini». Alice Galimberti, I due poli delio Swinburiw, in «Convivium», Torino, gennaio 1933. L a. trattando, colla consueta competenza, del poeta inglese, stud.a anche i rapporti che· egli ebbe col Mazzini e le affinità che unirono i due grandi spiriti. Mario Strada, Le memorie di un garibaldino ligure, in «Corriere della Somalia», Mogadiscio, 17 febbraio 1933. Si ripubblica la recensione della monografia di A. Mombello pubblicata nel Giornale di Genova già segnalata. Vincenzo Pastore, Il dissidio Marx-Mazzini, in «Idea fascista», Salerno, 14 marzo. 1933. Si ripubblica l’articolo già segnalato comparso su «Reg me fascista» del l.o febbraio 1938. --, Mazzini rivive nell'Italia fascista, in «Roma», · Napoli, 1G marzo 193^. Resoconto della commemorazione mazziniana tenuta da Ludovico Pagano a Napoli la ser A Marzo, in «Il Grido d’Italia», Genova, 2G marzo 1933. Si pubblica integralmente il testo del discoreo commemorativo tenuto da Umberto Ferrara nel Ridotto del Teatro Carlo Felice di Genova, e si riassume ampiamente quello tenuto a Milano da Leo Pollini nello stesso giorno. --,ΑΙΙα Rm Accademia dì Ungheria, in «Tevere», Roma, 29 marzo 1933. Si dà l’annuncio della conferenza che il giorno 30 marzo tenne Mario Menghini all’Accademia di Ungheria sul tema «Mazzini e l'Ungheria». Arnaldo Cervesato, Mazzini e l’etica del dovere, in «Vita Italiana». Roma, marzo 1933. Sagace esame del pensiero religoso del Mazzini. Gian Luigi Mercuri, Religiosità in Mazzini, in «Italia giovane», Bologna, marzo 1933. Il M. afferma che esiste una «religiosità mazziniana», ma postosi di fronte al fondamentale punto della concezione religiosa dell’Apostolo, sfugge il problema, testualmente scrivendo : «Che poi nella concezione religiosa del Mazzini Dio sia immanente o trascendente, qui non si discute per noi l’immanenza del pensiero mazziniano, nel suo profondo : basti avere riaffermato che eglV è un religioso, anzi un dogmatico». L'articolo del M. fu ripubblicato dall’«Adriatico» di Pescara del 1C> aprile 1933. --, A. I<\, Mazzini, G a ribaldi e i moti del 1SG3-G4 nella Venezia, in (diassegna Nazionale», Roma, marzo 1933. N*ota bibliografica sulla monografia di G, Solitro già segnalata. A. Fanfani, Economisti italiani del Risorgimento, in «Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie», Milano, marzo 1933. Breve rei’ens one della monografia apparsa nella Xuova Collana di Economisti, già segualata. Giorgio Zoras, Cospiratori e cospirazioni nelVcpoca dtl Risorgimento politico della Romania, in «L’Europa Orientale», Roma, marzo 1933. Ampia ed acuta deanima della monografìa di Alessandro Marcu, g.'à segnalata. Gioachino De Vincentis, Il romanzo di un tenore, in «La Nuova Italia musicale» Roma, marzo 1933. Il tenore è Giovanni — in arte Mario — de Candia amico di Mazzini giovine e che Coll’Apostolo continuò ad essere in ottimi rapporti anche durante l’esCÌlo inglese. i. t., 11azzini, Garibaldi e i moti del 1SG3-64 nella Venezia, in «Rivista Dalmatica», Zara, marzo 1933. Succinta recensione della monografia di G. Solitro più volte segnalata. --, Mazzini e Marx, in «I problemi del lavoro», Milano, lo aprile 1933. La rivista milanese trattando rieU’importanza delle dottrine di Mazzini e di Marx afferma : «Mazzini è una gloria quasi soltanto italiana; egli ha diritto alla riconoscenza della nazione perchè fu uno dei principali artefici dell’unità italiana. Non potrebbe, per tanto, essere avvicinato a Marx — che con l’uuità d’Italia nulla ebbe a che fare — se il Mazzini, contemporaneamente al suo apostolato politico, nou avesse svolto uu’azioue di carattere sociale da cu. prese le mosse la stor a dell’organizzazione italiana». 154 Bibliografia Mazziniana --, L'inaugurazione di un busto a Mazzini al cìrcolo didattico Giuseppe Mazzini, in «Vedetta», Catania, 5 aprile 1933. Si dà notizia della cerimonia avvenuta a Catania il 30 marzo e si riassume il discorso tenuto in tale occasione da Filippo Papa il quale, fra l'altro, disse : «Il Mazzini deve considerarsi come uno di quegli uomini che i secoli partoriscono per Aprire il cammino all'umanità incerta e spesso smarrita e per dare agl’ntelletti avvizziti il soffio di una vita nuova e di nuove dottrine. Noi consideriamo la vita del Mazzini come vita di apostolato, di sacrificio, di assoluta dedizione alla Patria. Ed è per questo che oggi, inaugurando un busto al Grande Patriota, intendiamo incordare alle generazioni che sono e che saranno in questa scuola, come i:l Grande Esule sia morto con la visione chiara e con la fede immacolata di una terza Italia, grande e potente, come l’antica Roma dei Cesar». --, Mazzini, in «11 Solco fascista», Reggio Emilia, 7 aprile 1933. Commento al richiamo fatto al Mazzini dal Presidente del Consiglio dei Ministri francesi il 6 aprile. Il giornale scrive che gli preme «ribattere sdegnosamente» un punto solo del di scorso. «Il punto inopportuno e mendacio — prosegue — è questo: Mazzini avrebbe predi cato l'uguaglianza delle Nazioni, L’eguaglianza dunque assoluta. Quando e dove ì t hi scrive queste righe proviene dalle file mazzinane e si permette di dubitare che il sig. Daladier conosca tutta la ponderosa opera dell’apostolo del Risorgimento italiano e della Giovine Europa. I suggeritori del sig. Daladier però sanno di certo che Mazzini sostenne la egua glianza dei diritti delle Nazioni, sostenne cioè che tutti i popoli civili hanno diritto all indi pendenza, hanno diritto, da liberi, di sedere a quel contesso ch’egli chiamò la Giovane Euro pa. Ma non negò una gerarchia fra gli Stati. Non disse che la Serbia aveva il diritto di precipitare l’Europa nel baratro d’una guerra tremenda ; che Bucarest doveva pesare come Roma sulla bilancia dei desimi del mondo ; che alle grandi Potenze era lecito crearsi dei popoli vassalli e armarli fino ai denti. Il grande pensatore, che i fascisti venerano come un Santo tutelare nel cielo della patria, incitò i popoli alla guerra per scuotere il g ogò de lo straniero, ma benedisse la feconda pace, raggiunta dopo lotte sanguinose; e insoise contio cl’ingiusti patti imposti dagli Stati più forti ai popoli vinti, Mazzini parlò dell uguaglianza dei diritti, ma insegnò sovra tutto la sublime religione del dovere». P. Pantaleo, Figure, idealità, sogni, passioni, in «Regime fascista», Cremona, 8 aprile 1933. Il Pantaleo, con la consueta sagacia, prende lo spunto dai saggi raccolti m volume dal-l’Omodeo sotto il titolo «Figure e passioni del Risorgimento Italiano» per riconfermare ancora una volta la concezione mazziniana di un primato morale dell Ita.ia contro il tanto \«inta primato francese. Antonio Pozzo, Un pugno di eroi contro un impero, in «Popolo del Friuli», U dine, 12 aprile 1933. Succinta recensione della monografia di G. Cassi, più volte segnalata. F. Ernesto Morando, V ultimo dissidio fra Mazzini e Garibaldi, in «Corriere Mercantile», Genova, 19 aprile 1933. Il M. coglie occasione dalla recente pubblicazione di G, Fonterossi, già segnalata, per riesaminare le cause dell’ultimo dissidio fra i due Fattori dell I nità, e cioè il diverso atteg giamento loro di fronte all’Internazionale. L'a., dopo aver negato l’influenza dei comunardi in Genova nell’affermarsi ivi del movimento internazionale, rievoca le figure più significative di costoro e conclude col Fonterossi «che per gli internazionalisti italiani l’adesione di Garibaldi era stata una fortuna, poiché si guardava, naturalmente, al gesto in sè, non alle riserve che circondavano l’adesione e ne attenuavano d’assai il valore e la portata». F> IB LIO( ÎKA1Ί A λ IA ZZI NIA N A 155 Camillo Pariset, Pietro Gìaimone c Filippo Barattarsi, in «Corriere Padano», Ferrara,, 213 aprile 1933. La figura del patriota modenese, una delle più singolari della schiera mazziniana, è rievocata con soblia potenza dal P., il quale rende note anche varie lettere inedite — in parte sunteggiandole — dirette dal Giannone al Barattani. * , Due spiegazioni, in «Libro e Moschetto», Milano, 24 aprile 1933. Le «due spiegazioni» richiesteci sono le seguenti : «7/i seguito all'articolo «La Corsica, la Dalmazia e le vie del mare rivendicate all'Italia da un presidente degli .Stati Uniti d’America» comparso rei vostro giornale del 4 ottobre X, quei signori sotto la loro rubrica «Operc e studi ·>ι.ι Giuseppe )lazzini pubblicati in Italia» scrivono nell'ottobre X : «Si ripubblica per l’EìfN'ESIMA VOLTA «lo storico messaggio» a Macedonio Melloni», Ora noi chiediamo : 1. - perchè quel «per l'ennesima volta»? 2. - pochi" «lo storico messaggio» posto così, in evidenza, la quale evidenza a chi lo vclesse potrebbe apparire anche dubitativa»? Si risponde : 1) In questi Appunti per una bibliografia mazziniana, fatica improba che dura ormai da sei anni, toste definita da penna non sospetta quale «critica sempre acuta e serenas, si può agevolmente rintracciare la prova documentata delle infinite volte che — soltanto in questi ultimi anni — è stata ripubbli« a La la lettera 'n discorso. V'è una sola causa di tale onore che si fa a questo documento; quella ch'esso porta un valido contributo alle nostre — e così può affermare un interventista intervenuto, che ha pure dato un po’ cel suo sangue per esse — sacrosante rivendicazioni sulla Dalmazia ; ed è quindi un nobilissimo e commendevole impulso quello che inspira i pubblicisti italiani, troppo corrivi però a ripetersi, di renderla universalmente nota. Nell’aggettivo incriminato non si deve vedere quindi più che una const ataz'rone di fatto. 2) Altrettanto dicasi per il secondo aggettivo. La riprova della storicità del documento può rintracciarsi ancora in questi Appunti ed in parti-olar modo in quelli pubblicati nel fascicolo IV dell'anno \ III (E. F.), ove si trovano segnalate, sempre con rigidissima obbiettività, le polemiche pro' e contre· l’autenticità del così detto messaggio, il quale però altro non è che una lettera, inviata da un Presidente degli Stati Uniti ad uno scienziato e patriota italiano. Luigi De Secly, L'epistolario del Sismondi, in «Gazzetta del Mezzogiorno», Bari, 27 aprile 1933. Ampia recensione del I volume Epistolario sismondiano, curato da Carlo Pellegrini, già segnalato. Domenico Fornara, Giovanni Conio, Intorno ai processi del ’33, in «Lavoro», Genova, 2S aprile 1933. In seguito all’artfpolo del Saiucci su Domenico Ferrari, i due benemeriti studiosi di Taglia, in due lettere inviate al direttore del «Lavoro», rendono note nuove testimonianze sulle colpe del Pianavia e sulle benemerenze patriottiche del Ferrari e dello Scovazzi. Rodolfo Trotti, I moti del 1804 nelle Venezie, in «Gazzetta di Venezia», 2S aprile 1933. Recensione della monografìa di G. Cassi, più volte segnalata. __, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, in «Rivista: militare italiana», Roma, aprile 1933. Segnalazione della monografìa di X. Rosselli. 156 Bibliografia Mazziniana Lorenzo MARiNbSE, Figure e passioni del Risorgimento italiano, in «L'Italia che scrive», Roma, aprile 1933. Succinta recensione della raccolta di saggi di A. Omodeo, già segnalata. Antonio Zieger, Alfonso Fo rado ri, in «Trentino», aprile 1933. Il valoroso studioso trentino illustra la figura del For adori, che fu uno dei più strenui mazziniani di Rovereto, ingiustamente dimenticato sino ad oggi. ---, Maria Mazzini, in «Italia che scrive», ‘Roma, aprile 1933. Segnalazione della monografia di L. Ravenna. Alina Albani Tondi, La vHa di Mazzini di Anna Errera, in «Fede Nuova» Roma, aprile 1933. Ampia recensione della monografia A. Errera, più volt-e segnalata. Lupo Cerviero, Libri ricevuti in «Il «Frontespizio»f Firenze, aprile 1933. L’interessante foglio fiorentino in una breve nota polemica definisce «fondatissima» la critica di Fra Ginepro all’interpretazione data da A. Codignola delle cause che provocarono la rottura del sodalizio Mazzini-Ruiiìni. L’autore dello scritto inoltre con metodo elegantemente sbrigativo si serve di una frase del C. per affermare «la sua ottima preparazione storica e la sua deficent.ssima preparazione religiosa»; ma dimentica di proposito (o perchè ignora il contenuto dello scritto?) lutti gli argomenti e tutte le prove documentate addotte dall a, dei Fratelli Ruffini contenuti nella risposta da lui data a ’Fra Ginepro. Nella polemica è stato soccombente il valoroso padre cappuccino — con buona pace de Il Frontespizio — poiché nemmeno l'autorità invocata del Migne valse ad assolverlo dal grave peccato di aver artatamente presentato dati storici irrefragabili in sostegno di una tesi preconcetta, A questa conclusione sì deve infatti giungere se si tengono presenti non soltanto le segnalazioni fatte a questo proposito in questi Appunti per una bibliogrofia mazziniana, ma pure i giudizi espressi spontaneamente da alte autorità della Chiesa, le quali è a credere non abbiano, almeno esse, una «deficentissrma preparazione religiosa». Vincenzo C. Nitti, Il più vero Mazzini, in «La Favilla», Taranto, aprile 1933. Entusiastica esaltazione dell’Apostolo : lo scritto è parte di una conferenza tenuta dalla. ---, ΊΙ Commosso pellegrinaggio dei genovesi alla cella di Jacopo Ruffini, in »Corriere Mercantile», Genova. 1° maggio 1933. Si dà uotizia dell'ottimo esito dell'iniziativa del Consorzio Provinciale Antitubercolare, per cui la cella del protomartire della Giovine Italia si apri e potè essere visitata mediante un modesto contributo a favore del predetto Consorzio. » Iniziativa patriottica ed umanitaria, illustrata dal comunicato the si segnala, non senza constatare ancora una volta l’errore in cui è incorso l’autore di esso affermando che il Giuda di Jacopo, è stato G. li. Castagnino. , Lo stesso artìcolo è stato ripubblicato dal Giornale di Genova, cal Secolo XIX, dal Lavoro del 2 maggio. --, Ruffini e Castagnino, in «Lavoro», Genova, 1 maggio li 33. A proposito dell’errore incorso nel comunicato del Consorzio antitubercolare del l.o maggio già segnalato, l’effemeride genovese scrive : «Ci si fa rilevare che nello scritto pubblicato nel Lavoro di domenica scorsa per la cella di Jacopo Ruffini è indicato come traditore e spia G. lì. Castagnino, mentre da una discussione seguita su queste colonne, nei luglio dell’anno scorso, tra scrittori specialisti di quel periodo del Risorgimento italiano è risultato che quanto meno, la colpevolezza del Castagnino non può dirsi provata. Bibliografia Mazziniaxa 157 Facciamo rilevare che lo scritto di cui Fopra non è nostro, trattandosi semplicemente — come dal suo tenore appariva — d’un comunicato del Consorzio provinciale antitubercolare. Quanto a noi, restiamo dell'opinione emersa come conclusione di quel dibattito in cui da •competenti furono esaminati tutti gli argomenti prò e contro*. --, Un nouveau livre de l’hon. Nazareno Mozzetti, in «Italie», Rome, 7 maggio 1933. Si dà notizia dell’imminente pubblicazione della monografia del Mezzetti : Mazzini visto •con cuore fascista. La stessa nota è apparsa sulla Gazzetta del Mezzogiorno di Bari del 7 maggio, sul Veneto di Padova del 8 magg’o, sul Corriere di Napoli del lü maggio, sul Piccolo di Trieste •del 14 maggio, sull’arena di Verona del 18 maggio, sul Secolo XIX di Genova dei 22 maggio, «il la Cronaca Prealpina di Varese del 4 giugno sulla Vedetta fascista di Vicenza del 5 giugno, e su Solco fascista di Reggio Emilia del C giugno 1933. d., Tramonto di un mito, in «I/Opinione», Spezia. 8 maggio 1933. «Ci hanno rimproverato di scrivere un po' troppo di Mazzini — scrive l’efFemeride de la Spezia —. È rimprovero che ci reca piacere : anche e sopratutto in tempo fascista. Nella nostra vita movimentata, sia die combattessimo contro le degenerazioni 'oìoccarde, sia che patrocinassimo l’avvento di una più limpida realtà sociale, durante e dopo la guer-.ra, il nostro credo sprituale non s’allontanò mai dalla via tracciata, con radiosa antiveggenza di filosofo e di apostolo, da "Giuseppe Mazzini. Se è un male, lo portiamo nell’anima fin dalla prima giovinezza» Dopo aver ricordato che nella storia degli ultimi anni si trova sa in Italia che all’estero il trionfo dei fondamentali elementi direttivi mazziniani l’a. conclude : «Carlo Marx ingomma è al tramonto. La coscienza europea, dietro l’esemp o del Duce, ha individuato il rischio che incombe isu tutti i popoli, il pericolo che Mazzini, deriso e maltrattato da demagoghi di tutte le tinte, primo vide ed ebbe il sereno coraggio ili denunziare. Caduto il turpe mito del tanto paggio, tanto meglio, crollato il sistema ideologico del •ventre-cervello, l’Italia e il genere umano muovono verso l’avvenire sulle orme di Benito Mussolini». Domenico Forxara, Ricordi personali su (ìiocunni Ruffini, in «Lavoro». Genova, 11 maggio 1933. Il Fornara che ebbe la ventura di essere amico di Giovanni Ruffini, nei suoi interessantissimi ricordi, fra l’altro, afferma : «Il distacco da Mazzini fu dovuto tutt’altro che a dissensi religiosi, come pretese il buon «Fra Ginepro». Sì, Kufllni mori cattolico, ma non fu mai intransigente. Basta ricordare che fu il primo a designare, nel Parlamento Subalpino del 184S, Roma come futura e necessaria Capitale d’Italia. Egli, come suo fratello Agostino e la mamma, si staccarono da Mazzini per lo stesso motivo di Garibaldi e di tanti altri; ciò perchè convinti che soltanto il Piemonte, con Casa Savoia, sarebbe riuscito ad unificare l’Italia. Quanta stima e devozione aveva Giovanni Ruflìui per Carlo Alberto e per Vittorio Emanuele III! Di quest’ultimo, mi rammentò più volte l'episodio di Vignale, dicendo che quella scrollata di spalle a Radetzsky fu la posa della prima pietra per la nuova costruzione dell’Italia». Un genovese υι Roma, Jacopo Ruf fini < l'elice Orsini, in «Liguria del Popolo», Genova, 13 maggio 3933. Dopo aver affermato che Felice Orsini «mori compreso, da una mirabile calma e con Dio pacificato», mentre Jacopo Rollini, datosi «alla disperata sequela del Mazzini» morì suicida, l’a. si r volpe al confratello cattolico genovese e in tal molo polemizza: «Il Nuovo Cittadini) (30 aprilo 1933, »· 10*-) chiama .Iacopo Ruìlini : fiore elettissimo di nostra gente, che suggellò, a 28 anni, col magnauimo sacrificio della sua giovinezza, la fede in un’Italia migliore... Il dilettissimo di Giuseppe Mazzini, il dolcissimo Ja.ropo, che irrorò del suo sangue, •quel sepolcvo dei vivi» 158 B [BLIOGRAFIA MAZZINIANA il KXiovo Cittadino» è un giornale cattolico; anzi dice d'essere come per antonomasia, il giornale dei cattolici genovesi. Cosi scrivendo, però, in nome della Clresa, si esalta ciò eh essa condanna; si condanna ciò eh'essa approva. Si può essere amantissimi, come ognuno dev’esserlo, delle patrie memorie ; nò può dirsi fuor di posto una visita alla segreta in cui Jacopo Ruffini si uccise: egli è genovese, ed ogni cosa nostra, un po’ ci riguarda e ci interessa. Fuori posto, invece, è 1 elogio al suicidio come risulta dalle citate parole; e riteniamo non sia bene falsare per questo l’insegnamento della Fede e della Chiesa cattolica, che è la prima nostra gloria e scombussolare la coscienza dei buoni». Niccolò Rodolico, Maria Massini - Il distacco dei Ruffini dal Mazzini, in «Nuova Antologia», Roma, 16 maggio 1932. Il R. recensisce ampiamente la monografìa di L. Ravenna, più volte segnalata, e si sofferma inoltre ad esaminare le cause del «doloroso ep-sodio della vita di G. Mazzini» e cioè il suo distacco dal fyiifini. L’illustre storico dichiara di trovarsi d'accordo con la Ravenna e non col Codignola nella controversa questione. Però, dopo aver accennato alla spiegazione datane dal Mazzini alla madre, nella ben nota lettera a lei diretta il 28 giugno 1812, afferma: «Nè sì tratta — credo — solo di breve fiammata di entusiasmo (come scrive il Mazzini nella su citata lettera), ma di qualcosa di patologico, che traeva origine da tabe ereditaria mentale, che è stata documentata. Della qualcosa le stesse lettere dei Ruffini risentono anche se esse hanno pur luci di virtù patriottiche». L’acuta interpretazione del Rodoiico con queste parole non porta un nuovo apporto sostanzialmente confermando la spiegazione data dal Ctdignola sulle cause elei doloroso episodio, Vico Parini, La coltura nel concetto fascista, in «Provincia (li Bolzano», 18 maggio .1933. Nella sagace interpretazione data dal P. al concetto di cultura, interpretato fascistica-mente, si trova questo accenno al Mazzini : «Uomini interi che abbiano sentito tutta la nostra, vita, esteriore ma sopratutto la vita del loro pensiero, che l’avessero sentita cosi tutta rischiarata da uno stesso spirito, come Dante non ce ne sono stati. Possiamo ricordare il Savonarola, Michelangelo, Bruno, Campanella, Vico, Alfieri. Ma veramente prima di Mazzini che è Γ antesignano del nuovo spirito per la nostra Italia, dell'itala che ha cessato di essere una idea, un’affermazione teorica, che è diventata una realtà, realtà nostra di Fascisti e di Italiani quella realtà che si è affermata non solo nel Risorgimento, ma che non avendo esaurite nel Risorgimento le proprie forze, le ha ritrovate intatte nella recente guerra e per la marcia di Roma, Mazzini è Colui che a distanza di secoli! rinnova la idea della coltila religiosa organica, di cultura di uomini seri, che credono nelle parole e poiché ci credono, se ne ricordano tutti- i momenti della loro vita anche se invasati dall'estro delle loro arti». Arnaldo Cervesato, La «Giovane Italia» di cent'anni fa, in «Roma», Napoli, 19 maggio 1933. Si ripubblica l’articolo apparso nella «Vita Italiana» del giugno 1932, già segnalato. F. Ernesto M orando, Giovanni. Ruffini e il suo dis lacco da G, Mazzini, in «Corriere Mercantile», Genova, 20 maggio 1933. Il Morando coglie il destro offertogli dalla testimonianza di Domenico Fornara sulle cause della rottura del sodalizio Mazzini-Ruffirii per riprendere in esame il doloroso episodio. Dopo aver rievocato «questa sgraziata storia», accoglie integralmente quanto ha dimostrato il Codignola e afferma : «La cagione del dissidio Ruffini-Mazzini non fu nè d’indole religiosa, nè d’indole politica, ma tutta di natura intima, per intime vicende ito cui s’incontrarono una passione profonda del Mazzini e un avventato risentimento dei fratelli Ruffini e della loro madre» E prova il suo asserto con un’ottima documentazione, che lo induce a conchiudere· in tal modo : BiiìLTOGhafia ΛI azzi \ I λ n λ 159 «Tutto ciò è doloroso a narrarsi, ma è necessario. La leggenda, come abbiamo veduto, insidia la storia, vi si sovrappone, la ricopre con la sua ricca ma sterile vegetazione ; e ne sorgono così i feticismi superstiziosi, le iconoclastie barbariche, e a tutti i modi le mitologie che stemperano il falso nel vero, in modo che l’uno dall’altro non è più d Vera ibi le. Ê opera doverosa, fin che si può, porre sotto gli occhi del lettore gli elementi di giudizio che la storia ci offie, perchè egli li equilibri e ne tragga sentenza». TuLr.ro Pani zza, Ippoiito Pederzolli, in «Brennero», Trento, 25 maggio 1033 Stringato profilo del patriota trentino, seguace del Mazzini. Rodolfo Protti, Ancora dei moti del 1804, in «Gazzetta di Venezia», 2(> maggio 1933. Recensione della monografia di Giacomo Solitro, già segnalata. Francesco Luigi Mannucci, La Giovine Italia, in «Il grido d'Italia», Genova, 14 e 2S maggio 1933. .Si pubblica il testo integrale della conferenza detta dal Mannucci dalla cattedra mazziniana della «Comunità», in Genova il 29 aprile 1983, nella ricorrenza centenaria del glorioso sodalizio mazziniano. Ludovico Bue™, La difesa di Roma nel 1849, in «Fede Nuova», Roma, aprile-maggio 1933. Articolo polemico. Il B. deplora che il Maresciallo Giardino rifacendo succintamente la storia del Risorgimento nel 'discorso tenuto a Torino il 22 gennaio 1933, abbia trascurato di accennare all’opera del Mazzini. --, Mazzini, Marx e il Risorgimento, in «I problemi del Lavoro», Milano, lo giugno 1933. Quanto scrisse la rivista milanese nel Quaderno dell’aprile scorso, già segnalato, su Mazzini e Marx, ha provocato due lettere al direttore della stessa rivista. La prima di L. B., il quale rintuzza 1 affermazione : «Mazzini è una gloria quasi soltanto italiana» con varie argomentazioni, fra le quali si sceglie la seguente: «TI nome di Mazzini fu salutato erme quello di un Maestro di una nuova civiltà da Leone Tolstoi, da Sun Yan Set, il fondatore della Repubblica Cinese, dal Gandhi, dal Savarkar, .che ne tradusse molte pagine in indù, e, ultimamente da James Bryce, l’illustre storico inglese nel suo libro «La moderna democrazia», che A. Loria giudicò profondo e geniale». La seconda rettifica è dovuta a Luigi Salvadori e riguarda l’affermazione che Marx non ebbe a che fare col nostro risorgimento. Il S. pubblica una lettera del Marx al Lai Farina del 1847, dalla quale s rileva l'interesse del filosofo tedesco per la causa del nostro riscatto. La direzione della rivista fa precedere e seguire a queste lettere dei chiarimenti che si concludono con queste parole: «T mstn corrispondenti hanno ragione e noil non a< t.iamo torto. Le loro graditissime e opportunissime osservazioni chiariscono, completano, ammorbidiscono, ma non infirmano le scheletriche nostre affermazioni». Ano P., Quali sono le vere ragioni del dissidio fra i Ruffini e Mazzini? in «Corriere Mercantile», Genova, 3 giugno 1933. L’a. scrive : la polemica che «interessa assai gli studiosi del Risorgimento e che, agitata due anni or sono, ritorna in questi giorni a far parlare gli storici e i giornalisti, è quella del dissidio tra Giuseppe Mazzin! e i fratelli G. e A. Ruffini», dovrebbe essere finalmente definita. Dopo aver prospettato quanto affermò su tale argomento il Codignola, Fra Ginepro, Alberto Lumbroso, il 'Fornara ed il Morando, l’a. conclude : «Invitiamo il Fornara, il Morando, il Codignola che è maestro in questi studi e il frate cappuccino che si dimostra assertore così convinto della religiosità di Ruffini a ritornare sull’argomento vivo e delicato. 160 BIB LIOGRAFIA ^ I AZZI N ΙΛλ',Λ In questo centenario dei moti del 1833 potremo avere nuova luce che lumeggi un periodo er ito del nostro Risorgimento, ila cui storia oggi che1 fono tran.olitati tanti corrucci e tanti malintesi, sì può scrivere e comprendere con maggiore chiarezza, serenità, equilibrio. Anche se alcuni conclamati idoli — come ha dimostrato l’Accademico Luzio — dovranno abbassare di qualche palmo il loro piedestallo». L autore di questi Appunti dichiara per conto suo che si limita a segnalare quanto vieu, pubblicato sul Mazzini, nulla avendo da aggiungere a quanto egli ha giiti scritto sull'argomento in parola. Umberto di Leva, Il «Buon Cliecco» e Jlaria Mazzini, in «Giornale di Genova», 3 giugno 1933. Il D. L. inizia la pubblicazione di lettere inedite inviate dall Apostolo e da sua madre a Francesco Tolleri, amico di famiglia, cui Maria Mazzini era legata da vincoli anche di-riconoscenza per gli aiuti morali e finanziari da lui avuti. La lettera del Mazzirii! è datata 20 ottobre 1S47, quelle della madre 0 aprile 1837 e 20 ottobre 1839. --, H Risorgimento italianq e i Cechi, in «Lavoro», Genova, 4 giugno 1933. In una corrispondenza da Berillo *i segnala la pubblicazione di uno studio di Ottomar Schiller nel settimo fascicolo della Knihovna Polcrokooe Revue su «La lotta dei Cécili e degli Italiani per la libertà». «A Mazzini e a Garibaldi — scrive il corrispondente — non sfuggono le manifestazioni di simpatia del popolo cèco [per il risorgimento italiano] anzi, essi — ed anche cjui si hanno documenti molto interessanti — se ne mostrarono grati». Umberto di Leva, L'interessante epistolario inedito fra Maria Mazzini e Francesco Polleri, in ((Giornale di Genova», 7 giugno 1933. L’a. prosegue nella pubblicazione di alcune lettere di Maria Mazzini a Francesco Polleri (fra cui ve n’è una diretta {dia Fanny), datate dal gennaio 1840 al gugno 1842. Di particolare interesse se ne rintracciano due : la prima perchè tratta dei retroscena politici avvenuti durante il I Congresso degli Scienziati e l’ultima per un accenno ai compromessi per i fatti del ’33 graziati da Carlo Alberto. Fra costoro si accenna pure ad Angelo Orsini, che il commentatore lo individua in... Felice Orsini avviato «verso 1 immortalità scritta a parole d’oro sulla mannaia parigina»!... G. Polleri, A proposito dell'epistolario inedito di Maria Mazzini, in «Giornale di Genova», 9 giugno 1933. L’a. scrive al direttore dell'effemeride genovese affermando che il suo proavó aiutò Maria. Mazzini oltre che moralmente anche finanziariamente. Antonio Panella, Carlo Pisacane, in «Pegaso», Firenze, giugno 1933. Sagace recensione della monografia di N. Rosselli più volte segnalata. Direttore Responsàbile: UraldO FORMENTINI. INDUSTRIE POLIGRAFICHE NAVA — BERGAMO — MILANO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA COMITATO DI REDAZIONE! GIUSEPPE PESSAGNO, PIETRO NURRA, VITO A. VITALE La pubblicazione esce sotto gli auspici del Municipio e della Reg ia Università di Genova e del Municipio della Spezia DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: GfevoVa, Palazzo Rosso, Via Gçarilalâi, iS CONDIZIONI DI ABBONAMENTO * Il Giornale si pubblicò a Genove in fascicoli trimestrali. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni, spigolature, notizie ed appunti per una Bibliografia Mazziniana. ABBONAMENTO ANNUO per I Italia L. <30 ^ per Γ Estero L. 60 Un fascicolo separato Lire 7*30 ^ Doppio L. 1 ó Conto corrente con la Posta A---------------- ANNO IX - 1.955____________Fascicolo III e IV - Luglio-Dicembre GIORNALE »STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI Pubblicazione Trimestrale N UOVA 5ERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentoni Direzione e Amministrazione GENOVA, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 1 Ô — SOMMARIO· - ' '· Itala Crem ine Cozzolino. Costanze Casella Gigljoli e il suo tempo — M. G. Celle, Jacopo Brace Ili e /'Ecloga IV di Virgilio — Antonio Canepa. La Chiesa, il Priorato, la commenda e il culto di S. Ampegho in Bordighera — Roberto Mazzetti, L'estrema visione del mondo in Pietro Tamburini — Mario Battistini, Camillo Sivori m Belgio — Edoardo Jeanselme, Come si difese l'Europa della lebbra del Medio Evo ~ DISCUSSIONI e COMMENTI - D. Fornara - C. Bornate. Ancora de n I Benedettini e la Madonna del Canneto « — Onorato Pastine, intorno ad una proposta di alleanza fra la Corsica e l'Olanda nel 1736 — Renato Giardelli, Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA; Mario Lopes Pegna. Una colonia romana della Liguria occidentale (Carlo Bornate) - Raffaele Di Tucci. Studi sull'economia genovese del secolo decimosecondo ~ La nave e / contratti Marittimi - La banca privata (Vito Vitale) — Gian Pietro Bognetti. Note per la storia del passaporto e del salvacondotto (a proposito di documenti genovesi del secolo XII) (Vito Vitale) - Antonio Zieger. Greoorio Fontana: Idee e vicende politiche (Roberto Mazzetti) -SPIGOLATURE E NOTIZIE - APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA COSTANZA CASELLA GIGLIOLI e il suo tempo Con Costanza Casella Giglioli si è spenta a Firenze, nel giorno del Decennale, una delle poche figure ormai superstiti di quel periodo in cui il nostro Risorgimento s’avviava a realtà per tre vie, 1 apostolato di Mazzini, la spada di Garibaldi e la realistica diplomazia di Cavour. Aveva 91 anni : ina la sua niente vivida, la .sua memoria llim-pida ed evocatrice, la conversazione piena di brio che ben iradiva la sua larga coltura, la figura eletta, veneranda, la vivacità dello sguardo franco e leale, l'entusiasmo giovanile per ogni cosa bella e la grande fede nel destino della Patria, illudevano tuttora che gli anni non contassero per lei. Era nata a Casteggio nel 1S41, da Maria Coralli e Felice Casella, pittore e letterato milanese. Patrioti i Genitori e patriota tutto l’ambiente che accolse al suo nascere la piccola Costanza, che da quel fervore fu plasmata. Casteggio, cui il destino volle che con Montebello fosse per due volte teatro di battaglie decisive contro gli Austriaci, nell’800' e nel ’59, a quel tempo non era che una grossa borgata appartenente al Piemonte, ma perchè situata sul confine lombardo, e lombarda già prima, sì che la massima parte dei proprietari terrieri erano signori di Milano o di Pavia, era assai più legata a Milano che non a Torino. Situata sul tracciato della romana Via Emilia, punto di passaggio tra Piacenza e Alessandria e quasi all'incrocio con la provinciale Genova-Pavia, si offriva al tacile incontro di cospiratori lombardi, piemontesi e liguri. Come Broni, Stradella, Groppeìlo, Casteggio diede un largo contributo al Risorgimento: erano piccoli focolai di ardente amor patrio, operanti in silenzio; avamposti cui giungeva ininterrotta l’eco della passione dei fratelli lombardi, e ove penetrava il Verbo mazziniano, accolto con fede ed entusiasmo. A questi pericolosi ritrovi era sempre aperta la casa dèi Notaio Coralli, resi meno sospetti dalla nota larga ospitalità con cui era usa quella famiglia patriarcale, e poi, dal Notaio Coralli ricorrevano un po’ tutti del paese e del contado, per la sua professione e (1) Questo cenno trae da scritti o lettere a me dirette da C. C, G. e da notizie che debbo alla cortesia della figlia Sig.ra Vera Giglioli. 162 Itala Cremona Cozzolino per la fiducia che ispirava la sua rettitudine e 1 integrità del suo carattere: spirito aperto alle nuove idee, tollerante di quelle altrui, odiatore dell’Austria. Aveva quattro figliuole, particolarmente belle e d'intelligenza non comune; alle tre maggiori volle dare una· educazione più consentanea ai tempi, mandandole a Piacenza nel Collegio fondato da Maria Luisa, sul tipo di quello napoleonico di Parigi. v Terminati gli studi e tornate a ('asteggio, la maggiore sposo il Marchese Carlo Belcredi di Pavia, parente al Dr. Gaspare Belcredi, fiduciario di Mazzini (Albina sposò poi in seconde nozze Gabriele Camozzi) ; la sorella Maria, non ancora diciottenne, andò sposa al giovane pittore e verseggiatore milanese Felice. Casella, da questa unione nacque Costanza; la terza, Enrica, sposò anclressa giovanissima, il milanese Carlo Bayer, pianista e concertista di fama già affermata; Ernesta, nata molti anni più tardi, restò nubile. A Milano. Bayer e Casella, erano fra gli audaci preparatori della riscossa, di quel gruppo democratico prevalentemente rcpu blicano-unitario, che si riuniva al Caffè della Peppma, nei pressi del Duomo, e faceva riscontro aU'altro Caffè della Cecchina poco lontano, di fronte al teatro della Scala, tra le case poi abbattute, per dar luogo alla Piazza e al Monumento di Leonardo ; era questo il cenacolo di quella aristocrazia che Radeteti onorava chiamandola «il peggio della peste rivoluzionaria », tra cui i fratelli D Acida·, Carlo Taverna, i Porro, i Giulini, i Prinetti, Manata II gruppo della Peppina era più bohème, più vivace e rumoroso, tonnato da artisti, letterati, professionisti e studenti, un po’ scapigliato ; re· quentatori erano, tra· gli altri, De Luigi, Brioschl, Fin/*1, àzz-à 1, Giov. Cantoni, Maestri, Pezzotti, i pittori Banfi, Silvio Picozzi e Calisto Tagliabue, compagni di Casella, e capo del gruppo e meni i di collegamento con quei della Cecchina, Cesare Correnti, al cui Almanacco del Vesta Verde, collaborava il padre di Costanza. Casa Bayer era aneli’essa luogo eli ritrovo di « quei della. -Peppina» e Costanza, allora bimbetta, ricordava gli entusiasmi, le ire, le esaltazioni di quei raduni, la congiura per il boicottaggio ei tessuti di vestiario, il divieto del fumare e le conseguenti spavalderie, i mazzetti e i nastri tricolore, le vendette soldatesche, le provocazioni e i duelli; e più tardi l’eco delle Cinque Giornate a Casteggio, le ansie materne perchè il babbo e lo zio eran la nella mischia, e tutto si presagiva fuorché la fuga del nemico; e quando la notizia venne, l'incontenibile gioia di tutto il paese, le campane che suonavano a stormo, il profluvio di bandiere tricolore e le luminarie, per cui tutti i lumi più eterogenei erano ai balconi delle ville e alle finestre delle case più umili e il contado sembrava invaso da un fitto sciame di lucciole; la gente usciva sulla via, incredula ancora, e s’abbracciava in un impeto di fraternità. Casa Co- Costanza Casella Giglioli e il suo tempo 163 ralli, ove le notizie affluivano, vide accorrere tutta Casteggio, lino allora divisa in vecchie fazioni locali, tutti ansiosi di vivere quelle ore sublimi, fatti certi di veder liberata per sempre la Lombardia. Pochi giorni dopo, il 29 marzo : tutto il popolo di Casteggio, assiepato lungo lo stradone, la Ronderà, in attesa di Carlo Alberto, che avanzò tra le banderuole azzurre dei suoi fedeli Dragoni, terreo in viso, eretto e sottile sul suo cavallo bianco, salutando senza sorrisola folla che, in esaltazione, gridava A7iva il Re! Viva l'Italia! Έ poi il disordinato ritorno del 4 agosto; la delusione amara incalzante le truppe, i profughi imprecanti al Re pochi mesi prima salutato salvatore. Su quella zona di confine si riversava colla fiumana di gente sbandata, l’eco di tutte le più esulcerate passioni; piemontesi accusanti i lombardi di inettitudine e di ingratitudine: lombardi accusanti i piemontesi, e più Carlo Alberto e i suoi generali, di tradimento ; albertisti che rigettavano sui repubblicani e più su Mazzini, la mancata resistenza, e repubblicani che ritorcevano l’accusa. Casteggio risentì tra i primi, l’empito di quel tumulto, mentre il nemico si affacciava al confine, tronfio della facile vittoria, fatto spietata verso quel popolo che çü aveva inflitto lo scorno della fuga; e Casteggio fu tra le prime soste di quel tragico esodo, poiché il Piemonte aveva offerto asilo ai fuggiaschi. Cospiratori della vigilia o combattenti minacciati di esecuzione sommaria, ricchi spogliati dei loro averi e poveri scacciati col bastone alle reni, poveri rottami galleggianti di un immane naufragio, che procedevano o si rifugiavano nelle case pronte ad accoglierli. Casa Coralli era il luogo di concentramento dei soccorsi, dei provvedimenti, ma fu anche il sicuro rifugio di emigrati che, per istigazione di Mazzini, tentavano eli riprendere le armi. Emilio Brambilla, Besana, G. Arrivabene, i Fratelli Camozzi, i Marezzi e con loro Casella, Belcredi e Bayer, tutti facenti parte di quel Comitato di emigrati, cui Correnti diede il nome di Commissione per i lavori statistici, a Casteggio prendevano contatti con liberali lombardi. Come api silenziose, le quattro sorelle Coralli, oltre al diuturno lavoro di assistenza ai profughi, si offrono e compiono incarichi pericolosi : quante volte quelle belle, giovani signore, hanno valicato il confine lombardo con messaggi segreti cuciti nella fodera dei cappellini o nelle baste delle gonne, quanti amici, che si sapeva caduti in sospetto della polizia, ebbero salva la vita per quel fem minile coraggio. Rammentava Costanza Giglioli, come a· Casteggio si fosise saputo che la Polizia voleva arrestare Benedetto Cai-roli e Attilio De Luigi. Mentre altri provvide ad avvisare Cairoli, Albana Belcredi si offerse di avvertire De Luigi, che non conosceva. Di notte, sola, si portò a Milano; fattasi aprir© a stento il portone 164 Itala Cremona Cozzolino di cagai, salì da De Luigi che dapprima diffidò di questa messaggera venuta a lui con quanto occorreva per il travestimento e la fuga; poi si ribellò alla fuga sembrandogli diserzione, tìncliè ΓAlbina· lo persuase, sollecitandolo a fuggire prima che albeggiasse. Fatto giorno, ΓAlbina uscì tranquillamente dalla casa non sua, fece qualche «pecetta lin città e se ne tornò iiisgspettata, a. ('asteggio. Fallita ogni speranza con Novara, ai Casella e ai Bayer s’imponeva di trovare una soluzione di vita·, ora che Milano era definitivamente preclusa loro: deliberarono di traslocarsi a Genova, esortati anche dai Fratelli Camozzi e altri loro amici, che vi si erano rifugiati. La crisi economica, primo risultato delle guerre, decise le mogli Casella e Bayer di utilizzare i loro studi e, dietro consiglio del prof. Ambrosoli di Pavia, presero il diploma dii maestro, col proposito di aprir un Collegio per fanciulle civili. Proposito coraggioso, se si pensa che a Genova tutta l'educazione femminile era in mano degli ordini religiosi, ancora potenti. Ma anche in questo ardimento le due sorelle si sentivano appoggiate e incitate dagli amici, che le attendevano a Genova. Gabriele e Battista Camozzi, con la moglie Giovanna Giulini, avevano affittato una villa mezzo abbandonata, ma incantevole per vista e fiori, ad Albaro, nella Orosa dei Gesuiti, la Villa Pagani : la casa era dei Camozzi, ma riconosciuta, dì dritto comune da quanti emigrati avevano stretto con loro amicizia: fratellanza delle sventure patite, delle speranze mantenute ad ogni costo. Il meglio dell'emigrazione era intorno a loro. Nestore tra quella gioventù che aveva già una storia, era ring. Opprand. Arrivacene; direttore di casa, Tommaisi, reduce di Curtatone e dì Venezia. Malgrado le loro barbe folte,chi li incontrava in gruppi su e giù per quelle erose, li riteneva una compagnia di spensierati mattacchioni ; 1 esilio, che aveva gettati molti nelle strettezze e anche nella miseria, era un titolo di nobiltà che ciascuno portava con dignità serena e con imperturbabile fiducia per quella intraducibile coscienza che ciascuno possedeva della propria forza personale, e per l’apporto di forza spirituale che ciascuno riversava inconsciamente nella comunità. Il 24 giugno 1850 i Casella o i Bayer arrivarono a Genova in piena baldoria del S. Giovanni con le sue « Casaccio). Salirono aneli* essi su ad Albaro in una Villa Negrotto a Via S. Nazaro. Albaro, con le sue casette rustiche nascoste tra le vigne, con le sue ville patrizie, di cui varie, veri gioielli d'architettura, era il luogo prescelto dall'aristocrazia per dimora estiva, ma anche rifugio e riposo di molti emigrati, e nascondiglio a cospiratori. Allora le colline dalla Foce a S. Martino, fin giù a Sturla, erano tutte a vigneti, orti e giardini; il Bisagno, stagnante d'estate, irruente d’inverno, staccava Albaro dalla città, unita per il ponte Pila, che Costanza Casella Giglioli e il suo tempo 165 apriva la nuova strada di Nervi, unica arteria, che le altre vie erano sentieri tra alti muraglioni, le caratteristiche erose, che ormai vanno scomparendo. Su quei pendìi, in località non precisata, visse molti anni Maurizio Quadrio, innovabile dalla polizia, che, nel 56, fu da Torino avvisata che Mazzini lo frequentava ; j^1) ad Albaro abitò Felice Orsini, dopo la caduta di Koma, lino alla sua partenza per Nizza, ed in quella pace agi este, visse i suoi migliori anni Carlo Pisacane, studiando ed elaborando Γinsurrezione della sua Napoli, e accanto alla sua casa, era quella dei fratelli Cadolini ; più in là, nel P aradi sino, i fratelli Orlando accoglievano emigrati e amici, e cospiravano, e davano mezzi per cospirare; mentre a S. Vito, là in alto, dirimpetto alla Foce, la Ailla dei Rebizzo, vero regno dell’amicizia, ospitava emigrati lombardi e veneti e amici d’ogni luogo, fra cui Goffredo Mameli; ed è lì che Raffaele Rubattino pensava a far grande ΓItalia sui mari e rispettata la sua bandiera: più tardi egli si farà strumento di Cavour, lasciando che il « Lombardo » e il ((Piemonte)) portino il destino d'Italia s-ulle loro prore. Non ultimo cenacolo era quello di Mary E «il man Peloso a Villa Quar-tara; bella, colta, dopo esser stata ardente mazziniana, divenne esaltata garibaldina, e raccolse intorno a se il fiore dell7emigrazione, con Medici alla testa : la spedizione dei Mille fu in gran parte preparata nel suo salotto. Albaro era il monte sacro alla passione d’Italia. A Villa Negrotto dunque, si aprì il Collegio Coralli per fanciulle civili: il circolo Camozzi se ne fece patrono, considerandolo quali cosa propria. A facilitarne l’inizio e lo sviluppo, molto giovò Tessere I-spettore Provinciale delle Scuole, Giuseppe Giglioli, amico di Ciro Menotti, esule del ’31, tra i primi fratelli della « Giovine Italia )>, di cui più tardi Costanza Casella doveva sposare uno dei tìgli. Ma era anche matura l’idea che occorresse provvedere all-educazione delle ragazze, per sottrarle ai sistemi retrivi dei conventi; tra le famiglie liberali in Genova e altrove, era sentito fortemente il disagio della mancanza di scuole laiche. Proprio in quell’anno si era aperto, per volontà e tenacia di Bianca Rebizzo, il Collegio Italiano delle Fanciulle, nello storico palazzo delle Peschiere dei Pallavicino, la cui prima direzione fu affidata alla Caterina Franceschi Ferrucci o l’ultima a Luigi Mer-cantini e a sua moglie, Giuseppina De. Filippi, esimia pianista. I due Istituti vissero e fiorirono di conserva, senza stolide concorrenze, con le stesse idealità di essere centri formativi dell’anima femminile italiana, entrambi sorretti dal plauso e dal consiglio dei patrioti. (1) Arch, di Stato Genova - Prefettura. Gabinetto . Pacco 103, 12 agosto 1856-Telegram-ma cifrato del Ministro Rattazzi all*Int. Gen. a Genova. «On dit que le nommé Quadrio se trouve a Gênes dans la rue d’Abrara près de la porte Pila. Le chercher et l'arrêter s’il n est pas en règle. On dit aussi que Mazzini est il Gènes et frequent le susdit». 166 Itala Cremona Cozzolino Maria Coralli fu per questo realmente una pioniera dell’educazione liberale in Genova, come io fu la Bebizzo, in un momento delicatissimo, in cui l'indirizzo educativo delle giovinette, aveva significato di propaganda patriottica, ed è giusto ricordarla. Chi avesse voluto sottilizzare, specialmente nei primi tempi, avrebbe potuto notare una divergenza tra i due istituti, o meglio una differente intonazione, che però in nulla influiva sui metodi e sugli studi ; ma s’avvertiva soltanto conoscendo le idee politiche di chi contribuiva all’incremento dell'uno o dell'altro Istituto: per queste tendenze si potrebbe dire che il Collegio della Bebizzo traesse da impronte del partito democratico moderato, (Mamiani fu per vari anni nel Consiglio), mentre in quello <ΓAlbaro prevalevano i repubblicani mazziniani, cui fino al '52-‘53 furon fedeli i membri del Circolo Camozzi. Viveva ancora Maria Mazzini? che in austerità compieva la missione di fiduciaria del grande Esule e venerata da tutti i fratelli di fede del suo Pippo li cementava fra loro nel nome suo e li accoglieva in casa· sua come accoglieva il gruppo sororale, fedele fino all’ultimo, fra cui erano le sorelle Coralli, e più specialmente l’Albina, l’Enrichetta Di Lorenzo Pisacane, la Carolina Ce-lesia, la Fanny Balbi Pioverà e altre. Costanza Casella aveva allora nove anni : il '48 e il 49 avevano impresse orme imperiture nel suo cuore sensibile e nel suo cervello vivido e pronto ; visioni indelebili di ebbrezze, di propositi audaci, (ìi sangue e di disperato cordoglio, così che in esse nel tardo ri cordo era inquadrata tutta la sua [»rima infanzia pur così felice nel sereno dolce ambiente famigliare. La sua educazione venne lorman-dosi in questo Collegio materno, ove ciascun de suoi aveva parte viva nella direzione o neH’insegnamento. 1 nomi dei professori dicono per sè stessi quanto convincimento vi fosse che il Collegio era chiamato a compiere un'opera buona non solo per la coltura femminile, ma anche per l'idea nazionale. La letteratura era insegnata dal Preside del Liceo Ginnasio, prof. Sa-rtoriio, le scienze naturali dal prof. Gennari, titolare di Botanica all Università, la fisica dal prof. Clementi del Liceo di Verona, la matematica e la geografia dal prof. Las^ovich, già Comandante nella Marina austriaca, sfuggito per miracolo all1 unghie dell’Austria dopo la sua adesione a Manin nel ’40; prof, di storia era un altro esule, il prof. Giuseppe Brambilla di Como, mutilato di una gamba alla difesa di Roma, la morale era insegnata prima da Cristoforo Bonavino (Ausonio Franchi), allora ancora prete e maestro di scuola, e poi da sacerdote Casacci!, inviso ai Gesuiti per il suo spirito evangelico e schiettamente liberale, la cui morte nel ’54 in tempo di colera non fa scevra di sospetto che fosse stata causata da veleno, come per il prete Bottaro. Ma un tragico destino attendeva al varco tanta abnegazione Costanza Casella Giglioli e il suo tempo 167 e tanta passione. In quell’infausto ’53 il Circolo amico e patrono si sciolse col bando intimato a Gabriele Camozzi, Mauro Macchi. Anseimo Guerrieri Gonzaga, Pietro Maestri e per l’esodo di altri: a questo seguì la morte del padre di Costanza, Felice Casella e dello zio Bayer, e dopo un anno quella della moglie di lui, la zia Enrica, e poi lo zio Belcredi. Quasi non bastasse, si dovette mutar anche sede al Collegio, il March. Negrotto volendo per sè la Villa di S». Nazaro. Occorreva alla povera vedova Casella un’energia d’eccezione, sostenuta da una grande fede per affrontare da· sola il grave problema di tenere in vita il suo Collegio, e provvedere oltre che ai due suoi iigli ai due orfani Bayer. Da Albaro il Collegio Coralli passò a Carignano alla Salita Sassi nella villa allora dei fratelli Rebizzo, che poi divenne la splendida Villa Mylius. Erano appena nella nuova sede quando scoppiò il colera. Costanza, poco più che bimba era divenuta il braccio destro della mamma sino a sostituirla in quache mansione durante le brevi assenze cui era obbligata, ma lontano era il pensiero che questo tirocinio dovesse preparare la giovanetta a prossima e ben più dura prova. Verso la fine del ’55 Maria Casella, il cui organismo doveva essere già scosso dall’improbo lavoro e dalle preoccupazioni, si ani maio di pleurite. Il Collegio si chiuse, dicevasi peir poco, e tutta la famiglinola andò a Nizza nella speranza di una guarigione. Costanza fattasi infermiera della sua Mamma assistette al lento consumarsi di quella nobile esistenza che a 3G anni si spense neH’in-verno del 1850. «Povera Bimba!» le aveva detto Paolo Fabrizi baciandola in fronte pochi giorni prima rivelandole la crudele realtà. Alla sorella Albina trattenuta a Genova presso uno dei suoi figli malato, Maria Casella raccomandò i tìgli e i pupilli. Accorse a Nizza Gabriele Camozzi con cuore fraterno e con lui Costanza, inebetita dal dolore fece ritorno a Genova dove i quattro orfani andarono a stare dalla· zia Albina Belcredi. Rimasta vedova nel ’53 Albina era venuta a Genova da Casteggio, coi due figli, proprio quando Battista Camozzi con la moglie avevano deciso di esulare in Svizzera; prese così porzione della vii* la Pagano da loro abitala: ma poco dopo passò in un piccolo appartamento all’Acquasola dove tenne a pensione qualche emigrato. Quando Gabriele Camozzi potè rientrare sul continente, venne a Genova, inalato di febbri malariche prese in Sardegna facendo studi per la bonifica dell'isola, e andò in pensione presso Albina. Si traslocarono poi allo Zerbino, ed è qui che andarono a stare gli orfani Casella e Bayer ed è qui che Costanza visse gli anni gravidi d’eventi dal ‘56 ai ’60, ed è anche lì che fatta imminente la guerra del ’59 alla qnale Camozzi doveva partecipare, questi riesci fi- 108' Itala Cremona Cozzolino nalmente a vincere il preconcetto che Albina aveva contro un secondo matrimonio di una vedova con tìgli. Albina Coralli era di qualche anno maggiore di Gabriele; bella, di profilo classico, animo virile, forte negli affetti, larga dii pensiero', forse un po’ autoritaria, fedele ai suoi principi anclie se contro corrente ma profondamente buona è altruista. Il sino carattere contrastava con quello di Gabriele dolce, remissivo, conciliante ma energico 0 deciso nel momento dell’azione; per la legge dei contrasti vi eira in queste dis sonanze -una ragione del fondersi delle due personalità la cui unione fu felice. Dopo il matrimonio* Camozzi divenne tutore dei figli Casella e Bayer,. Costanza finì i suoi studi come esterna al Collegio delie Peschiere con Luigi Mercantini allora direttore. Costanza ricordava ancora pochi anni fa la « Casetta » nel parco dove in semplicità francescana i coniugi Mercantimi alloggiavano e deplorava che nessuna parola ricordasse che proprio tra quelle mura si sprigionò l’inno fatidico. In queU’ambiente di privilegio Costanza maturava la sua· giovinezza. Tutti i nomi più luminosi nella palestra delle armi e del pensiero, la cui posta era l’Italia, rievocava come intrinseci di casa Camozzi di cui gli onori eran fatti ancor prima del matrimonio, dalla zia Albina, rimasta mazziniana mentre Camozzi dal ’53 si era staccato da Mazzini pur restandogli amico. È coki che in quel sereno ambiente »incontravano uomini che pur aventi una meta comune, perseguivano principi diversi, attratti dal fascino di Gabriele Camozzi cui nemmeno Garibaldi aveva potuto sottrarsi, non per la sua provata generosità ma per la bellezza della sua anima e la bontà del suo cuore. Più volte Garibaldi era salito allo Zerbino, e Costanza aveva sentita la sua voce dolcis sima e forte e su lei si eran posati gli indimenticabili occhi azzurri che erari carezza e fuoco : la sua presenza metteva tutti in stato di grazia. Bisognava sentirle narrare da Costanza le visite di Garibaldi dopo esser stato a Torino nel dicembre del *58' chiamato da Cavour, accertare Camozzi sulla prossima guerra, ordinargli di prepararsi e-preparare gli amici, abbozzare già gli eventi, propagare il fremito della vittoria per l’irresistibile sua fede nel destino d’Italia e chiedere al poeta un Inno che eccitasse la baldanza e il coraggio dei suoi Legionari. Elettrizzato da quel comando1, nella visione proiettata dalle parole del Condottiero, Mereantini getta giù in pochi giorni l'inno, trova il modesto’ Capo banda Olivieri che lo musica, e la sera del 31 dicembre col cuore in tumulto lo porta in casa Camozzi per la prova. Episodio noto; ma la voce di Costanza Giglioli, fremente ancora d’emozione e d’entusiasmo a distanza di. settant’anni, trasportava di balzo nell'ambiente e nell’ora indimenticabile. Nel grande salone erano intorno a Gabriele, Medici, Co-senz, Francesco Carrano, i tre fratelli Bronzetti, Carrozzi, Mauro ___Costanza Casella Gioltoli e il suo tempo 159 Macchi, Carlo Goiini, Migliavacca., Achille Sacchi, Arrivabene Ugo. Boi cloni con le sue signore, l’Enriclietta Di Lorenzo Pisacane e il gruppo (lei giovanetti tra. cui Costanza e i cugini. Messasi al piano la moglie di Mercantini, il poeta stesso intonò l’inno: di scatto tutti si alzarono, 'nomini, signore, ragazzi, associandosi in coro, marciando su e giù per la sala, provando e riprovando, accendendosi, come se dietro a loro a falangi con esse la balda giovinezza. Fu qualcosa più che la prova di un inno, fu l’esplosione della passione ch’era nei cuori che altro non attendevano ch’esser chiamati al cimento. E cosi dovette pensare l’intendente Generale che, sicuro di dir cosa grata, comunicò subito a Cavour « ...si trasmette una. poesia di scacciata dello straniero che comincia : « Si scopron le tombe, si leva 11 i morti... » che sai ebbe già messa 111 musica per cantarla alla prima occasione favorevole... », cui Cavour rispose col rabbuffo: « 11 Ministro sottoscritto ringrazia il Big. I. G. della comunicazione fatta della Canzone che si vorrebbe cantare in guerra. A quest’uopo lo scrivente invita lo stesso Si g. I. G. a cogliere tutte le occasioni per far capire agli uomini del partito nazionale che delle canzoni per liberare l’Italia ve ne sono già in numero soverchio, che quindi il Ministero le considera in chi le fa, come indizio che non con fatti ma con vane parole intende giovare alla causa nazionale. Gli uomini seri, i giornali, dovrebbero volgere in ridicolo questi vati che senza aver l’ingegno di Tirteo jfuggono come lui » ! (1) Povero Mercantini ! seppe mai di questa cecità psicologica del grande statista? Ma quante altre figure magnifiche Costanza Casella aveva conosciute e ascoltate in quegli anni, e di quanti eventi sentì l’eco dolo-rosa, le diatribe e gli osanna ! Ma più di tutto visse la tragedia di Sapri, attraverso lo schianto della vedova di Pisacane, amica della zia come,1 lo era Miss White che Albina visitava in carcere, decisa di mostrare la sua solidarietà con la coraggiosa mazziniana. Nel cerchio degli amici tra cui molti biasimavano il folle tentativo, era Albina che sorgeva a difendere la bellezza di quell’audacia, a sentirne la fatalità eroica, a insorgere contro le ire dilagantesi contro Mazzini e l’ingeneroso e spietato trattamento che il governo faceva alla compagna fedele di Pisacane. E i ricordi s'affollavano, era davvero uno scoprirsi di tombe, un levarsi di morti, palpitanti nella vivida memoria della vecchia Signora che il passato rendeva presente: Nino Bixio, Medici, Bertani, Rosalino Pilo, Pisacane, Nico-tera, Alberto Mario, Nicola Fabrizi quando veniva da Malta, Emilia Ashurst, Stefano Ttirr, Manfredini, Clementi, Cosenz, Regno-li, i due Cadolini, Nullo e Cucchi reduci da Bergamo, Achille Sac· (1) Arch, di Stato Prefett. Gabinetto Pacco 189 - Cart. 2. 170 Itala Crf.mona Cozzolino chi e l’Elena Casati, Maurizio Marozzi, e Prandina Salvatore Calvino e Francesco Crispi, e quando venivano a Genova, Casati e Crivelli, Jacini e Finali, e altri ancora, e ira i giovani veterano Giuseppe Giglioli, tutti erano del cenacolo Camozzi. In mezzo a questo fervore patriottico venne intessendosi l’idilio di Costanza ed Enrico Giglioli cui seguì quello del fratello di lei Raffaele con la sorella di Enrico. I Camozzi e gli orfani delle sorelle Coralli lasciarono la casa dello Zerbino e Genova al principio del '00 quando Gabriele fu eletto deputato di Trescore e si stabilì a Torino. Costanza e Enrico Giglioli si sposarono nel 1871. Giglioli aveva completato i suoi studi in Inghilterra alla Scuola delle Miniere di Londra dove si legò d'amicizia con Darwin, Huxley, Owen, Faraday e i maggiori naturalisti del tempo. Xel 1871, a 20 anni era già professore di Zoologia· nel R Istituto di Studi Superiori a Firenze, dove insegnò per 40 anni, lasciando di sè fama imperitura. Costanza gli fu compagna eletta, devota, intelligentissima; lo aiutò sempre nelle varie e numerose pubblicazioni scientifiche e si può dire che formò con lui la preziosa Collezione etnologica che ora- arricchisce uno dei più noti Musei di Roma. Dei tigli fu educatrice impareggiabile. Colta, dall’ingegno versatile, scrisse racconti e poesie per l’infanzia e un Trattato di Geografia che fu adottato nelle scuole; più tardi pubblicò in vari giornali i ricordi dei suoi tempi. Tormentata dal problema dell’attività femminile che tutta s’incanalava verso l’insegnamento elementare, ideò e fondò nel 1884 la prima Scuola Commerciale a Firenze, tuttora esistente, e contemporaneamente si occupò dell’organizzazione delle fecuole Professionali, venendo nominata dal Governo Ispettrice. Oratrice, dalla parola calda e facile, nel Consiglio Naz. Donne Italiane, al (Lyceum e alla Pro Suffragio, portò il contributo delle larghe sue visuali sui doveri e i diritti della Donna. La grande Guerra scoppiò nel suo settantesimo anno e la trovò pronta, vigile e alacre, anima dell organizzazione civile. Dopo poretto raddoppiò di fervore, senza darsi riposo ; usò tutti i mezzi per far propaganda di fede. Quando incominciarono· a riversarsi in Firenze i profughi, fu lei che li accolse, vigilò la loro dimora al-ΓAsilo, visse con loro a tal punto di dormire su una branda nella sala d aspetto per esser pronta ad ogni arrivo di notte, sentinella del dolore, e non ebbe pace finché non potè dare un po’ di tregua à tanti di quei disgraziati sconvolti dalla fuga incalzata dal nemico, ritrovando ai bimbi i genitori sperduti, e ai genitori i figli dispersi, e in tutti i modi cercando di sovvenire miserie morali, fisiche ed economiche. Fatica che durò per mesi, irradiata da una luce che diffondeva intorno a sè. Venuti i giorni tragici della bufera rossa, dell'onta alla nostra Costanza Casella Giglioli e il suo tempo 171 bandiera e ai simboli della nostra vittoria·, della briaca foga contro i combattenti, Costanza Giglioli non conobbe paure, non viltà. La coscienza di quello che deve essere la Donna italiana, dei suoi doveri verso la patria, erale usbergo che le bastava pei» affrontare impavida questo nemico interno, tanto maggiore di quello gettato oltre i confini. Raccontano ora i Figli come un giorno, andata a Sesto Fiorentino, covo di comunisti, ed essendovi nel suo tram un soldato in divisa, s’ acorse dallo spaurito scendere di tutti i viaggiatori, che intorno al tram faceva cerchio un folto gruppo di malintenzionati che avevan preso di mira il milite: così vecchia e sola ella li affrontò, dicendo che prima di toccare quel soldato, avrebbero do vuto passare su di lei. Quel coraggio sconcertò per un momento i sovversivi, che non osarono far violenza- alla veneranda signor? : Costanza ne approfittò rapida e, preso il braccio del milite, scese dal tram e s’avviò in Prefettura. ■Vissuta tra gli esponenti maggiori del mondo politico, amava la politica come palestra per raggiungere il bene della patria· Ministri e uomini di stato, s’onorarono della sua amicizia. Nazionalista; con Corradini, fu poi tra le primissime ascritte al Fascismo. Per il Duce aveva un’ammirazione senza limiti, fatta di gratitudine e di fede: ma questa fede voleva condivisa e la sua parola animatrice per chi sentiva al suo unisono, non taceva lo sdegno per il denigratore, e sapeva fustigare a sangue i tiepidi e peggio i falsi seguaci. Questa- forza combattiva era insita nel suo carattere, e ne fece arme per ii suo apostolato di fede nei destini della patria, anche per i tronchi ancora avuUi. Il problema della Dalmazia fu Pultimo suo assillante tormento, dopo la amara delusione del Trattato di Rapallo. Quando, dopo la sua dipartita, i Figli apersero il suo taccuino, con intensa commozione trovarono che l’ultimo scritto, quando già la vita le fuggiva, e la mano s’era fatta debole e tremante, era un Messaggio alle Donne dalmate che qui trascrivo, perchè riassume la tempra di questa Donna d’eccezione: « Alle care Sorelle di Spalato, Traù, Ragusa e altre chiuse fuori dal cerchio di ferro che ci separa, l'abbraccio del cuore per la battaglia che continueranno. Esse riprenderanno l'antica alabarda e la porteranno sulla vetta, non dimenticando che le altre sorelle con... crudeltà lasciateci accanto tra lacci nascosti, ma spinosi, sono il vincolo che ci unisce... Noi vecchi stiamo varcando la soglia eterna, ma voi tutte giovani, salirete imperterrite la vetta. Eja, eja, alala al vostro futuro. Con cuore di sorella fedele, Costanza Giglioli Casella, a nome anche di Elvira Bisson, fedelissima». Questo scritto, come voce d’oltre tomba fu segretamente spedito in Dalmazia, e da Sebenico risposero: 172 Itala Cremona Cozzolino « II saluto e monito lasciatoci dalla veneranda ed illustre sig.ra Costanza Giglioli Casella, donna italiana degna fra tutte, ci commuove nell'anima e vorrei stamparlo a caratteii indelebili nel cuore d’ogni (italiano) dalmata ! Sia benedetta la mano che vergò pa role di fede e d'amore si puro! Sia premio la celeste Patria alPanima cristiana. Possa il suo esempio ridestare sentimenti fervidi e tenaci anche nei posteri. Ripetiamo con Essa « Sursum corda » fidenti nel futuro ». Costanza Giglioli Casella fu una vestale, e forse l'ultima, della passione del Risorgimento, che l’aveva circondata e plasmata al suo nascere; con senso religioso e nostalgico, nel ricordo del passato raddoppiò la sua vita. Rievocare persone ed eventi in scritti e a voce, esumare ricordi che sembravano sommersi, mettere sotto gli occhi dei tìgli e della gioventù che le cresceva intorno la poesia che inondava Panima di tutti gli esuli, i patrioti, i cospiratori, tutti con un solo ideale, l'Italia, e per questo ideale far gettito della libertà, delle ricchezze, della vita, tener deste tra i troppo dimentichi, tra i miopi e gl'imbelli e i freddi angusti ragionatori dell·'epoche grigie le gesta e il nome di quei cavalieri della libertà, fu tra i maggiori scopi della sua vita. A 91 anni, nel giorno del Decennale, il 28 Ottobre 1932 cessò il battito del suo cuore. Dio le concesse il privilegio di assistere al compirsi del ciclo del vero Risorgimento della sua Patria, quale era nel sogno dei suoi numi, Mazzini e Garibaldi. ITALA CREMONA COZZOLINO JACOPO BRACELLI E L’ECLOGA IV DI VIRGILIO Il quattrocentista Jacopo Bracelli, (') cancelliere della Repubblica/ di Genova, apparisce a chi consideri il complesso dei suoi scritti una compiuta figura di umanista. Come concelliere egli intese a fare opera di letterato, nella sua privata attività di scrittore tenne in grande onore la storia e in un ampio saggio che nulla ha ad invidiar& ai grandi saggi storici del tempo, nel de bello hispa-niensi, fece insieme tesoro delle sue doti di indagine, della sua singolare esperienza politica e della sua educazione erudita ed artistica di prosatore latino, la mente tesa ad un grande modello, Sallustio; alle dotte ricerche del tempo recò il suo contributo di geografo (2), collaborando alV Italia illustrata di Flavio Biondo, ed il suo contributo di archeologo; fu elegante scrittore di epistole. L’epistolario bracelliano, come non è di tale ricchezza da illuminarci sulla vita privata dello scrittore, non basta a fornirci la necessaria copia di elementi essenziali per la conoscenza della mentalità critica dello studioso. Tuttavia non mancano le lettere che attestano della partecipazione del Bracelli allo studio delle questioni erudite che più vivamente interessavano il mondo umanistico contemporaneo : in particolare, ai temi di antichità classica 11011 si trovano (1) La vita di Jacopo Bracelli va dall'ultimo decennio del sec. XIV fin verso il MOS. quando ha termine la sua carriera di cancelliere, di cui si ha traccia nell’Archivio di Stato di Genova fin dal 1411. Il Bracelli abbracciò il notariato che era ereditario nella famiglia, e forse compì lo studio delle leggi, piuttosto a Pavia che a Bologna. All’ufficio di cancelliere si dedicò con l’intelligente fervore del cittadino che si con aera al serviz'o della patria e per quella carica, mediocritate sua contentus (Foglietta), rifiuti l’alto ufficio di segretario apostolico offertogli dal pontefice Nicolò V. La Repubblica ne riconobbe i meriti e lo valorizzò in delicati incarichi e importanti ambascerie, La sua operosità letteraria gli acquistò fama di scrittore distinto e aristocratico nel tempo in cui fiorivano il Traversar!, il Bruni, il Fazio, Poggio Bracciolini, Flavio Biondo, amici suoi ed ammiratori così come il patrizio procuratore di San Marco Francesco Barbaro. I figli Antonio e Stefano continuarono degnamente l’atti vita diplomatica del padre al servizio della Repubblica. Scarse altre notìzie sulla .«uà vita privata e famigliare si desumono dall’epistolario che non è ricco di note autobiografiche. Cfr. Carlo Braggio, Giacomo Bracelli e l'umanesimo dei Liguri, Atti della Soc. Ligure di Storia Pa* tria, Vol. XXIII fase. I (2) V, a questo proposito lo studio di GIUSEPPE Andriani Jacopo Bracelli e la geografia, Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. LII (1924), pp. 127-218. 174 Mario G. Celle che limitati accenni, che nondimeno rivelano, nella loro spontaneità, talora sotto forma· di digressione, più che la studiata preoccupazione della ricerca d’una tesi sostenibile, un maturato intimo convincimento. Una lettera di notevoli proporzioni è invece di proposito dedicata all’interpretazione dell'ecloga IV di Virgilio. È nel voluminoso manoscritto conservato presso la civica Biblioteca Borio di Genova i'Jac. Bracelli et alior cl. viror. Epist. Orat. ms. del see. XV, D bis 10-6-65) contenente altre notevoli epistole del Bracelli che non si trovano nelle vecchie edizioni e sono state edite in parte dal Braggio nel 1892 (op. cit.). La lettera è un commento dell’ecloga IV di Virgilio che procede per esclusione degli argomenti dell'interpretazione cristologica. # # # E passiamo al particolare esame della lettera virgiliana di Jacopo Bracelli, che non mi risulta sia stata presa in considerazione nell'opera classica di Wladimiro Zabughin (*) nella quale avrebbe potuto non indegnamente trovar posto. Il corrispondente è, come lio accennato, Raffaele da Pornassio inquisitore generale dell'Ordine di S. Domenico. L’umanista Bartolomeo Fazio così ne rievoca succintamente la vita e l’opera (2) : « Raphael Pronassius natione Januensis Ordinis D. Dominici dialecticae, ac Philosophiae, itemque divinarum artibus ornatus inter theologos nostri temporis singularis iudicatur. Rerum antiquarum studiosus, earum maxime, quae ad mores et Religionis cultum pertinent, Platonis, Aristotelis ac ceterorum philosophorum veterum scripta, quae consentire cum Evangelüs et Christi veii, ac summi Dei nostri dictis viderentur in unum volumen collegit, dictaque cum dictis contulit, ut Summam Sapientiam, hoc est Dei verbum, ac Filium omnium Philosophorum sententias non aequasse modo, sed etiam superasse doceat. Scripsit item alia quaedam in eo genere non contemnenda (1) WLADIMIRO Zabughin, Virgilio nel Rinascimento, Zanichelli, Bologna, 1921. (2) Bautholomaei Facii De viris illustribus liber, ed. Mehus, Colonia. Di lui si legge in QuÉtif e Échabd Scriptores ordinis praedicatorum, 1719 t. I, p. S31 : < Raphael de Pornas.o vel de Pornaxio a natali loco in Liguria, tractus Jarmenis municipio sic nuncupatus ordini nomen ded!t Januae in conventu S. Dominici·: qui cum eruditione, facundia morunque gravitate splenderet, sacrae theologiae magister promotus est, et adversus fidei temeratores in tota Januensi ditione Marchiaque general s datus inquiritor, idque officium strenue gessit per annos 20 ab anno scilicet 1430 mense septembri ad augustum 1450. Vixit enim hac aetate sub Eugenio l\ tempore concilii Basileensis, eaque doctrinae lama clarebat, ut ad eum F. Joannes de Casanova Cardinalis S. Xysti nuncupatus et ex ordine assumptus pro gravioribus Ecclesiae difficultatibus accesserit, aliique passim optimatum, piinc-rpum et antist.tum praeii-pui de variis sive moralis theologiae vel pO»:tivae ecripturaeque quaestionibus interrogarent et consulerent. Quam in theologicis apprime versatus esset philoeophicisque discipline, quamque sacram ille profanamque teneret historiam ac in iure peritus etiam etset, quae supersunt eius indicant opuscula ». Jacopo Bracelli e l’ecloga iv di Viroilio 175 In disputationibus tfubtilis, a(tque acerrima vitae innocentia ac puritate ». Notevole il particolare rilievo dato dal Fazio alla tendenza dottrinale del Pornassio che spiega il carattere di confutazione della lettera bracelliana, così come l’inizio della lettera stessa (1): ((Mirifice oblectavit me, reverendissime pater, epistola tua. Nani nec illi cultus orationis deest, et ea est materia que figmenta poetarum sacris etiam litteris admisceat. Memorai plerosque doctos viros, quibus sententia fuit prophetasse Virgili um egloga praesertim quarta ubi dixit: Iam redit et virgo redeunt saturnia régna, lam nova progenies celo demittitur alto, et que earn legenti plurima occurrunt, et cum ab ea me opinione procul abesse videas, queris ea vaticinia quando implenda sint, si adveniente Cliristo salvatore nostro impleta non sint ». Questo esordio è sufficiente a chiarire la posizione del Pornassio : egli è senza riserve con coloro (2) che ere dono in Virgilio profeta (prophetasse Virgilwm, nè si fa cenno della Sibilla). Importante nella sua completezza è la risposta del Bracelli: « Ego neque Yirgilium prophetasse arbitror, ncque voluisse nos opinari eum ut vatem futura predi cere ». Ancorché quella del Bracelli non sia ormai più una voce isolata, la prima negazione espressa così recisamente lui di per sè la sua importanza, sebbene la conseguente dimostrazione che tosto seguiremo nei suoi punti essenziali trovi una timida e incerta attenuazione nella con clusione dell’epistola, nella quale tuttavia a me pare che l’umanista sia soprattutto preoccupato di non contraddire in pieno all’incal-zare delle argomentazioni del venerando teologo, dinanzi al quale l'uomo di pura fede, in una lettera privata, tutta improntata a deferente affetto, è insieme il devoto ammiratore e il critico spassionato e, come critico, non asserisce, ma concede: « Sed ad dis sanctos quôsdam et doctos viros plane fateri poetas, interdum divino spiritu afflatos esse; quorum sententie nihil est cur repugnem... Sit sane Virgilius inter afflatos a Spiritu sancto; contigit ei sermo scientie, contigit forsitan et sermo sapientie: his contenti simus, nec, quod ostendi non potest, cum his quoque prophetandi donum illi tribuamus. Nec illud negaverim quod differs conveniens fuisse divine bo nitati ut qui pro salute utri usque populi mittebatur, haberet in utroque vates suos; namque habuit in gentibus plerasque sibyllas quarum ea vite sanctitas, ea pietas fuisse perhibetur, ut mirum non sii inulta) illis divinorum misteriorum reserata fuisse », concessioni che, ad ogni modo, liberato il terreno critico dalle più ardite conci) Non ne riferisco per disteso il testo, rimandando il lettore alla trascrizione del Γ-RAGGIO, op. cit. doc. XV. La lettera è senza data, ma si ha ragione di ritenerla anteriore al ’50. (2) Tra i contemporanei umanisti, per citare un esempio, era anche Giovali Mario Filelfo; in una lettera al figlio (XIV Kal martias 1454) Fran esco Filelfo definisce senza fondamento critico l’opinione da lui espressa su Virgilio profeta iM Cristo, e si attiene tuttavia alla tesi che Virgilio riferisse al figlio di Pollione ciò che veramente la Sibilla aveva vaticinato di Cristo 176 Mario O. Celle seguenze della» deformazione del pensiero degli scrittori ecclesiastici del IV secolo, ritornano alla più semplice aderenza all’esegesi agostiniana, e nondimeno il Bracelli insiste nel limitate le concessioni per non cedere sul punto fondamentale: « Verum non ex hoc infertur Vir g ilium prophetam fuisse ». E ritorniamo a quella seconda negazione « neque voluisse nos opinari eum ut vatem futura predicare », cioè Virgilio non ha voluto atteggiarsi a profeta, non ha voluto scrivere un carme profetico. *Ne consegue che l’interpretazione bracelliana è innanzitutto eminentemente estetica, senza compromessi con l’allegoria e il dottrinarismo di cui al suo tempo il campo non era affatto ancora sgombro. Egli sente il poeta delle bucoliche, che se ha voluto anche questo carme comprendere nella serie pastorale per la forma e per lo spirito, è stato dalla inspirazione stessa e, per così dire, dall impulso del cuore sospinto verso più alte vette e verso una maggiore vastità di orizzonte· ( 1) « Quid enim habet illius aurei seculi commendatio, quod non ad laudes Augusti Cesaris et interdum Pollionis planissime referatur? Que si ad Salvatoris nostri adventum detorquere velis, multa profecto invenias adeo reluctantia ut se ad eam trahi sententiam nequaquam patiantur: ex quibus si unum aut ad summum duo in transitu degustavero, nolim propterva putes vicena aut plura de&sse huic- se interpretationi opponentia ». L’osservazione colpisce giusto, nel punto vulnerabile, i metodi della critica che si è a lungo esercitata sulla IV ecloga virgiliana, cui toccò spesso in sorte di e*sei e meditata per amor di tesi in quei versi che soli possono soccoireie, e non soltanto per Pinterpretazione cristologica, ma per qualunque altra, cosicché è necessario dopo secoli di ipotesi e controipotesi ritornare a quella che sembra, e non è, almeno per questo toi men tutissimo carme virgiliano, la cosa più naturale del mondo, a a su? semplice lettura, considerandolo, come si fa d una qua opera d'arte, per quello che dice esteticamente, nel suo complesso. ( ) Uno dei motivi che oppone il Bracelli è questo: \irgilio non avrebbe scritto un’ecloga se avesse intravveduto la sublimità de vaticinio: « Buccolici metri materia de rebus liunnhbus est. Quis autem credat doctissimum poetam unitatem Dei et liominis quo nihil sublimius cogitari potest, que adeo sublimis est ut nec cogitari satis possit, prenunciare volentemy buccolicum carmen quo rem om nium altissimam caneret indocte ac perinepte delegisse? ». Poi chiosa il paulo maiora del primo verso: « Sed videamus quibus verbis rem eximiam et ingenia nostra trascendentem exordiatur. Sicelides, (1) Cosicché il pensiero del Bracelli sembra precorrere la moderna reazione di cui recentemente Camillo Cessi si è fatto autorevole interprete: C, CESSI L'egloga IV di Virgilio, Atti e Memorie della R. Accademia virgiliana di Mantova, 1923. (2) Come raccomanda di fare il Cessi, op. cit. Jacopo Bracelli e l’ecloga iv di Virgilio 177 inquit, muse paulo maiora canamus: de gregibus scilicet et armen Us loquutus et ad illud inscrutabile divine mentis consilium ascensurus, paulo maiora sibi aggressurus videbatur. Que ergo erunt maxima, vel si quid est supra maximum ; si lwc divine sapientie profundissimum archanum bobus aut agnis paulo maius esse dicatur? ». H Bracelli si fonda nella sua dimostrazione su quel paulo maiora, che già aveva richiamato l’attenzione degli antichi chiosatori. Servio aveva osservato: «bene paulo; nam licet haec ecloga discedat a bucolico carmine, tamen inserit ei aliqua apta operi » ; a proposito di tale scolio Servian o in un recente studio analitico M M. Pirrone (*) oppone opportunamente all’opinione del Georgii («Die antike Aeneiskritik » — Stuttgart 1891 e ((Die antike Ver-gilkritik in (len Bukol. und Georg·.» nel Philol. Suppi. IX 2, liM)!, p. 211 ss.) per cui Servio attribuì a Virgilio la co tante preoccupazione di giustificare con quel pwulo l’introduzione del canto nelYopus bucolico, che in verità Servio con quello scolio mostrò di comprendere il giusto valore di quell’espressione attenuata, annunciante una modesta elevazione di tono, poiché l’argomento nuovo, la celebrazione di un personaggio romano, di un console, imponeva al poeta di allontanarsi per un poco dal modello greco, ed egli « introdurrà necessariamente degli elementi che saranno estranei al modello bucolico, ma solo un poco, perchè egli vi intreccerà pur sempre frasi, im magini, raffigurazioni della vita pastorale, pei cui il canto non discorderà dalla raccolta intera ». Ci si passi la digressione. Sebbene possa apparire una sottigliezza la discussione su quel paulo maiora, il nostro critico non mancò di ravvisare in quelle parole un valido argomento per la sua tesi. Un altro valido argomento è per lui il « redit et virgo » : chè redire accenna a un ritorno, nè potrebbe intendersi della Vergine Madre che apparirebbe, non già ritornerebbe, non essendo mai stata ; e questo insistere del critico nel rilevare 1’« errata interpretazione», conferma che al suo tempo Fidenti (reazione della virgo con la Vergine e del puer con Cristo resisteva ancora tenacemente, sebbene, come tutti sanno, vi fosse già stato, tra gli altri, l’esempio insigne di Dante che aveva interpretato: «Torna giustizia... ». Il Bracelli è con coloro che ravvisano Astrea nella virgo : « Qui hunc locum intelligere creduntur, uno plane consensu affirmant Virginem hanc Astream esse per quam poefe i.usticiam· significari volunt. Quod si quis de Virgine matre Salvatoris nostri accipiendum putet_, doceat quomodo redit illa que nondum fuerat. Nam redire testatici' aliquem venisseabisse et postea iterum venire. » La stessa osservazione viene fatta a proposito del « redeunt (1) Maria Margherita Pirronk L'arte delle Bucoliche nella critica antica, Casa editrice Ant. Trimarchi (Palermo 1928), p. 42. Mario O. Celle saturnia' regna », ma qui ritorna un po' d'ingenuità,o meglio, per così dire, la parzialità del critico che proprio qui dove si fa una recisa negazione rientra nell'orbita della cristallizzata concezione medievale che vuole dal « poeta dottissimo » il verbo del saggio : u nemo historicorum hactenus inWntus est etc ». Procedendo per esr-lusione. il Bracelli si attiene al punto di vista. politico e sebbene insista più sul nome di Augusto che su quello di Pollione, non se ne può dedurre che egli, riferendo Vecloga al consolato di Augusto, ravvisasse nel -puer Claudio Marcello ; al puer in verità egli non fa alcuna precisa allusione, forse intendendo che il poeta non volle fare del puer l’elemento predominante. Piuttosto egli pone in primo piano gli auspici che intende in senso generico, riferendoli al tempo nuovo che vide il trionfo e il pacifico dominio di Augusto: più precisamente il verso: adspice venturo laetentur ut omnia saeclo che pone in rapporto con l’altro : iam nova progenies caelo demittitur alto, e pare tenda, forzando la logica semplicità del contesto, a distinguere dal puer Ville del v. 15, in cui forse vede adombrato Augusto « ...fateri necesse est, egli dice, ea in laudes Cesaris Augusti \ irgi-lium cecinisse, quo imperante, eiausi s Iani portis, mira et insolita· pax tato prope orbe terrarum diffusa est, qua in si quis aliter interpretari relit, desinat et ipsum audiat Virgilium has laudet ad Angustimi nudis verbis referentem : hic vir, hic est, inquit, tibi quem promitti sepi us audis: Augustus Cesar, divum genus, aurea condet secula rursus· Quibus verbis quum prophetasse dicitur afftr-nmt non se prophetare, sed exquisit is prcconiis Augustum laudare)). Aveva detto prima: «Quid enim habet iota illius autel seculi commendatio, quod non ad laudes Augusti Cesaris et interdum Pollionis planissime referatur? ». Virgilio sentiva quanto lasciasse bene sperare la nuova epoca così felicemente iniziata e sciogliendo i più bei voti, gioiva d’essere facile profeta, ma è evidente come il Bracelli tenda a spostare la cronologia delPecloga. Tutt’al più, lodando quel tempo felice, Virgilio, nel pensiero del Bracelli, inconsciamente lodava un’èra di pace universale che, quasi vaga immagine della «vera ed eterna pace», ne precorrevi 1 Annunzio : « Quanto autem et credibilius et verius sensisse milii videntur fidelium quidam, qui scripserunt eam pacem que sub Augusto contigit, celitus demissam vere et eterne pacis umbram quandam et imaginem fuisse, que regem saperne pacis advenientem ut precursoi ac testis merito anteivit ». In complesso, l’interpretazione bracelliana, se non è una netta presa di posizione a favore di una delle varie tesi che andavano Jacopo Bracelli e l’ecloga iv di Virgilio 179 facendosi strada nel primo rinascimento, mostra l'intento dell’autore dell’epistola di liberare il campo della critica da quei postulati che tendevano a far sopravvivere le convinzioni proprie della mentalità medioevale, convinzioni di cui il Domenicano suo conispon-dente si faceva tenace paladino, e perciò uno spiccato carattere di confutazione assume l’epistola che, dato il genere familiare, aggiunge una prova del rinnovato vigore con cui andava riaccendere dosi, anche nei privati conversari, la vecchia controversia. Non è qui la sede per riprendere in soggettivo esame la notis? sima ecloga virgiliana, per ripetere gli argomenti che mi convincono del più umano intento del poeta riconoscente che con entusiasmo d’artista gioisce di una grande gioia familiare del suo benefattore, secondo quella interpretazione pollionea che ha trovato tanti valenti sostenitori specialmente in Italia; ma la lettera bracelliana può riuscire interessante per alcune felici intuizioni critiche che rivelano la spregiudicatezza dell'uomo di buon senso di fronte a qualunque preconcetto erudito o tradizionale, e insieme la sua attitudine a cogliere il segreto dell'arte anche nell’opera dei poeti che la scienza e la tradizione avevano fatto storia e letteratura. Mario G. Celle- LA CHIESA, IL PRIORATO, LA COMMENDA ED IL CULTO DI 5. AMPEGLIO IN BORDIGHERA Sul capo di Bordighera, fra la strada* nazionale e la spiaggia dei mare, sopra una grotta è una- piccola chiesa, di cui la prima costruzione risale circa al secolo V· η È dedicata a S. Ampeglio, che però non è nè l'uno, nè 1 altro dei due Santi di tal nome contenuti nel Martirologio romano, 1 uno martire in Africa con Saturnino e parecchi altri compagni, ed i secondo (veramente il nome di questo è scritto Arnpelus) martire in Sicilia insieme con Caio. # # , È invece l’Ampeglio di cui abbiamo notizie sicure da >-. Petro nio, Vescovo di Bologna, ed altre da Palladio e da Sozomeno. Secondo tali scrittori egli, dopo aver vissuto un po di tempo co me anacoreta e facendo il fabbro nella Tebaide, avendo vécu o c e per la fama, la quale lo faceva oggetto di frequenti visite, non po teva più vivere in quella solitudine, che era andato a cercare in quei deserti, se ne venne in Italia fino in Liguria e si fermo sul capo che ancora oggi porta il suo nome. . . Gli piacque il luogo, perchè, essendo esso lontano da centri abita ti, vi capitavano dei pescatori soltanto di quando in quando, ec anche perchè vi aveva trovato una grotta, a cui si accedeva eia una anfrattuosità del terreno. Come già nella Tebaide, nel suo nuovo romitaggio egli continuo ad esercitare il mestiere eli fabbroferraio ed a condurre una vi a di penitenza per un periodo di tempo che si vuole sia stato di diciassette anni, dal 411 al 428, tìncliè, non giunse per lui 1 ultima ora di vita terrena. Diffusasi all'intorno la notizia della sua m-o-rte, si raccontarono di lui cose tanto mirabili, che fu venerato come Santo. Il suo corpo fu tumulato nella stessa grotta, in cui egli era morto; su questa fu eretta una piccola chiesa ; il capo, il territorio circostante, e la torre ebbero da lui il nome, e, quando poi fu costruita in Bordighera una nuova parrocchia, in questa gli fu dedicato un altare. La Chiesa, il Priorato, la Commenda, ecc. 181 Il capo, come già si è detto, conserva ancora oggi il suo nome, il luogo dopo qualche tempo prese quello di Bordigliela e poi di Bordighera; ma prima ebbe e conservò a lungo quello di S. Ampe-glio; la torre fu distrutta e più tardi sulle sue rovine fu costruito un convento di Benedettini. Infatti apprendiamo da Bartolomeo Scriba (l), uno dei continuatori dii Caffaro, e dal Foglietta (2) che Fulcone Guercio nel 1239 era andato nelle parti di Ventimiglia, uhi dicitur S. Ampelius e aveva distrutto turrem S. Ampeli i. Questa torre è anche detta, però una sola volta, Castello Mu-timilenSe, ma la lieve differenza che il Mutimilçnse presenta con Y intimilense (3) ci fa pensare alla possibilità che si tratti di uno di quegli errori di lettura o di scrittura, tanto frequenti per i no mi di luoghi. Ter il luogo Cornelio Desimoni, (4) soltanto per induzione, credette di poter collocare il Sepe, o Seve « tra· il Capo Verde, o la foce deir Arma (voleva dire Armea) e la Bordighera» e, dopo di lui, Gerolamo Bossi, scrisse di avere « ragioni di credere che un considerevole borgo ivi (cioè sul campo di Bordighera) sorgesse col nome di Sepe, Seve, o Sepelegium, che si legge nel testamento del conte Guido del *'954 e poscia in un atlante idrografico del medio evo». (5) Invece recentemente il Dottor Domenico Fornara (6) volle identificare il Seve, o Sepe in una regione tra S. Lorenzo e Santo Stefano al mare· Senza pretendere di portare nuova luce in questo punto per il nome Seve, crediamo che per il Sepetegium (che ha, si noti, come primo componente il nome Sepe) del preteso testamento del conte Guido, si possa pensare, forse con maggior ragione, invece che al Capo S. Ampelio, alla località detta Scpergo o Saper go, dove an- (1) Eodem anno (1239) Fulco Guereius cum galeis 13 et· lipiis ullis destinatus fuit in Itlpariam.... postmodum ivit ad partes \^nctimilii ubi dicitur S. Ampiìins, ubi homines Vincti-milii proditores communis Januae se reduxerant et ubi fuit magnum proelium in quo plures luerunt lïlnc inde vulnerati mortaliter et occisi. Tandem dictus Fulco et Januenses qui seemn erant prevaluerunt In bello, et destruxeruut turrem S. Ampelii et domos et receptacula fo-restatorum Vinctimilii et eorum terras destruxerunt et devastarunt. (2) Tredecim triremes armatae sunt quae Fulcone Guercio praefecto, arma circumferendo, Cervum, Dianum, Bestagnum, Portum Mauritium castella, ac vallem Oueliae pacarunt et, ad obedientiam reduxerunt; turrimque did Ampelii in finibus Intemeliorum, seditiosorum, ac quietem publicam turbare fo’.itorum, receptaculum, expugnatam solo aequarunt. Oeu. historiae. Libr. III p» GO a. 1239-40 (3) La torre era dei Ventimigliesi e quindi è facile che il Vintimilense sia stato scritto, o letto male e no sia venuto fuori il Mutimììense. (4) Osservazioni sopra due portolani di recente scoperti e sovra alcune proprietà delle carte nautiche. Atti Soc. Lig. di Stor. Patr. Ili pag, 271. (5) Storia della città di Ventimiglia. Oneglia Eredi Glùtini 1SS3 p. 73 nota 1. (6) Scritto del Fornara nel vol. L. Giordano - Vie Liguri e romane tra Vado e \entl· miglia. Vol. I n. 5 della Collana storica archeologica della Liguria occidentale, p. 129. 'fS2 Antonio CaNepA' cora oggi si vedono antichi ruderi e si dice che esistesse in passato ■un. paese, o borgo di questo nome, e siano state trovate monete, anelli, vasi e altri oggetti, che attestano aver lì vissuto in passato una popolazione. * Ma abbia-, o no, avuto il nome di Seve, o Sepe il territorio vicino al Capo, è certo che questo ebbe ed ha ancora il nome di Capo S. Ampeglio e che una piccola chiesa a lui dedicata è stata eletta poco dopo la sua- morte e poi ricostruita è rimasta alla dipendenza del vescovato di Ventimiglia, fino a che il vescovo· Martino, nel 1110, non ne fece donazione al Monastero Lerinense di S. Onorato, deU'ordine di San Benedetto. (1) Il motivo che ha indotto il vescovo Martino a fare tale donazione noi crediamo che possa essere quello datoci dal Gi oltre do, il quale nella sua Storia delle Alpi Marittime (2) lasciò scritto che, « essendo il Monastero di Lerino danneggiato nei beni dai barbari (Saraceni), e non solo da questi, ma, per tale esempio', anche da Cristiani, dalle dame e dai Prelati del vicinato, il Papa Callisto II scriveva al Vescovo di Nizza, perchè facesse restituire ai detti Monaci da chi Γaveva loro tolta la chiesa di S. Torpete ed il Papa Onorio II, successore di Caìlisto, dapprima ingiungeva ai Vescovi di Riez, Frejus, Mzza ed Antibo di curare che dai loro parrocchiani fosse fatta ai detti Monaci la restituzione dei beni usurpati e, in seguito, desideroso di provvedere alla sicurezza dì quei Monaci che, « ante Saracenorum fauces positi, captiones, catenas et mortis pe* rie nia metuentes.... » si travagliavano incessantemente a perfezionare la fabbrica di una torre, animava i fedeli a contribuire con lini osane a tale opera di fortificazione. Aggiunge il Gioffredo che, mentre i vicini erano intenti a restituire, i lontani si impiegavano in donare, come, ad esempio, fece nel 1127 Ottone, Vescovo di Albenga, che diede ai Monaci Leriuensi il Monarstero di S. Lorenzo di Varigotti. Se non erriamo, questo ci fa intuire anche la ragione per cui, dopo r-lie si eia provveduto al pericolo imminente con la costruzione delle opere di difesa, ritenute necessarie, nonostante che i Benedettini avessero costruito vicino alla chiesa di S· Ampeglio un convento e ne avessero fatto un loro Priorato, dalla Sede Apostolica in seguito, cessato il pericolo, tale chieda veniva tolta ai Benedettini, eretta in Commenda sotto lo stesso titolo di S. Ampeglio e concessa a Chierici regolari. Ci consta che verso la fine dei secolo XV aveva ottenuto tale Commenda il Chierico Giovanni de Giudici e poi, per rinunzia, fattane da lui, ne veniva investito dal Papa Alessandro VI 1) Mabillon - Annali, Petrus Lirinensis Abbas multa beneficia accepit a Martino Venti-jnilien&i Episcopo. (2) col. 378 e segg. · ' .. La Chiesa, il Priorato, la Commenda, ecc. 183 nel 1497 Secondino de Giudici, che l'aveva ancora nel 1505. In appresso ne fu Commendat aito un Domenico Tinello, che, diventato Vescovo di Fermo, nel 1577 impetrò da Gregorio XIII di poterla conservare e, dopo di lui, un nitro Domenico Pinello, che da due documenti ne risulta ancora investüto negli anni 1014 e 1 (>17. Tale commenda continuò ad essere data a Chierici regolari tino alla seconda metà del secolo XVII. Ultimo ad esserne investito fu Lazzaro Botti, «dopo il cui trapasso (LOGO), i beni del Priorato, per bolla di Papa Alessandro VII (17 aprile, 1663), venivano assegnati al Seminario diocesano di Ventimiglia ». (1) Della chiavetta di S. Ampeglio abbiamo notizie anche dagli at li delle visite ad essa fatte dai Vescovi di Ventimiglia. Mons. Fran cesco Galbiati, in seguito alla sua visita fieli’anno 1573, ordinava che il calice e la patena fossero dorati di nuovo e che si facessero le necessarie riparazioni al pavimento ed alla porta della chiesa, Mans. Stefano Spinola, nelFanno 1611, stabiliva 1/obbligo di collocare e di accendere nella detta chiesa una lampada in onoie del Santo; Mons. Gerolamo Curio, nel 1615, stabiliva che. oltre le processioni d'uso, si facesse anche quella di S. Ampeglio; Mons. Nicolò Spinola, nel 1617, ingiungeva che si riparasse il tetto della Chiesa e finalmente, nel 1656, il Vescovo Mauro Promontorio riconosceva che ΓOratorio di S. Ampeglio era bene ordinato e provvisto della suppellettile necessaria. Ma, nonostante la venerazione in cui dalla popolazione di Bordighera era tenuto il corpo del Santo Anacoreta, anzi, saremmo per dire, appunto per questa venerazione, esso non rimase nella sua cripta che lino all'anno 1140. Intorno a questo avvenimento abbiamo da molti scrittori notizie tali, che, mettendo insieme quanto ci fu da loro tramandato, si può ricostruire il fatto interamente. Narra il Paganetti (2) che «nel 1140 s’era il Conte di Ventimiglia a Genova ribellato, per lo che questa Repubblica con poderosa e formidabil oste e per terra e per mare si mosse... Dei Yenlimigliesi fatti prigionieri, mancando del denaro necessario al riscatto e correndo rischio di essere trucidati, pensando che in sommo pregio tenevansi i corpi Santi e si desiderava averne le Reliquie, promisero di svelare a' Genovesi un tesoro, il sacro corpo di Ampeglio, se si accordava loro in premio la libertà. Concluso l'accordo, le Reliquie consegnate dai prigionieri di Ventimiglia furono dai Genovesi trasportata alla chiesa priorale di S. Stefano nella giurisdizione di Sanremo, soggetta alla Badia di S. Stefano di Genova ». (1) Rossi - Storia di Ventimiglia, p. 27. Nota 3. (2) Paganetti - Storia ecclesiastica, p. 52, passim. 184 Antonio Oanepa Trasportato il corpo del Santo Anacoreta da J bordighera al Castello di S. Romolo (poi Sanremo), ivi rimase fino all’anno 1258, tino a quando, cioè, per Γopposizione dei San Romolesi, elle non volevano permeitele che gli Arcivescovi di Genova »i costituissero sopra di loro una Signoria, l'Arcivescovo Gualtiero da Vezzano, non ritenendo più abbastanza sicuro il suo palazzo, che da secoli sor geva accanto alla chiesa di S. Pietro, pensò di costruirne uno nuovo, fuori le mura, vicino alla chiesa di S. Stefano. Per acquistare Farea necessaria per tale costruzione, egli, con l'assenso del Papa Alessandro IV (da Viterbo, S marzo 1258, a. Francesco Rossi. «che gloria vasi di avere albergato Santo Ampelio, era poi priva non puie della salma, ma di una qualunque reliquia di esso. Molte e caldissime furono le istanze, che il Clero ed il popolo Bordighe.se aveano presentato nei tempi andati ai monaci Olivetani di Genova, ailine di ottenere un caro ed insigne avanzo del loro Santo Protettoie, ma vani erano tornati sempre i desiderii, inutili le loro pieghici e. Questa gloria era serbata al sacerdote Giuseppe Antonio Bianche)ri, quarto Abbate della patria sua, il quale tanto pregò elianto ado j»crossi e in Roma e in Genova, che il giorno 11 giugno 170.È ottenne dal Rev.ino Padre Abbate di Santo Stefano, Don Giovanni Guai* ber to Magnasco, quella veramente bella e cara reliquia, cui oggi venerasi chiusa in grande e maestosa teca fasciata nella parte anteriore di lamine d'argento; e tale memoria e monumento di pietà degno di ammirazione fu fatto per generoso dono del suddetto Ab <1) Addo Domioi 1258 ...praefatum ipsius gloriosissimum Corpus... secundo I flue Majnrum ad Iauueofem Civitatem honor abi liter deportatum.,., ad tanti Patris adventum catervatim concurrentibus Cbrietifldelibus Viri?, festi n eque etiam ruentibus innumerabilibus Januenefnm turbis praeeuntibus, et jucunde eubeCQUentibiie innumeris C’eriele, «t populi.*, cum luminibus, atque spiritualibus cauticis, rumina tum reverentia, devotioneque nimia, cum gaudio et immenso jubilo, Sacrum \ iri Dei Corpus, seu Reliquias ad Ect le iam ejusdem H, Stephani Monachi venerabiliter deposuerunt. Hietor. Monast. Jan. La Chiesa, il Priorato, la Commenda, eco. 185 bate, come ben si pare dalle parole, che leggonsi alla base di quel reliquiario: « Ioseph Antonius Blancherius Abba«», (l) Possiamo e per la verità vogliamo aggiungere che per la concessione di tale Reliquia contribuì molto anche il patrocinio del Cardinale Giovanni Battista Spinola, Camerlengo di Santa Chiesa. Altre Reliquie di S. Ampeglio sono conservate in Roma nella chiesa di S. Eligio, appartenente allTniversità dei fabbri-ferrai ed in Viterbo nella chiesa dei fabbri. Come la chiesa del Santo, anche il suo culto ebbe varie vicende. Dal tempo della sua morte ΓAnacoreta cominciò, come già si è veduto, ad essere venerato còme Santo ed in seguito come Protettore del luogo, specialmente dopo che quella popolazione si accrebbe per il fatto che il 2 settembre 1470 trentadue famiglie, nella chiesa di Borghetto S. Nicolò, con atto del notaro Corrubeo di Venti miglia, si obbligavano a costruire mura e case contigue ad esse nel luogo detto la Bordigliela, a spese comuni, entro due anni, rinnovando i loro patti con un secondo atto il 28 giugno dell’anno seguente. 12) Si celebravano ogni anno due feste, una il 1-1 maggio, anniversario della, traslazione a Genova del corpo del Santo, avvenuta nel 1258, L'altra il 5 ottobre, giorno della morte di Lui. Ancora nel 1703, per il fatto che IMI giugno di tale anno F Abate Giuseppe Antonio Biancheri, col patrocinio del Card. G- B. Spinola, aveva ottenuto dai Monaci Olivetani di Genova una reliquia del Santo, dall'ordinario questa era stata « approvata, così pure la facoltà al Clero di Bordighera di recitarne l'Officio e Messa li 5 ottobre, giorno della morte del Santo e li l-l maggio, giorno della translatione delle Sagre Reliquie dalla Bordighera nella città di Genova». (3) Da tale tempo in poi il Clero di Bordighera continuò a recitare l'uffizio ed a celebrare la Messa del Santo, finché qualcuno non espresse il dubbio, che ciò non fosse regolare, perchè contrario al Decreto della Sacra Congregazione dei liti, in data delFll agosto 1691, per cui si vietava di recitare Uffizio, o Messa per alcun Santo non compreso nel Martirologio romano. (1) D. Francesco Iiossi - Memorie sulla vita virtù e miracoli del Padre degli Anacoreti Sant'Amreglio, Protettore di Bordighera - Bordighera - tip. Giribaldi 1877 p. 4S-4ö. (2) Frederic Fitzroy Hamilton . Bordighera et la Ligurie occidentale Bordighera · chez l’auteur. 1883 pag. 100-105, dove il primo documento ò pubblicato per intero ed il secondo solo per la parte aggiunta. Veramente nel primo documento gli intervenuti ohe i ro-mettono di edificare un luogo nel territorio di Boidighctta sono trentuno. Sono invece tren tadue coloro rhe nell’anno seguente pattuiscono di ricostruire la villa di Bordighetta. (3) Questo ai lf’gge nella Supplica del Vescovo Clavarini ; ma veramente la Traslazione »!u Bordighera a Genova avvenne, conte si ò veduto, in due volte, a distanza di 118 anni anni l’una dall’altra ; nel 1140 da Bordigliem al Castello di S. Romolo e di qui a Genova nel 1259 186 Antonio Canepa Avvenne, quindi, che eon l'andare del tempo da alcuni ecclesiastici di Bordighera si cominciò a tralasciare per S. Ampeglio la recitazione dell't lìizio, senza però desistere dal celebrarne la Messa. 1er risolvere la difficoltà 11011 vi era altra via che quella di far intervenire la suprema Autorità della Santa Sede, e pei ciò il Clero e la popolazione di bordigliela, per mezzo del. Vescovo di Ventimiglia, Fr. Domenico Maria (lavarmi, inviavano una supplica alla Sacra Congregazione dei riti, per ottenerne 1111 Rescritto che stabilisse se si poteva continuare a celebrare, come in passato, le due feste del Santo e dichiarasse il 24 maggio festa di precetto del Patrono del luogo. Per tale oggetto si adunò il 10 settembre 1782 la Sacra Congregazione dei riti, ma, non essendo a quei Padri sembrate sufficienti le ragioni adette, la causa fu rinviata c nello stesso tempo si decise che dovesse essere interpellato il P. Promotore della fede. Passarono alcuni anni, durante i quali la Comunità ed il Clero di Bordigliela provvidero a procurarsi le opportune deposizioni scritte, che. per mezzo del Vescovo Clavarhii inviai0110 a Roma. Nella supplica il Vescovo aggiungeva tutte le notizie relative alla costruzione della chiesa avvenuta poco dopo la morte del Santo Anacoreta alla erezione di essa col Convento prima in Priorato benedettino, poi in Commenda per i Chierici regolari, alle visite dei Vescovi di Ventimiglia e. poiché non m poteva dimostrare a quale anno risalisse reiezione di S. Ampeglio a Patrono dei luogo, per che i documenti erano andati perduti durante la guerra del 102.), citò i passi degli scrittori di storia genovese e dei manoscritti, in cui il nome di S. Ampeglio era accompagnato dal titolo di Protettore. La supplica accompagnava i documenti «lei seguente contenuto. Filippo Lanzono, addetto alla custodia dei Registri delle Lettere Apostòliche, il 20 gennaio 1701. aveva rilasciato un certificato, in cui attestava che in quei Registri esistevano lettere riguardanti il Priorato di S. Ampeglio, scritte dai papi Alessandro \1, Paolo V e Gregorio XII1 Giovanni Lercari, Arcivescovo di Genova, il 2 marzo 1785 attestava che nel Panno 1258 era avvenuta la Traslazione del corpo di S. Ampeglio nella citta di Genova,(1)dove alPaltare eretto in onore di detto Santo, ogni anno, secondo il rito fissato, si celebravano le due feste del 11 inaggio e del 5 ottobre. 11 notaro Costanzo Agostino Xoaro attestava che sei individui, e tra essi i due ecclesiastici G. B. Piana e Giovanni Squarciafico, con giuramento avevano deposto che, essendo del luogo, avevano sempre veduto e sentito dire dai più vecchi del paese che ogni anno si celebravano in Bordighera le due feste del 11 maggio e del 5 ottobre. (1) Vedasi per questo la Nota 3 a pag. 185. La Chiesa, il Priorato, la Commenda, ecc. 187 Filippo Bongiaçci, Rettore della chiesa di S. Eligio deir Università dei fabbri ferrai in Roma, attestava che in quella chiesa esisteva un .altare dedicato a S. Ampeglio con una reliquia di questo racchiusa in un busto d'argento e che in onore di detto Santo si celebrava la festa ogni anno nella seconda domenica di ottobre. Il notaro Giuseppe Baliatico presentava copie autenticate da lui, con la firma di conferma del Vescovo, in data del i) agosto 1700. di cinque note manose ritta esistenti in due libri di conti, 1 uno della chiesa della Madonna della Rotta (è scritto anche Ποια) e 1 altro dell·Oratorio, e Confraternita di S. Bartolomeo. Di queste cinque note, riferentisi agli anni dal 1G11 al 1023, quattro portavano il nome di S. Ampeglio preceduto dalle parole: del nostro Protettore e la quinta dalle parole: del Protettore. L ultlimo documento era un atto di Costanzo Agostino Noaro notaro e cancelliere della Comunità di Bordighera, con la conferma del Vescovo in data del 10 febbraio 1785. Si diceva in e*>»so che, convocati dal Parroco Abate Gio Battista Baccini, i Rev.mi G. B. Piana, Gio. Sqiiarciatico, Giacomo Rossi, Giulio Giribaldi, Francesco Noaro, Giulio Corradi, Lene-detto Rainero e Francesco Rainero, rapinaseli tanti oltre i due terzi del Clero di Bordighera, attestavano che da tempo immemorabile Sant Ampeglio era riconosciuto e considerato come principale Piotettore di Bordighera ; ma, poiché non s/i era potuto trovare Fatto di tale elezione, confermavano ed a cau tela, per il caso che fosse necessario, nuovamente eleggevano il detto S. Ampelio in Protettore principale del luogo. 1 Padri della Sacra Congregazione, adunatisi di nuovo per definire la causa, prese in esame le ragioni addotte nel suo memoriale dall avv. Gerolamo Colmeta, veduti il discorso ed i documenti in viati dal Vescovo C’lava rini, considerate le osservazioni fatte per iscritto ed a voce dal P. Ershine, Promotore della fede, essendo Relatore il Card. Salviati, con Rescritto in data del i) aprile 1701, lirmato dal Prefetto Card. Archinti e dal Segretario D. Coppola, confermavano l’elezione di S. Ampeglio a Patrono principale di Bordighera e concedevano la recitazione delFUfBcio e la celebrazione della Messa dei Comuni Confessori non Pontefici col rito doppio di prima classe con ottava e con festa di precetto per il giorno 24 maggio e la recitazione delFUfllcio col rito doppio maggiore per ’1 5 ottobre. Così erano interamente appagati i voti del Vescovo di Ventimiglia e del Clero, delle Autorità e della popolazione di Bordighera Antonio Canepa L’ESTREMA VISIONE DEL MONDO IN PIETRO TAMBURINI Il giansenismo italiano, dall’ultima metà del settecento, attra verso la vita delle riforme e la varia vicenda di lotte suscitate in Italia, dalla politica del direttorio, del consolato e dell'impero francese, sino alla sistemazione degli stati italiani per opera della Santa Alleanza e oltre, ha avuto una vita esterna agitatissima, come agitatissimi sono stati quei tempi, a cominciare dal 1790 sino a un di presso al 1^20. È logico, che anche da questo punto d»i vista la vita dei nostri giansenisti abbia avuto una varia vicenda di ascensioni e di oscuramenti proprio a seconda dei vari tempi e delle varie situazioni politiche. Nato dal clima spirituale da cui è nata la politica delle riforme, come dimostreremo in un lavoro di prossima pubblicazione, il giansenismo italiano davanti all'immane Svolgimento politico culturale religioso della Rivoluzione francese^ si sentì di primo achito, come avulso dal suo humus nativo. Dai nuovi incalzanti avvenimenti politici, esso fu costretto a cambiare, non la centrale ispirazione religiosa che ri malleva sempre la stessa, ma forme e metodi di vita e di lotta- Da. qui incertezza e smarrimento in qualche giansenista minore; una ce*ta ansia diffusa in tutti. . È logico del resto: i grandi avvenimenti politici e culturali m quanto sono affermazione di nuove esigenze e di nuo\i \aioli non possono portare nella chiusa compostezza della storia che tuna menti e capovolgimenti. Ad ogni modo, ogni movimento storico come ogni uomo risolve i suoi problemi, concretamente, come può, valendosi solo naturalmente di quelle determinate condizioni che la storia a volta a volta presenta. . . . Così, se durante il periodo delle riforme i giansenisti appaien temente, come dimostreremo in altra sede, erano sembrati vestirsi .colle lucide livree dei principi, così ora col calar dei francesi in Italia solo apparentemente sembrano vestirsi alla giacobina. Il fatto è, come abbiamo detto, che essi cambiano solo i metodi di lotta, non la ragione della lotta che rimane sempre la stessa. Non bisogna poi credere d’altra parte, che col calar dei Frali Γ/estrema vistone del mondo in Pietro Tamburini 189 cesi in Italia il giansenismo sia stato sic et simpliciter, improvvi-samento fugato, come nebbia al sole. È vero ohe gli interessi della vita italiana furono violentemente trascinati, polarizzati quasi dai nuovi rivolgimenti verso nuovi interessi, e nuovi problemi. 11 giansenismo tuttavia, turbato, indebolito, se vogliamo, ma mai spento, continuò a vivere, forte e pugnace ancora, anche nei primi decenni del, secolo XIX e oltre. Se il Ricci infatti, dopo il fallimento delle riforme religiose e la rinunzia al vescovado di Pistoia e Prato, viveva in una remota solitudine, egli rimaneva pur sempre centro di vivaci relazioni e amicizie con gli antichi compagni di fede, come l'attesta il suo numeroso carteggio presso ΓArchivio di stato di Firenze. Ma quel che più conta, lo Zola e il Tamburini, dopo al 1800, essendosi riaperta la \ niversità di Pavia, vi venivano richiamati a insegnare, e il Tamburini vi teneva cattedra fino al 1817 di lilosofia morale, diritto naturale e pubblico con sola variazione d'i titolo. Furono frutto di questo insegnamento i sette volumetti di «Filosofia morale», che se non hanno quella importanza che si è loro voluta dare (*), occupano però nella produzione scientifica del. T. un posto di primo ordine. In quest’opera il vecchio giansenista guarda in faccia la nuova filosofia del Locke, dell'Hobbes, del Condorcet, del Rousseau, del Voltaire, la scruta, la studia, la viviseziona; polemizza, combatte; acuto, agile, sottile. Diresti che il suo mondo spirituale si è rischiarato, ed anche il suo stile si è fatto nella polemica, più leggero e suasivo. La sua concezione si allarga al contatto di queste nuove fedi ; si rin-gargliardisce, si tonifica, acquista maggiore consapevolezza e un tono più umano, ma rimane sempre fondamentalmente ancora la sua vecchia fede di giansenista. « Sento pure, diceva ai suoi giovani, che mi venga data un'altra accusa in un foglio periodico, che non è divenuto famoso che per la sua impudenza irreligiosa, immorale, impolitica. « Questo mi accusa di una soverchia timidezza, ed eccita la vigilanza del Governo a provvedere a questo mio difetto. Neppur saprei cosa dire ad una accusa si vaga ed indefinita. Io lascio a voi, o giovani cittadini che mi ascoltate, il decidere se io sia soverchiamente timido nelFesporvi i miei sentimenti. Che se mi dicono timido perchè io sappia arditamente negare alcune verità luminose, come, la esistenza di un essere supremo e la speranza di una vita avvenire, io confesso la mia timidità <* lascio a chi vuole si fatto ardimento, persuaso che riuscirà assai più utile a voi, alla Patria alla Nazione, al Governo questa mia timidità, che l’ardimento delti) A. Parisi, I riflessi del giansenismo nella letteratura italiana. Catania, Ed. Siciliana 1019, vol. I, p. 201 e segg. 190 Roteato Mazzetti Γ Ateismo corrompitore del buon costume, di ogni virtù e della solida prosperità delle nrzion: >κ I1) E combatte così, il Tamburini, il deismo, Γutilitarismo, 1 eudemonismo, ed afferma la necessità della esistenza di Dio, della sua ri velazione in una chiesa determinata e celebra l'assolutezza della divinità, θ la morale del disinteresse e deli-amore. Ora questa vitalità del giansenismo pavese è una caratteristica che bisogna tener ben presente quando si voglia capire adeguatamente il nostro giansenismo italiano. Messo a riposo con notificazione del 4 Aprile 1818 il Ύ. rimaneva professore emerito e direttore stabile della Facoltà politicolegale. Smesso l’insegnamento, il Tamburini consola la sua vecchiezza innoltrata, scrivendo dei versi. E nel 1824 egli ama pubblicare, dopo tante opere di pensiero di polemica, un libretto di versi. (2) Veramente egli aveva un altro impegno coll’editore. « Io debbo ascrivere alla buona opinione, confessava egli al Fer* rario, che avete delle meschine mie produzioni, la sollecita cura di rammentarmi ^obbligazione da me contratta col Pubblico di dare alla luce alcune riflessioni, che mi caddero dalla penna nel leggere il secondo tomo dell’opera· « Sulla indifferenza in materia di religione» de] signor abate De la Mennais, che atterrito dalle conv ulsioni intellettuali prodotte in gran parte dal troppo abuso della filosofia, fornito, com’egli è, di fervido ingegno e di vivace immaginazione, ha c reduto di purgare la casa coli incendiarla, e di sanat e le frutta col toglier l’albero dalle radici, intimando guerra ai sensi, al sentimento ed al raziocinio ». (3) Come aveva combattuto gli errori degli illuministi e materialisti francesi, così pure, il vecchio giansenista dotato di un vivo senso della· concretezza spirituale, riconosce ora i difetti anche dell’apologista cattolico De la Mennais. Π giansenista è spregiudicato, o meglio da una contuetudine diuturna di pensiero, dall’interno stesso della sua intuizione 1 eli* giosa si è formato una mentalità serena e tollerante, umana e liberale. e . Orbene, come si fa a ripaproverare di astrattismo rigoristico Γintuizione morale di un uomo, che muove al La Mennais così acuto rimprovero? « Voi mi rimproverate un tal obbligo, continua il Nostro, rivolgi) Op. cit. vol. I p. 182. (2) Cfr Saggio di alcune poesie composte oltre 1 ottantesimo mino oei-l'età sua dall’abate Don Pietro Tamburini - Milano, Vincenzo Ferrarlo 1821. 1824. (3) Op. cit. p. 3. L’estrema visione del mondo in Pietro Tamburini gendosi al suo editore, e vi aggiungerete anche la fiducia che concepiste di unirvi alcune poesie da me composte nel gelo dell'età mia avanzata oltre ranno ottantesimo, in occasione che i nipoti cd alcuni amici miei per rendere festivo il giorno mio natalizio, che fu il primo dell anno, introdussero il costume, che ancora si serba, di una piccola Arcadia domestica : e fu da quell’epoca, che in me, non so coinè, «üli trasfuse qualche scintilla di fuoco poetico, e si destò fuor di tempo il desiderio di verseggiare. « Ma venendo al proposito, sul quale voi mi ricercate, vi dirò che ho sospeso di trasmettervi le mie riflessioni sull·opera dell abate De La Mennais, avendo udito che egli lia di fresco pubblicato sullo stesso argomento qualche nuovo volume, clfio ancor non ho letto. Giova per altro sperare che PAutore francese protestando di cercare sinceramente la verità, dotato, com'egli è a dovizia eli talenti e di cognizioni, si ravveda dell’eccesso in cui forse pel soverchio zelo è* caduto, verificandosi spesso che gli uomini « ....dum vivant vtitia in contraria currunt ». Giova sperare, che egli conosca di combattere quasi ad ogni pagina se medesimo nel volersi difendere, e che dando il giusto valore alle espressioni talvolta esagerate di alcuni scrittori che ci dipingono la pur troppo notoria imbecillità dell’umana ragione, ringrazierà il Creatore di aver provveduto Puomo dei mezzi opportuni per conoscere la verità col lume naturale, e con quello dell'autorità». (l) Già in una operetta scritta proprio in quel torno di tempo sulla perfettibilità della umana natura, il Tamburini aveva sostenuto che il concetto di progresso elaborato da alcuni pensatori francesi, era insufficiente, perchè non teneva conto di tutta quella eredità di male e ili peccato che sra alla base della natura umana, così in questo Si*ritto, il Nostro, ubbidendo sempre a quel criterio dìi medietà che gli era così intimo, accenna alla «notoria imbecillità della natura umana» ma non si sofferma su questa posizione nè la spinge all'estremo perchè egli sa bene che il Creatore ha «provveduto Puomo dei mezzi opportuni per conoscere la verità col lume naturale, e con quello dell’autorità ». Or dunque, messo il pensiero di scrivere le sue osservazioni sul La Mennais.... egli si decide a pubblicare le sue poesie. « Sono queste nate al focolare, frutta agresti d’inverno, nelle ore solinghe che sopravanzano agli studi miei ordinari». (2) Come il Tamburini, anche il giansenista Puiati, che ha insegnato nelPCniversità di Padova, ama nella sua vecchiezza tentare le muse ,e scrive un poemetto in versi sulla solitudine e lo manda al Nostro, e il Nostro ingenuo e buono gli risponde a sua volta con una poesia. (1) Ivi pp. 3-4. (2) Ivi PP. 4-5 192 Roberto Mazzetti Ma non è questa dei vecchi giansenisti, vacua esercitazione accademica..... ma è rimembranza delle battaglie combattute, di g-or- ni di dolore e di trionfo, ed è sereno e ingenuo fervore di auspici novelli. L’antica, anima religiosa e ribelle, assopita dalla vecchiaia ed a volte dalla solitudine, ma non spenta affatto nè piegata, vibra ancora nascosta e leggera in questo dialogare pacato dell anima con se stessa, che prende forma rimata, ma non è in fondo che conversazione alla buona·, fatta per sè e per qualche breve cerchia di amici fedeli. Il tuo stile, scrive il T. al Tuiati, è pieno di quel sacro fuoco che i vati simboleggiando « .....fecer tìglio di profano nume » « E tu che fosti di sì raro dono fido custode e vigile cultore, grato alla man che te lo diede in cura sempre il volgesti a sostener del vero i sacri dritti in mille guise e mille: a che dunque stupir, se da te colto sempre il tenesti al fianco? Ed ei fedele ancor ti segua, e teco viva e muoia? ». (l) * * · Del Tamburini è assai nota una lunga poesia autobiografica stampata dal Rota nel Bollettino (iella società pavese di stona pa tria (Marzo 1908 pp. S2-110';- Veramente questa poesia era già stata pubblicata dal Γηηι i vini stesso, nel 1824, nello stesso faggio di alcune poesie, più volte citato. (2) . . , ,· Di più. anche il manoscritto autografo vero e proprio del 1 · loquio, come risulta da un facile confronto gi ti·* g 1 a grati del T. e questa composizione poetica, si trova presso 1 Air i vio deir Ateneo di Brescia. . , · Il soliloquio fu letto infatti dal Nostro proprio all Accademia Scientifico-Letteraria di Brescia. Questo spiega in parte anche il tono conversevole del caime. « Non vi sia grave clic lo stil seguendo che più s’addice all età mia senile, in rozzi versi io narri l’opre, li error e le vicende mie, e udir vi faccia alfine come quest’alma al suo partir ricino e seco stessa e col suo Dio si esprima ». (1) Ivi pp. 6-9. (2) Ofr. ivi i>p. 03 e soRg. L’estrema visione del mondo in Pietro Tamburini 193 Come mai, vi en fatto di chiedersi, il T. lesse questi versi a u n ’ Accademi a Seien ti fi co - letteraria ? La ragione è semplice. Egli ne era socio. Riproduciamo qui il diploma di nomina, ancora inedito. Brescia, 27 Febbraio 1809. Jl Presidente dell'Accademia Al Chiarissimo Sifj. Abate Pietro Tamburmi Signore Questa Accademia, istituita dal più puro zelo per l’avanzamento delle utili cognizioni, oltre d’uno scelto numero di soci attivi e corrispondenti, fu premuroso eziandio di arricchirsi di alcuni celebri soggetti dal cui nome risultar gliene dovesse gloria e decoro. Quindi contemplati avendo i meriti scientifici e letterari di (Lei, chiarissimo signor Abate, [»er cui ella onora la Patria ed una delle più insigni Università del Nostro Regno, I/Accademia stessa ha confermato col suo voto il giudizio già pronunciato dal pubblico dichiarandola per acclamazione suo Socio Onorario. Adempio colla massima compiacenza al dovere di porle questa ed approfitto di questo incontro per attestarle la piena mia stima e perfetta, considerazione. Il Presidente: Federico Penargli (l) Ora è da osservare che al Rota, pur sempre così profondo e acuto studioso di questioni giansenistiche, parve di sentire in questa poesia del vecchio giansenista una velata sconfessione degli antichi ideali. « Ma egli scrive a ottantanni — notava il Rota — mentre la vecchiaia che cerca i riposati silenzi gìi vieta di comprendere e di sentire, a lui non più uomo di partito e di battaglia, le bellezze delle lotte trascorse, negli anni giovenilmente pugnaci. «Lungi dal traine per se meritata lode, egli confessa a Dio le sue colpe e ne chiede perdono : una voce di pentimento è discesa nella sua anima ansiosa di ricongiungersi al principio di tutte le co cose da cui s’è partita. « Noi dunque non cercheremo in questa piccola autobiografia del Tamburini, la sostanza delle sue idealità passate, il programma genuino della sua età più fulgida, il colore della sua fede politica, l’oggetto dei suoi strali irosi « contro ogni dottrina fratesca, pratica semitica » (i). Ormai egli sente pietà e rispetto per chi aveva (1) Inedito prosso l’Archivio dell’Ateneo dì Brescia, vose* (EVwcolo - Prose, Voi. unico. Lemonnler 1550, p. 513). i‘>) La frase è «li tgo Foscolo che ebbe il T, collega dell’Università Pa- 194 Roberto Mazzetti mi giorno aggredito con tanta violenza ed acredine; non osa pensare di avere volontariamente combattuto i rappresentanti della suprema autorità della chiesa; gli fu ((ingiunto» di farlo; egli ha obbedito ». (i!) Ora è da osservare che il Rota lia avuto il torto di isolare il movi mento spirituale rappresentato in questa poesia, al di fuori della vita intima e totale del vecchio giansenista. 11 quale non scon fesso inai, neppure rrlatamvnte gli antichi ideali, c l'antica fede. Racconta il medico pavese Luigi Fen'ini nel suo diario patrio. « La settimana scorsa avendo Monsignor Vescovo sentito che 1 ii bi I, com’è, mi volse a danno L’età clie venne, e de’ miei voti a «corno Di fiele asperse il mio mortai soggiorno Con tutti i guai che in compagnia le stanno. Lottai gran tempo coll’avversa sorte, E, grazie a Dio, dal lungo e fier conflitto Ne uscii con alma coraggiosa' e forte; E appresi allor (e in cor mel serbo scritto) Che chi cammina per le vie non torte Può ben soffrir, ma non restar sconfitto ». (l) Ma non solo, il giansenista ha la serena coscienza di avere compiuto opera buona e grande. Egli ha lottato infatti sempre per il trionfo della verità, e la verità, perchè è una cosa solo con Dio, non può non trionfare. «Come il soffiar del vento onda con onda Incalza e desia un movimento all’acque, E il mar che prima quasi immobil giacque. Alto si leva e poi placido inonda ; Scuote così la letargia profonda ('he a un parto sol eoll’ignoranza nacque, Ergere al vero un’ara pura e monda. L’error lo guata : e per dispetto e rabbia infiamma i cori di furor di parte, E muove turbe col pensar discorde. Ma vince il vero alfin : si fa concorde De' sajjgi il voto, e mutolo in disparte I/error si morde per livor le labbia». (2) La storia è una continua vicenda di verità e di errore. Ma la verità in quanto è una cosa sola con Dio non può non avere ragione di tutti gli errori. In questo senso si esprime proprio un carme poetico del Tamburini da lui letto all·Ateneo di Brescia nel 1824, dal titolo: «La verità sempre combattuta e sempre trionfante». (’Ili esamini la poesia dal punto di vista del contenuto non trova in essa nulla di rimarchevole. Essa potrebbe parere tutt’al più una mal riuscita esercitazione accademica. Si tratteggia in essa a grandi linee la storia della verità e dell'errore dalla creazione del mondo fino alla rivoluzione francese. Lo sfondo è la stessa concezione della storia, di Agostino e di Bossuet. (]) Saggio «li alcune poesie op. cit, pag. 7. (2) Ivi pag. 31. 196 Roüküto Mazzetti Ma chi esamini la poesia, come va sempre esaminata, dal punto di vista della ispirazione che la sorregge o della forma, trova in essa un'interno calore per cui quella vicenda storica, tratteggiata con tanta deficienza di realizzazione artistica, assume però una viva significazione proprio dal tono informatore che tutto la pervade e la anima. Il concetto informatore della poesia, è questo : la storia è creazione di Dio. In essa la verità- viene sempre combattuta, ma per ehè la verità è opera di Dio, sempre essa continuamente si riafferma vittoriosa. Così il giansenismo è stato apparentemente vinto : ma esso per la legge della verità, non può rimanere tale. È questa rigorosa fede che scalda il petto al vegliardo. Egli può così morire sereno. Rorekto Mazzetti. LA VERITA’ SEMPRE COMBATTUTA E SEMPRE TRIONFANTE O Verità figlia del Sommo Nume Anzi coeva a Lui che nn esser solo Con lui tu formi, e senza lui sei nulla, Dov’eri allora; che una massa informe D'acque copria la faccia del gran vuoto E nel silenzio dell’immenso Caos Ti traevi sulFacque quasi a nuoto; Tu solitaria e di te stessa paga Chiudevi in sen degli esseri l'imago, E quelle forme originarie, e belle Eran l'oggetto della tua delizia. Pensier ti venne a tua bontà conforme Di trar dal sen di eternità lo specchio Delle bellezze che chiudevi in seno. Tu le pingesti perche fossero queste Di scala all'uom, onde salisse al vero. Di questa immensa macchina tu fosti L’Architetto Sovran, ebber le cose E vita e moto, ed ordine e figura Dal tuo soffio vital, il bel teatro De’ fasti tuoi, delle tue glorie apristi, all’uom, che uscì dalle tue mani perfetto. (1) Inedito presso l’Archivio dell’Ateneo di Brescia, La verità sempre combattuta e sempre trionfante E al chiaro raggio deir eterno lume, Che in lui rifulse, ravvisò in se stesso Di chi lo fece la divina imago. Candida e bella come liscia dal fonte Della bellezza e del candor più pura. L’uom s'invanì, e mentre si credea Ergersi in alto, precipitò nell'imo Abisso d'ignoranza, e della inopia; Nudo si vide, e per rossor si ascose Agli occhi tuoi, ed esule e rammingo Del suo delitto in pena in erme spiagge Ei fu sospinto a pungere dannato I magri buoi pel magro solco amaro Dei sudor del cultor e più del pianto, Che il peccator dagli occhi suoi spargea. Amabil Verità, e il cor ti punga Pietà di lui : misero errante e cieco Se noi soccorri, ove trovar può asilo? Grande è la colpa, onde macchiò se stesso, E seco avvolse la infelice stirpe; Dunque n'andrà la più bell’opra a terra, Che porta in fronte la tua bella imago, E menerà trionfo il rio serpente, Primo motor della fatai caduta, Di cui sta scritto eh'esser debba il capo Dal piè schiacciato dalla donna, forte? Ah tu che il ciel purissima risiedi Scevra d’ogni ombra che il candor oscuri, Deh ! fa che torni dal commi nemico L'inganno a vuoto, e del prim’iiom ristora E di sua stirpe le sciagure, e i danni. Ma già ti veggo da pietà, commossa DeU'uom aitili, e già rammingo il siegui. E gli rammenti le divine leggi Ch’egli ascoltò dalla tua bocca in Eden Onde le serbi, e qual ricco tesoro Trasmetta ai tigli, ed ai nipoti, e cerchi Di ravvivar qualche scintilla almeno Di quel lume divin, che in lui rimase Languido, si, ma non estinto ancora. Oh Dio! qual fu delle tue cure il frutto? Crebbero i germi delPumana schiatta ; Crebber con essi li vizi empi e rei. Neglette fur le vie del retto, e Dio Si l’è Pnom di se stesso; e Dei si finse Simile a lui, o alle create cose 198 Pietro Tamburini Divinizzando le corrotte, e queste Cupidigie del cor, ed ara alzando A vani spetri, a simulacri infami. Tu gridi invan, invan ti sforzi, invano I/ira minacci, che gli sta sul capo Ira divina de' suoi falli ultrice. Si beffa l’empio dei tuoi detti, e i pochi Che a te fidi servasti, ormai già sono Del popolo »infedel ludribio, e scorno ; Il vizio innonda; argin non v’ha che il freni Ma al ciel pervenne delle colpe il lezzo Che armò di sdegno il vindice Supremo, ('he aprì del ciel le cateratte, e schiuse Ampi torrenti ad innondar la terra. Onde purgarla dalle ree sozzurre. L'acqua soverchia le più ulte cime Delle montagne, e i miseri mortali Qua e là fuggiaschi in ogni parte affoga. Sola si vede a galleggiar sull'acque Libera, e sciolta, e d’ogni rischio immune L’arca felice a cenni tuoi costrutta Del buon Xoemo, onde serbar il germe Degli Esseri viventi, e dar l'imago D'Arca più grande, che varcar dovea Ne’ dì futuri un mar più grande, e al fido Condili* gli eletti. Ma tu fuggi intanto Iiisiem col Giusto e co' tuoi lidi a canto E lascfi il mondo abbandonato, e solo. Ma già purgata dal fetor la terra Delle sue colpe, tu ritorni a noi, O Divin Spirito, ed al mortai ricordi Le vie del retto, e qual si debba a Dio Verace ('ulto, o per fedel custode Delle tue leggi un popolo ti scegli E Ί leghi al ceppo dell'annoso Abramo, B a lui prometti, ed a nipoti suoi l’bertose campagne, ampie provincie, E popoli sommessi, e glorie, e regno. E ben gli serbi la giurata fede O nel contrast«» con la magic arte Dinnanzi al He d'Egitto, o nel passaggio portentoso del mar, o nel deserto Dove lo mitri con celeste cibo, E lo disseti con purissinfonda die fai sorgere da dura rupe alpestre E lo diffondi dai cocenti rai t/Λ VERITÀ SEMPRS COMBATTUTA E SEMPRE TRIONFANTE 199 Con benefica nube, e con colonna ili fuoco Sgombri il tetro orror di notte. Duce gli dai, che il popol rozzo addestri A più miti costumi, a più bell’opre, E affidi! a lui l’arca del Dio vivente, Terror degli empi, e d’Israel presidio. Già teco vince il popol tuo; l’inerme Braccio di un Pastorei Gigante atterra Di forza immane, e al suon delle tue trombe Cadono al suolo le nemiche mura ; E in mezzo al corso il sol si arresta e tinto Di sangue vede la terribil strage De' tuoi nemici, ed or già tutto cede al valor De’ tuoi: tutto cospira Alla conquista : il popolo festivo Varca, il Giordano, ed al novello aspetto Del bel paese e della preziosa Eredità, che fu promessa a Giuda, Esulta e gode, e alza inni di laude Al vero Dio, e sulle cetre d’oro Cantano i Vati, e le Donzelle Ebree Le molte imprese degli illustri Eroi. E tu frattanto, che del popol reggi Il freno, adatti Magistrati, eleggi, E tempio, e culto, e ai Be di Guida il trono, E lo circondi di splendor si vivo Che in ogn'i parte alto risuona il nome Del gran Dio d Israel colto, e temuto. Vincesti aitili, amabil Diva ,e in terra Piantasti il culto al vero Dio: ma quali Fur le tue cure, e delle cure il frutto? Oh! Quante volte oh! quante un giusto sdegno Ti armò la destra a castigar le ingiurie. Le fellonie della gente ingrata 11 tuo Mosè, quando pendea dal monte, Del sacro fuoco, onde l’empisti, ardea ; Ed all'aspetto del Vitello d'oro Al suol gittò le tavole di pietra Ov’eran scritte le divine leggi; E alzando il braccio rovesciò, distrusse I/idolo infame, e l'idolatri insieme. Chi poi non sà le diffidenze, e Fonte, La fè violata al sommo Nume, il culto Prostituito a Deità profane, E spesso lordo il Sacerdozio, e il trono. Pietro Tamburini Allor si udia. la tua potente voce In sen destar ai sacri Vati il fuoco, Clie in riva al bel Giordan piangean dolenti Della bella Scioline i tristi casi, E de’ suoi figli i forti e duri ceppi, Ond’eran stretti da stranier nemico, Eseçutor della giustizia Ultrice. Ma tu qual madre, clie i diletti figli Colla sferza atterisce, e non persegui Che per chiamarli sulle vie del retto, Del pentito Israel al pianto, ai lai Porgevi orecchio, e il duro giogo infranto Onde oppressa l’aveva Tempia Iabele La ritornasti alla region di Àbramo, Ov'ebbe un regno per molt’anni illustre A te di gloria, ad Israel si caro, . Ma ohimè qual nube mi si para innanzi Che tutta copre di caligin nera La Città Santa e «il bel sereno oscura? Oh! Verità, come riescon vani Per mal opra dell’uom i tuoi disegni Di benedir la sventurata prole Dell’infelice Adam, di trar dai lombi Del Padre dei viventi il Giusto, il Santo Che richiamando la giustizia in terra Pacificasse con la terra il cielo E qui formasse degli eletti il corpo Per costruir l’alma Sion celeste, Città beata, permanente, eterna Cura e delizia della Fe’ de* Giusti. Ma tu velavi così gran mistero Sott’ombre varie, e con figure adatte Simboleggiando cogli umani eventi, Che predissero i Vati al popol Santo, De futuri il destin ; perchè l’Ebreo Come in uno specchio ravvisar potesse Il nuovo Regno ad Israel promesso. Ma curvo l’uom verso la terra, ed ebro Di folle amor per le caduche cose Pieno di falso, e di superbia insana Smarrì lo spirto delle sucre carte. E alla corteccia lusinghiera inteso Perde di vista il figurato ancora, E vi rispose un Duce invitto d’armi Conquistato!· de’ popoli, e de* Regi. La VERITÀ SEMPRE COMBATTUTA E SEMPRE TRIONFANTE 201 Ma tu dal ciel, o Verità eterna Vedi l’inganno, e da pietà commossa Vesti quaggiù le nostre spoglie, e fatta Carne non sdegni di abitar fra noi: Spiegando il senso sotto l’ombre ascoso E combinando i vaticinj e i fatti Empi di te, del tuo saper, de’ tuoi Alti prodigi la Giudea, che lieta Accolse il germe di Davide, e il nuovo Re d’Israel alto gridando : OSANNA. Ma fu breve il trionfo. Oh Dio! qual scena Or s'offre agli occhi miei! per le contrade Della bella Sionne odo il rimbombo Di caldi voti, e di festive grida A lui, che è vita, veritade, e via, E se al vicino monte il guardo io volgo Fra le bestemmie, fra l’insulti, e Tonte La Veritade crocifissa io miro. Ah tu gran Dio! mostri così che sono Le vicende dell’uom in tuo potere Che reggi e muovi a tuo piacer li spirti E tutto volgi, le mal opre Ostesse Che son dell’uom agli altri tuoi disegni. Il Deicidio sulla croce appese La vittima sì cara al Divin Padre Espiatrice del comun delitto. Vinci così la colpa colla colpa, E della morte col morir trionfi. Frema pur essa. Ecco di morte a scorno Novel trionfo inusitato, e strano. Dal muto sasso tu risorgi a vita, Vita novella, ed immortai : si scuote Al gran prodigio la natura, ed al suolo Cadono i tuoi custodi, e trionfante Apri le tombe degli antichi Giusti, Che n'escon fuor come primizie, e pegni Del futuro destin, che un dì ci aspetta. Tu intanto aduni come buon pastore Le pecore disperse, e insiem raccolte Le conforti, le infiammi alla grand'opra E scender fai dal sen del Padre il Santo Spirto Divin, rinnovator de' cori Che in nuova forma d'infuocate lingue Spande una. pioggia di celeste fuoco. Che i cuori incende, e ognun dei tuoi qual face Arde ed avvampa, e da propizio vento 202 Pietro Tamburini Mossa si sparge si dilata e scorre I vari campi del terrestre globo, E ovunque abbraccia, dumi sterpi e spine E li feconda con mirabil arte Di nuovi germi, che curati, e colti Dan bionde spighe da riporsi in serbo. Ecco quel campo che pianto il Signore Ecco la Chiesa, la Sion novella Sulle rovine dell’antùca alzarsi, E dominar dall’uno all’altro polo. Cantino i Vati i tuoi prodigi, Esulti il mondo pien dellopre, e frema Di rabbia Averno, che si sforza invano D’arrestar colle stragi i tuoi trionfi. Veda dal sangue a germogliar gli Eroi, E te rimiri di regale alloro Cinta seder de1 miti ulivi alTombra, 0 regina dei cor: i tuoi nemici Ti son scabello, e nobile corona Ti fanno i regi, <* quanto v'ha nel mondo Di sapere, di virtù ti rende omaggio. Ma ohimè! che veggio dalle Stiglie sponde Uscir di varie forme orribil mostro. Che or minaccioso onde atterir gli imbelli Spira dagli occhi ira feroce, e tosco, Ora con arti lusinghiere e tinte Si accosta al trono onde adescar con 1 amo Della Terra i Potenti; esso è ministro Del furor di Cocito, e tonta andare A rovesciar dai fondamenti l’opra Che tu innalzasti, ed empio a te contende La tua nascita eterna, il culto, il nome Di vero Dio, e tanto Tempio ardisce In faccia al lume che dovunque splende Dellopre tue si sfavillante, e vivo» Ma in Ciel sta scritto, che perenne pugna Sia la vita mortai, e che i trionfi Costino alTuom, perchè il fedele apprezzi La Verità, che si combatte, e impari Ad apprezzar della vittima il dono. Che molto non apprezza, e non isti ma Chi provato non ha la guerra prima. Vedi qual fede animativa infiammi 1 cor dei Sacri Venerandi Padri Che raccolti in Xicea vindici furo La verità sempre combattuta e sempre trionfante De’ dritti tuoi ^e con eterna nota Sparser d’infamia la perfidia Ariana, Che avea di sè quasi riempito il mondo. Che si stupì, quando si vidde Ariano. Più bella parve allor la Fe* di (’risto E fece il mostro, onde partì, ritorno; Ma qui lasciò gli aliti suoi fetenti E di se stesso le relique sparte Che poi riunite con novella forma Mosser nuova guerra al Cristo intero. Che dividendo quel divin composto In due persone, come c in due nature Il Dio fatt'uomo, e l'uomo Dio ci tolse. Aspra fu la battaglia, e v’ebber parte vari Pastori d’inclite sedi illustri. L’error che ebbe in Bisanzio i suoi natali Si rese ardito, e valicando i mari Per l'occidente si diffuse. Il grido Alzò la fede ed al sonoro squillo Correr gli atleti della Fe' Cristiana, E scontisser Terror, e vindicaro L’onor del figlio e della Vergine Madre. All’Efesino Oracolo fe’ plauso La Chiesa tutta, e tale fu l’orrore Che nacque poi dall’esacrato dogma, Che d esso appunto con sortii inganno Se ne servì dopo com’è il nemico Per spinger molti da Cariddi in Siila, Dalla unità della persona a quella Della natura, deificando l'uomo 0 figgendo delTuom vane apparenze; Onde poi nacque altro pensici* che pose (Spogliato Tuoni delle natie sue doli) Γη sol voler un sol principio in ('risto. Parve l’idea di te più degna, e piacque A molti, e inviluppò Pastori e regi E anche il primo dei Pastori illuse. Arse la pugna, e fu diuturna e grande Cui per sedare uscì dal regio trono O per favor di parte, o amor di pace Legge, che impose al disputar silenzio, E si 1’error pose a Uvei col vero. Ma non soffristi tu, che intatto e scevro d'ogni ombra serbi quel divin tesoro Di verità, che ti fe' noto il Padre 204 Pietro Tamburini Tu non fai tregua coll’error, ma eterna Guerra gli giuri. Ecco gli atleti tuoi Pieni di ardor, clie tu nel cor gli ispiri Sorgere invitti, e nel pensar concordi Fulmin vibrar che atterra, e forte strugge E serba illesi, e immacolati i dritti Del Dio fatt'uomo, delPuomo-Dio che è Cristo. A te sia laude o della mente Eterna Eterno tiglio, e tuo esulti, e goda De’ pacifici olivi alla bell’ombra Di tue vittorie, e de’ trionfi tuoi Esulti e goda la diletta sposa. Ma spera invan lungo riposo, e ferma In questo esilio, di dolore albergo. Altro mostro vegg io dalla sua tana Uscir con lento passo e di soppiatto Ch’era coi princi in amistà congiunto E nel pensar confederato insieme, Ma che atterrito delle lor sconfitte Or non ardisce di assalir di fronte 11 Cristo, Punto del Signor, ma scaltro Lambisce intorno sopra l'erbe, e i fiori Si sparge il bosco, inaridisce o toglie Il rugiadoso umor, e Tali mento Che lor da vita qual pestifer angue Col soffio rio guasta, corrompe, estingue. Questo è quel bosco, che il commi nemico Sparge nel cuor dell’uomo, che l’uom inebria Delle sue forze, onde robusto, e sano Del ben capace, ed arbitro, e Signore Del suo destin si crede, e ingrato sprezza La Medicina e il Medico con es&a, Trovò Γerror nel cor deU’uom superbo, Che non conosce l’umiltà del core, Forte presidio, e (vn mille arti, e modi Seppe coprir se stesso e spesso ancora La vigilanza de’ Pastor deluse ; Ma non deluse, amabil Spirto eterno, Delle promesse tue la fé’ giurata, Che alfin Γerror, sia pure ardito, e destro Romper si debba sulTimmobil pietra. Ecco la voce del Pastor d'Ippona, Che armasti tu di un invincibil fede Ch’alto si leva, e udir si fa pel Tebro La verità sempre combattuta e sempre trionfante 205 E col rimbombo alla battaglia· invita Quanti vi sono dall’Occidente a-lP Orto Fidi Pastor che dan concordi il colpo Mortai all’idra, che trafitta freme E si contorce invano, nè di sè lascia Che alito impuro da purgar col tempo. Ecco l’errore a piè tuoi sconfitto; Frema l’orgoglio, che contrasta a Dio I Dritti suoi, e alla virtù rapisce II vero merto ; ed al fedel la ferma Ancora fida della sua salute. Or tu riposa sui sudati allori Dei Duc/i tuoi, candida sposa eletta Ti fa sicura l’infrangibil scudo Con cui ti copre PimmutabiJ. vero. Ma pensa ancor, che quel comun nemico Che ti ha giurato una perenne guerra Sinché non godi eterna pace in Cielo, Volger saprà destro conTè la pace A danni tuoi col surrogar alParmi Occulte insidie, e seminar zizania Ne i campi del Signore. Il gran Primato, Che spinge in Roma il processor dii Pietro, E forma il centro di unità, di pace, Desta nel cor del Patriarca Greco Invidia ed ira. Se frapon discordia Colle sue faci e più la lite accende Fra cor dal tarlo già corrosi, e guasti Degli odi antichi. Dal furor sospinto Di cieca ambizion si stacca il Greco Dal Romano Pastor : arpia pretesti, Vuoi la fede di Piero, ov’era il trono; Con sacrilego ardir i dritti usurpa Del legittimo erede, e qual profano, E adultero pastor da se discaccia E dalla Chiesa il suo fratei maggiore. Orribil colpo, che straziò la· veste Incorruttibil delTaugusta Sposa Di Gesù Cristo, Anime Sante, e pure Che fede uni, e nodo fermo avvinse Di amor fraterno, che formaste un giorno Colla concordia delle Chiese unite La si temuta inespuguabil zona Contro Terror, e la discordia insana Pregate Iddio, che alfin si atterri il muro Pietro Tamburini ('lie le sorelle fra (li lor divide. Pura è la fede, i sacramenti, il culto. Non manca ormai, che l'umiltà del core, • 'lie riconosca de*' Pastori il primo. O verità, che tanto puoi sull'uomo. Vibra i tuoi rai, e fa che veggia almeno 11 torto suo che ti combatte, o sprezza. Ma già ti miro sulle Etnische sponde Sollecita adunar Pastori, e Gregge, Greci, e Latini, e l’imperial corone: Tu vi presiedi, e reggi il gran congresso Co' lumi tuoi, le diffidenze, i dubbi Togli, rischiari, ed il primato chiedi Del Gran Pastor ne’ giusti suoi confini. In pace ispiri ed all'occaso all’orto La Chiesa esulta, ed al suo trionfo applaude. Pera colui, che a lumi tuoi ribelli Reduce ai Patrj Lari ingrato, e folle Pensò turbar la tua bell'opra·, e seco .Molti sviò, che propagar di nuovo Gl'infausti semi dell’antico scisma, 0 quanto sono tremendi i tuoi Giudici ! Tu li abbandoni al cieco loro orgoglio, E li abbandoni come rei di colpa Per la violata fratellanza. Adoro 1 tuoi Decreti, ma pietà ti tocchi l>i quell'immenso popolo d'idioti Che hanno la fede, i sacramenti, il culto Iti Gesù Cristo, (> nulla sa» di scisma. La Chiesa intanto sii tranquilla, e gode Interna pace, e piange sol lo strazio Che fa de’ figli suoi, il mortai soffio Della discordia, e dell'orgoglio insano. E tu ti muovi, o verità, dall alto Della colomba ai genitori, e le dai I»elle perdite sue pronto ristoro Coll'acquistar nelle remote parti Del nostro globo nuovi figli a Cristo. Vide Cocito i nuovi germi, e n'ebbe Ira, e dolor, e pensò scaltro al modo Di soffocarli al nascer loro, c sparse Quindi nel cor degli Ospiti novelli Cieca ambizion, e sete d oro ardente, Che poi finì nella efusion - del pugno, La verità sempre combattuta e sempre trionfante E nello (spoglio delle lor miiiieie, E nel Podio mortai dei suoi Eroi, Ma vinse alfin la forza, e il vero eterno Che fa volgere al ben il mal dell’uomo, Seppe le menti a verità restie Volger col tempo a volontario omaggio, ('he si diffuse ne1 nipoti e crebbe Sì, che or risuona fra selvaggi il nome Di Cristo, ed il culto si propaga e spande. Nacque così la Peli giva nel Norte Fra li Γηηΐ, i Svevi e i Bulgari feroci ColParmi al fianco, e col timor di morte Su questi modi religion piangea (’he vinse con la croce, e non col ferro, Di preparar così d’Averno a scorno E tu tessevi in ciel l'alto disegno Alla fede di ('risto i suoi natali. Era quel tempo in cui la forza sola Fermava il dritto, e la ragion del dritto, Che aperse il campo ai cavalier erranti Alle crociate ai prischi Eroi. Le scuole Eran mute, o 11011 si udia che il nome Del Peri pa to o delle ciance il grido, Cura, e delizia d'intelletti infermi. Erano divisi i principati, e i regni, E più divisi erano i cor, li affetti, L'interessi, i voler; onde perenni Kran li odi e le pugne, e lacerata Era 1Ίtalia da' suoi figli, e spesso Straziata ancor da peregrine spada. Ella gemeva e volta al Tebro, ov'era Lume di scienza, di potere, e d arti Dal Romano Pastor chiedea soccorso; E riparo al suo mal da lui sperava. Ma vide Roma che a frenar tant'ire Non bastava il poter, che avea da Cristo Sulla vita avvenir. Si offrì un mercante Di spurie cartes e di mentiti numi. Che per inopia della critic’arte Quella credula età tenea per veri. Su queste basi il Vaticano estese Il suo poter, compenetrò in se stesso Tratta la Chiesa, ed arbitro si rese Del temporal dei Re, del lor destino. Pietro Tamburini Questo poter del successor di Pietro Potè por freno alle discordie, ai guai, E se non altro declinar dal peggio Che minacciava quella età di ferro. Vide il nemico il ben che trasse Iddio DalPimpostura e Ί tollerò pensando Che un dì potesse colle furie a lato Nella Chiesa eccitar fatale incendio. Ma non si avvide, che tu in ciel sedevi Del Padre a lato, o Verità Eterna, Vigil custode della Sposa· eletta E che la folle Monarchia sognata Cader doveva di Costanza in riva, E sulla penna aver dovea la tomba. Ma spenta appena una battaglia.· ordisce Altra più fiera, e pertinace assai Il nemico comun. Sì lo dilania Altro furor contro la Chiesa e Cristo. Nell'affuenza de’ piaceli, de’ beni Che la Chiesa godea, pose il nemico Occulte mine, che sappiano al danno Del buon costume, o per sedurre il gregge Guastò il cor de’ Pastori, onde si vide Presto dal mondo ogni virtù sbandita ; E Roma stessa de’ vizi empi, e rei Sentì l’influsso, e dalla mole oppressa De’ mali suoi non sapra poi riparo, O rimedio ponea peggior del male. Sorse il pensier di arruolare a (.risto Nuove milizie a ristorare inteso Della bella Sionne i danni, e Ponte, Alme vestite di cilicio, e sano L'ire a placar del Giudice supremo Per le colpe dell’uom ; oltre a nutrire Con buoni paschi la pietà Cristiana Da coltivar utili studi, ed arti O ad oppugnar le novità profane Fu di ristoro della Chiesa ai mali Il pio pensier e molti Eroi produsse Di cui ci è cara la memoria ancora. Ma quel nemico, che giammai non cessa Dal far la guerra, seminò zizania Fra quelle truppe e le divise in sette, Le fè rivali, e a litigar propense. Vi sparse ancor della mollezza i semi, La verità sempre combattuta e sempre trionfante L'amor dell’ozio, del piacer, del lusso Che il sacro ardore dei nipoti estinse Che divergendo dall’origin loro Divenner poi d’inutil peso al gregge. Allora fu, ohe il Principe (ΓAverno Coll’esercito suo si mosse armato A dar l’assalto alla città di Dio, Che da una parte diroccata, e guasta A lui parea, e sprovveduta, e inerme^ Vedea dall’altro, e per destar all'armi I satelliti suoi, e aggiunger fede A sue parole, di Ministro Sacro Le spoglie veste, e ormai si scuote Ei grida, Dell’empia Babilonia il duro giogo, Sede di vizi, ond’è la chiesa infetta, Ove son guasti i sacramenti, il culto. Sostituito il sacrificio augusto, E le indulgenze profanate o compre, E messe a sorte di Gesù le spoglie Per interesse o per trastullo, e gioco. Desta un tal grido nella C hiesa il pianto. Che vede le sue piaghe acerbe, e gravi, E ne sospira il salutar rimedio Ma vede ancor che dal mentito zelo Che va' sciamando libertà riforma Se si minaccia più terribil strazio. Si scuote il Tebro dal letargo, ed efcce Dal Vaticano ai novatori inviso Fui.min che striscia, e fa maggior incendio. Avvampali l’ire, e già rimbomba il fischio Di ribellioni e da furor compresi Partono i figli dell’augusta madre. Ah dove gite, o miei fratelli erranti? Qual vi prende follìa: questa è la casa Che il Signor fabbricò : questa è la nave Destinata a solcar l’onde del mare Sotto la scorta di nocchiere esperto. Dove si sveglia de’ suoi figli al grido Cristo, che dorme e pone freno ai venti, E con un cenno calma l’onde irate. Se dalla nave -uscite, il mar vi affoga, 0 in navicelle separate inermi Qua e là vi sperde il variar dei venti E vi porta ne' scogli, o in erme spiagge Disperati a. perir d'inopia e fame 210 Pietro Tamburini Ali ! State fermi nella nave, e unite L’opra vostra alla comun salvezza. Se insorgon liti, la unità s’implori, E finché giunga amor vi annodi insieme. Ma spargo invano le parole, i voti. L’error si spande in ogni parte, e cresce Dell'impostura e de’ potenti all’ombra ; E va superbo de’ trionfi suoi Scorrendo i Regni della bella (Europa. Ah dove sei o Verità eterna? V,edi il periglio della Sposa eletta ; Avvalora i suoi sforzi ; e se sta scritto Di castigar ne’ figli suoi la madre ; Fa che 1’error resti sconfìtto, e splenda Intatto al mondo il sacro tuo vessillo. Ma tu non manchi alla giurata fede: Miro a tuoi pie' già Γeresia sconfitta dal mortai colpo contro lei vibrato Dal concorde voler dei duci tuoi Del bell’Adige in riva a cui fan plauso Le chiese tutte in una fe’ congiunte. Coll’opre loro i più profondi ingegni. Roma si veste di letizia, ed il Clero Si ricompone a miglior forma e il gregge Fatto festivo per le savie leggi Esulta, e gode della speme ancora I)e’ più bei giorni. Ah compi al fin gran Diva 11 tuo trionfo: alla unità richiama I fuggiaschi fratelli e tu che il puoi, Sementi illustra, e colla grazia estingui II genitor delle varie sette L’orgoglio uman, e fa’ com’uno è il Cristo Ch'uno il Pastor pur sia, l’ovil, la fede. Ma sento voce che all orecchio intuona Lontana è ancor di sì bel dì l’aurora Nè sorgerà, che dopo oscuro nembo Di tempeste, e di guai, che quasi aperta La navicella rimarrà dai flutti. Già l’inimico da più lati spinge Ad assalirla furiosi venti. Ah Dio ! qual scena mi presenti agli occhi Scena di lutto, e di dolore acerbo! Vedo sul lido delTIbero un angue Che va’ strisciando, e raccogliendo i semi La verità sempre combattuta e sempre trionfante Della lue Pelagiana, e li assotiglia E con fin arte li dispone, e forma Non men fatale, ma più sottil veleno, Velen che l’uom delle sue forze inebria, E di se stesso lo fa· gonfio e altero; Ma poiché sente di sue forze il vuoto Nel difficil cammin di nostra vita Egli è costretto ad ammolir la legge Per adattarla alla fralezza umana. Così divenne la moral di Cristo Del capriccio delFuom trastullo, e gioco. E si fe’ Tuoni come del suo destino Arbitro ancor della legge stessa ; E da qui nacque quel novel Vangelo Della umana ragion obbrorio eterno, Di cui si valse la empietà per arma Cade oppugnar la Religione, la Fede. E facil era l’ingerir disprezzo Di mostro tal, che aveva si brute forme, Spurio com’era, surrogato al vero, E sostenuto dal furor di parte Ricca d’ingegni, di potenza ed arte. Intanto un nembo di libelli infami Copria l'Europa, e religion piangea Da doppio lato combattuta, e scossa. Ma s'alza il grido della fede, e s'ode Alto lamento sulla Senna, e Schelda Che li propaga, e muovon già le squadre Per abbatter Terror. Ma si sospende La marcia ancor per il timor del peggio; E volti gli occhi alla Città Latina Da lei si aspetta il salutar riparo. Si vibran fulmin da più lati, e Roma Cerca di porre al gran torrente un freno Svelle più rami della pianta infesta Ma non osa toccar la rea radice. La trattiene pietà, timor Tarresta Di accrescer forza alle discordi sette Ancor fumanti di furore, e d'odio Con nuovi scismi, e ai figli suoi men fermi Di aprire un campo di perigli, e lacci. Stava dunque al ciel Terrore col vero? E dov’è dunque la lucerna ardente Che nella Casa del Signor risplende? Ah non temer ! Alza lo sguardo e mira 1X2 Pietro Tamburini Sul monte eccelso la città di Dio Cinta di luce che rischiara- il mondo, Sede del vero, e della Fe’ custode, Che in sen contiene e pe' suoi fidi insegna iLa Verità che le fe·' note il Verbo : Là troverai la Verità che cerchi, Ove son tutte e non vi son che in lei. Che se la vedi annuvolata, e fosca Per liti insorte come avvien di spesso Per prova ai buoni, e per castigo agli empi Raddoppia i voti, e colle preci il grido, Gesù Cristo si svegli, e ponga line De’ flutti all’ira, ed al furor de' venti. Tu intanto attienti a quella fe’ comune A quella ch’era della lite prima Giacché Terror è posteriore al vero E aspetta unii 1 co’ tuoi fratelli in pace Della unità Tirrefragabil voto. Ma il ciel ti guardi dalla fine astuzia ('he usa il nemico per distrai’ dal vero Le menti umane. Inorridì la Fede Del Fatalismo alla crudel Dottrina, Che si volea nel Calvinismo espressa·. Accrebbe l’odio la superba setta Che largamente aveva steso radici Nel campo della Chiesa, e sì Tacerebbe Che in ogni detto di veder credea Cieco destin, di libertà l’eccidio. Nel vivo ardor di assotigliar li errori Eran d’inciampo alTanime fedeli Le frasi stesse di comun linguaggio Che di vario color solean vestirsi. Accorse il Tebro, e de’ suoi dritti usando Altre dannò come di errore infette, Altre dannò come sospette, e dubbie. Ma dell'inciampo che levar pretese Roma, si valse il perfido nemico Per seminar fra li Pastor zizania Per finger maghi e crear fantasmi Di error, di prismi, di eresie. Con questi Vani spettri impaurì Pastori e Regi. Si mosse guerra, ed al furor di parte S’immolarono più vittime innocenti. E piange ancor dolenti sulla terra De* suoi più cari il più bel fior perduto La verità sempre combattuta e sempre trionfante 213 La Religion. Xe1 fu minor lo strazio In altre piarti, ove il nemico sparse Sotto specie di zel la voglia insana D’impoverir de’ ligli suoi In Chiesa. Ma stanco il Mondo di litigi e stragi Che mal intesa Religion movea Preso da noia amò la pace, e quindi Al secolo dell’ombre e di fantasmi Della indolenza il secolo successe, Che ben sapea lo scaltro che la lotta Nell'estremo fervor non suol durare E che esaurito il suo ca-lor primiero Suol ricadere nell/opposto estremo, Ei quindi nutre quel pensier di pace Lusinghiero pensier ch'ei poi concesse In vii torpor, in indolenza, in spregio Di nostra Fede, e mentre guerra aperta Osa intimar a Religione, al Trono, Occulte mine scava, e tende insidie Alla Sposa di (‘risto. Ei già la vede Dal Genio oppressa, indebolita, inferma Per le battaglie che sostien dagli empi E per languor de' suoi. Tempra il rigore Delle sue leggi, e la mollezza infonde E mentre serba di pietà, di culto Una vernice, l'interior midollo Snerva, distrugge e per timor d'urtare Col cor dell’uomo, la verità istessa Spoglia del dardo che ferisce, e sana. Occulta il male e lo converte in bene. Finge di odiar le dispute, ed adatta La fede al genio, ed al costume, e forma Di varie scuole un mal composto ovile, E d’ogni error la tolleranza inspira Tal era un dì pria di cader Sìonne. Così disarma di vigor, di forzali rio nemico di Gesù la Sposa, Così si trova col suo picciol gregge Al gran Cimento, ov'ei F aspetta inerme. Ah Dio! o quante forme, e quante Veste costui per assalir la Chiesa. Nuovo mostro vegg’io orribil, tiero Più ch'altro mai, che si contorce e freme, Manda orrendi muggiti, atro spavento Dovunque porta} e sanguinose stragi. 214 Pietro Tamburini Atroce guerra, e disperata intima Di Cristo al nome, ed esser vuole in trono Adorato qual Dio. Si presta omaggio Colle ginocchia alla gran bestia inchine. Popol immenso la circonda, e scorre Provincie e Regni e di terrore e sangue Empie la terra, e lacerato «perde 0 fuggiasco qua e là di Cristo il gregge, O Veritade che dall’alto miri Si crudo scempio de’ tuoi fidi, e il nome Del Redentor fra le bestemmie, e Tonte Vorrai soffrir tanta licenza incetta E della Spasa tua sè grave scherno? Se le cose delTuom t’arman la destra, Volgi lo sguardo pegli eletti tuoi E in grazia lor i tristi giorni abbrevia. Ma già sei scossa da pietade, e scendi Dal crlel fra noi e colla spada ultrice Trafiggi il sen della feroce bestia E al suol lo stendi con un colpo estinta. Dai quattro iati l’Universo innalza Inni di laude e di letizia al Cielo. A questo grido dalle mute tombe Sorgono i giusti e fanno vivo plauso Al nuovo Regno, che in Sion si pianta, Regno d'amore e di perenne pace. Tu intanto aduni le relique sparte Dall1 Israel, e col poter, che frange 1 cor di pietra e li converte in carne Del gran misfatto orror più grande ispiri Quanto è più tardo il pentimento, e mentre In sull’antico ulivo i già caduti Rami tu innesti, amor ti prende ancora Di quei che un dì innestasti or son recisi Onde all’ombra ospitai del Grande Clivo Ricoveri un sol Gregge un sol Pastor. Pietro Tamburini Camillo 3ivori in Belgio Una rassegna anche rapida degli artisti lirici e drammatici che durante la prima metà del >ecolo scorso si presentarono dinanzi al pubblico del Belgio, sarebbe oltre modo interessante, nè meno interessante sarebbe ricordale i musicisti che mostrarono al Belgio quale posto eminente occupasse l'Italia nel l’esecuzione musicale. Dopo i successi dì Paganini, nel 1843, (*) quasi ogni anno si hanno concerti d’artisti italiani, non solo a Bruxelles, ina anche nelle principali città belglie. Nel 1837 sarà Pantaleoni, allievo di Rubini, nei 1811 Michelangelo Russo, pianista, nel 1812 la Landi, virtuosa dell'arpa, ia Uccelli di Firenze, le due sortile Milanollo. Queste giovanissime violinisie, sollevarono un vero entusiasmo, non solo per la loro arte, ma anche per la loro giovane età: infatti Teresa era nata nel 1827, Maria nel 1832, ambedue a Savigliano. L'eco dei successi delle due fanciulle, intorno alle quali spero di potere scrivere distesamente, non era ancora spento, allorché la notizia dei concerti che Cammillo Sivori dava a Parigi, riempirono i giornali di Bruxelles, che dedicarono all’allievo di Paganini numerosi articoli ed ampie lodi. 11 desideiio di udire il giovane violinista genovese era fatto ancor vivo dal ricordo lasciato dal suo grande maestro, desiderio che i belgi poterono soddisfare piesto. Infatti Sivori, giunto a Bruxelles il 15 marzo 1843 (2), dette, la sera del 22, un concerto nella sala della Società Filarmonica, nel quale suonò, oltre varii pezzi di Rossini e di Bellini, Il carnevale eli Venezia e La) Campa nella, del >:uo maestro Paganini (;;). Il successo riportato fu veramente degno a di un allievo — scriveva L'Observateur di Bruxelles del 22 marzo, n. 97 — come (gli modestamente si chiama, del Pa ganini, di un allievo che possiede tutta l’elasticità e la potenza del grande maestro». Le Journal di Bruxelles del 21 marzo, n. 82,.scriveva testualmente : «Sivori si dice modestamente allievo di Paga-nini, ma in realtà è già uno dei maestri più abili che si possa intendere· Tutte le qualità che hanno valso a Paganini la sua grande reputazione e la sua fortuna più grande ancora, sono come rias· a) Cfr. ili questo Giornale, 1932, fase. 3 il mio scritto: Paganini in Belgio nel 1831. (2) Archivio della Ville di Bruxelles - Registro 59, lett. S passaporti. (3) Le Belge, di Bruxelles N. 80 del 21 marzo e Le Journal de Bruxelles N. 78 del marzo. 216 Mario Battisti xi sun te ora in Si vori e noi 11011 dubitiamo che. su l'esempio del suo maestro, egli arriverà un giorno a porsi alla testa dei violinisti della nostra epoca. Non ci ricordiamo di aver visto 1111 entusiasmo uguale a quello che è scoppiato dopo i due ultimi pezzi suonati da Sivorì. Sembrava che la saia della Filarmonica dovesse cadere». Poiché un concerto era stato organizzato a scopo di beneficenza in favore del Dispensario dei Nord ,il Sivori volle dare alla bella iniziativa la propria collaborazione, ed il 29 marzo suonò in compagnia dell'italiano Zani de* Ferranti (, 1 e ui Modave, laureato del Conservatorio reale di Bruxelles. Anvers, centro d’ogni manifestazione d'arte, aveva già solleci tato l’artista genovese, il quale, accogliendo 1 invito della Società reale della Grande Armonia, suonò dinanzi a numeroso pubblico la sera del SI marzo. Il grande violinista non fu inferiore alla sua fama e, tralasciando di riferire quanto scrissero i giornali d’Anvers e di Bruxelles, non mi sembra inutile di ricordare il bell’articolo che fu pubblicato da La Revue d'Anvers, la quale, dopo aver tributato le più ampie lodi al virtuoso, concludeva affermando che la serata del concerto era stata << una delle più belle alle quali abbiamo assistito nel corso di molti anni». [2\ X011 era il primo articolo che la Revue dedicava a Sivori, perchè già nel fascicolo del i'6 febbraio, Th. Labarre, scrivendo intorno ai va rii concerti dati da quello a Parigi, affermava che il giovane allievo di Paganini, dava, con la sua esecuzione, l’impressione che questi « avesse sopravissuto al nulla della tomba, perchè quando si ascolta Sivori eseguile il Carnevale di T enezia e la Preghiera· di Mosè. e tutti quei tratti fantastici di corda che hanno preso principio sotto l’arco magico di Paganini, si crederebbe di vedere 1 ombra del grande maestro librarsi su l'artista ed infondergli 1 ispira /ione del suo genio originale » (3). Più ampiamente ne scrisse Henri de Brés in Le Pi ecuìseuf d’Anvers del 3 aprile, n. 93. il quale, dopo aver messo in rilievo la viva attesa di tutta la città per « il grande avvenimento che stava per compiersi : la resurrezione di Paganini », proseguiva : « Il mago di Genova stava per uscire dalla tomba e gettare i suoi accordi misteriosi alla lolla che attendeva. Xon occorreva che questo pensiero per avvolgere la folla di emozione, per imprimerle un fremito superstizioso. L’allievo di Paganini doveva almeno aver concluso un patto col suo maestro. Questa credenza sembrava più che logica. Così quando Snori è entrato, abbiamo notato più di un fremito nella sala, abbiamo visto impallidire più d’una faccia. L’impressio (1) efr. il mìo ari. \l. A. Zani de* Ferranti, in Archiginnasio d, Bologna IdSO X. 4-6. (2) 14.a livraison, pag. 124, (3) 19.a livraison, pag. £5. C Sivori 1S43 - disegno di Madon*. Camillo Sivori in Belgio 217 ne era fugace, è vero, ina la sua potenza aveva agito. Immaginatevi un piccolo uomo, un po’ trascurato nel \entire, non molto distinto, ma con una bella ironie spaziosa, Ti cchio magnifico, la piccola persona dominata tutta da una ferma fiducia. Ecco Sivori! Camillo Sivori è genovese come Paganini. A parte ogni illusione,* Sivori è Neramente il più abile violinista conosciuto nel mondo musicale. Egli si è fatto udire tre volte in questo concerto: in un concerto di sua composizione; pezzo, il merito del quale pone il suo autore sulla scala delle composizioni fogose, ma temperate dalla grazia e dal buon gusto. Poi ci ha dato, con una esecuzione impeccabile, il Carnevale dì Venezia e La Campanella del suo maestro ». Le Belge, giornale di Bruxelles, nel suo numero 85 del 2(j marzo 1818, co-sì scriveva a proposito del concerto dato alla sala della Filarmonica a Bruxelles: «Nous ne voulons point essayer de donner un compte rendu détaillé de la solennité musicale qui a eu lieu jeu ii dernier, à la salle de la Société I hilaimonique, parce que toutes les formules laudative# nous paraissent impuissantes pour exprimer 1 ef fet que l'artiste a produit sur le public. Cet effet est allé crescendo pendant les trois morceaux joués par Partiste, dont les deux derniers, les clochettes et le Carnaval de l enixe sont la composition de Paganini. Ce dernier nom était dans toutes le.s bouches et è la fin MARIO BATTISTINI (1) Ernest Quetelet nel suo giornale ci fornisce queste notizie ed aggiunge che il ritratto di Sivori era «perfetto». L’originale ò di proprietà dell’aw. G. Quetelet al quale rinnoviamo i vivi ringraziamenti pei· avermi permesso di riprodurlo. (2) Re uè de Liege, tome 1er, 1844, pagg. 304-308. (3) «L’observateur» di Bruxelles N. 63 e «Le Journal de Bruxelles» K. 39 e 48. c ome si difese Γ Europa d^lla lebbra del Medio E vo I/illustre amico prof. Edouard Jeanselme mi ha concesso di tradurre e pubblicare per i lettori di questa « Rivista » una Sua dotta memoria sulla lebbra. Del favore Gli rendo qui vive grazie. Antonio Giusti « Ugni volta che il terribile flagello si fe abbattuto sopra una popolazione ancora semibarbara, per Γaiuto di circostanze concomitanti come la. miseria e la promiscuità, ha fatto un così gran numero di vittime, che la credenza nel contagio si è imposta- col carattere irresistibile dell/evidenza e lia provocato l'istintiva applicazione di provvedimenti atti a frenare il male». I1) L'isolamento fu sempre la risorsa- suprema. Già al tempo di Areteo e Galeno le popolazioni atterrite erano ricorse ai mezzi di difesa che sono ancor oggi in uso presso gli indigeni. I nostri antenati del medio evo non sii sono comportati divei samente rispetto ai lebbrosi. La frequenza della lebbra era fin tiop-po giustificata. La classe degli v.omini era la più provata. Fra i sospetti, che comparvero davanti al giurì di Arras, al principio del decimo sesto secolo, vi sono macellai, birrai, bettolieri, fornai, sai i> bottegai...., «una donna di strada» e perfino Γostessa che «tenoit. baings et estuves à filles publiques)). (J) Si capisce come questi lebbrosi, esercitando la maggior parte professioni che li mettevano in diretto e continuo contatto con la popolazione sana, potessero favorire Testendem della lebbra. (1) CHANOINE G. Delamotte, L'épreuve des ladres en Artois et en Boulonnais au AIT .c et au XV.e siècle. St. Orner, s. d. [1929], pp. .30-41. (2) E. Jeanselme, Art. Lèpre, iu Manuel de Médecine de Debone et Acliard, Tans 18. 7 μ Come si difese l’Europa dalla lebbra del Medio Evo 223 11 Legislazione Grìà l’editto di Rotari, re dei Longobardi (G13), colpisce il lebbroso con la morte civile e permette al futuro marito di rompere il fidanzamento se la ragazza o la donna, che egli doveva sposare, di venta lebbrosa. (i) La legislazione dei Bavari, redatta nel 748, conferisce al compratore di uno schiavo colpito da lebbra il diritto di rescissione, se il venditore ha celato il difetto. (2) Secondo la legge di Howel il Buono (X secolo), il figlio di un lebbroso viene privato dell’eredità paterna se è nato dopo che suo padre è entrato nel lazar-hause « perchè Iddio, dice la legge, ha· separato il lebbroso da tutta la sua parentela di quaggiù ». (3) Secondo una antichissima legge norvegese, quella di Gulathing (X XI secolo), i likprair men erano esentati dal servigio militare. La medesima legge permette la rottura del fidanzamento, se uno dei futuri coniugi è affetto da lebbra·. (4) * # * Α1Γepoca merovingia e carolingia, mentre gli invasori ordinano il territorio conquistato, la lebbra continuò ad essere sottoposta a regolamento per la stretta collaborazione dei x>oteri spirituale e temporale. Γη primo ordine di questioni si impose a 11'attenzione del legislatore: il lebbroso ha il diritto di maritarsi? sopravvenendo la lebbra ad uno dei coniugi, durante il matrimonio, ne porta con sè lo scioglimento f A tali questioni le risposte furono diverse secondo i tempi. Men tre il papa Silicio, alla fine 0e\ IV secolo, prescrive la separazione degli sposi perchè dalla loro unione non nascano figli contaminati (')> il Concilio di Compiègne, nel 757, dà la facoltà allo sposo lebbroso di permettere all’altro coniuge di prendersi un compagno (1) Art. GLXXV1 e art. CLXXX. (2) Lex Baiuwariorum, Textus legis privius. XT. De venditionibus, art. 9. (3) Ancient Larva and Instit. af TTales, Loudon, 1841, Welsh Laws, 1. X, eh. VII, art·. 19, p. 556. (4) G. Arm. Hansen und H. P. Lie, Die Geschichte der Lepra in Norwegen, lì Upra-Konf, Bergen, 16-19 august 1909, Bd. I p. 52. - Io non ho trovato queste disposizioni nell’edizione elio ho consultato : Magnus Konongs Laga ìieters, Gula-Things Laug., con traduzione latin« e danese, Havniae, in 4°, 1817. (5) Mansi, Sacror. Concilior, nova et ompliss. collect., t. Ili, Firenze 1/59, in-fol., co · 676. 224 Edoardo Jeanselme della vita i1) Ma questa decisione, poco conforme alla dotti ina del la Chiesa relativa all’indissolubilità del matrimonio, fu in seguito abbandonata. Il III0 Concilio Laterano (1179) dispone: 1° che una donna colpita dalla lebbra non debba essere separata da suo marito; 3° che il lebbroso abbia diritto di esigere il debitum carnale dalla moglie sana. (2) Quasi tutti i testi di questa epoca emanano dalle autorità ecclesiastiche, che si erano assunte il compito di assistere i lebbrosi. Ciò non ostante il potere civile esercitava un certo controllo. Da un Capitolare di Carlomagno, di cui ci è pervenuto soltanto il titolo, si può conchiudere che il sistema di prevenzione sociale contro la lebbra, adottato dal grande imperatore, aveva per base l'isolamento dei malati. (3) Mettere al sicuro dal contagio la· popolazione sana fu il secondo compito, che si impose alla vigilanza delle autorità. 11 primo Concilio di Orléans (-"vii), il quinto grande sinodo di Orléans (549), il Concilio di Tours (567), infine il Concilio di Lione (583) demandano al Vescovo della diocesi, qualche volta agli abitanti della religione 11 papa Gregorio li, consultato nel 7-G dal "Vescovo Assicurare ai lebbrosi l'esistenza materiale non è adempiale tutto il dovere della carità. Non si possono ri iiutar loro i soccorsi della religione. Il pipa Gregorio II, consultato nel 72j dal Ve covo s. Bonifazio, giudica che i cristiani colpiti dalla lebbra possano pai-tecipare alla, communione, a condizione però di non esservi ammessi con gli altri fedeli. (4 ) # . Sulla condotta da tenersi riguardo ai lebbrosi nei casi dimeni, S. Bonifazio consulta di nuovo nel 751 il capo della cristianità. Assai curiosa è la decisione data dal papa Zaccaria I lebbiosi di na scita debbono essere raggruppati fuori della città. Coloro, la cui malattia è occasionale, non siano espulsi, ma si cerchi di guarirli. Tuttavia quando verranno alla chiesa per comunicarsi, non entreranno che dopo gli altri. (5) * * La- legislazione applicabile ai lebbrosi era stata all incirca uni (1) Concilium Compendiense. riprodotto integralmente nei Capitolari dei Re ^rauc^1 : vedi Stephani Baluzi, Capit. Reg. Frane., Capii. Ccmzend. (7o7), t. I, col. 1*4, a (O) Mansi, id., t. XXII, Venezia 1778, in-fui, col. 395. (3) De Leprosi*:, ut se non intjjisceant a’io populo, KABOLI Magni Capitularia: Capituiare XXIII, cap. 36 (798 m. Martio 23). (4) Conci!. Aurel, an. 511, can. 16. - ConcU. Aurel, an. 549, can. 21 - Cane il. Juron., au. 567, can. 5 - Concil. Lugd., an. 583, can. 0. ... 0-.- 77 (5) MON. Geb M Hist., Epistolae Merovingici et Karolini aevi, t I, pp. 2/0-7/, Gregorius II papa ad varias BonifatU consultationes rescribit <22 nov. 726). CO MF. SI DIFESE ΐ/Β FROPA DALLA LEBBRA DEL M EDIO EVO 225 forme in tutto l’impero d’Occideute. Dopo lo smembramento di que sto essa varia necessariamente in ciascuno degli Stati divenuti auto nomi. Le decisioni dei Concilii generali reggono ancora l'insieme dei lebbrosi, che vivono nella cristianità, ma i poteri laici, consapevoli della loro forza, contendono ben presto alla Chiesa la tutela- dei lebbrosi. Fin dai secoli XI e XII i Comuni intendono avere il diritto di partecipare alla gestione del lebbrosario municipale, che essi mantengono. D’altra parte il potere reale, la cui autorità non è più discussa, prende riguardo ai lebbrosi dei provvedimenti, che si applicano a tutto il territorio della monarchia. Questa evoluzione storica, che io mi limito a richiamare, spiega perchè ormai in Francia bisogni cercare le disposizioni di regolamento, prese nei riguardi dei lebbrosi, sopratutto negli usi scritti, nei registri municipali, nelle ordinanze reali. In Francia per tutto il medio evo i lebbrosi circolano impunemente nelle città e nelle campagne, nonostante le ingiunzioni nu merose e comminatorie delle autorità. « Il est venu à notre congnois* sauce..», dicono lettere di Carlo V° in data 1 febbraio 1371, «que depuis le commencement de noz guerres i1), plusieurs hommes et femmes meseaux infecs de la maladie saint Ladre, qui sont de plusieurs nacions et villes, tant en notre Royaume comme dehors, sont venus et viennent de jour en jour en notre dite bonne ville, en telle quantité et nombre, allans parmi la ville, queraus leurs vies et aumosnes, buvans et mengans emmi les rues, les carrefours et antres lieux publiques, où il passe le plus de gent, en telle maniere qu'ilz empeschent et destourbent. bien souvent les geuz à pas ser ou à aller en leurs besongnes, et fault que ilz passent parmi ou par emprès eulz, et sentent leurs alaines;... par quoy noz bon sub-gez et les populaires qui sont simples gens, pourroient par la cojnpai gniie et multitude des diz njeseaulx ainsi fréquentans. alans et sejournans en notre dite bonne ville, estre infecs et férus de la dite maladie saint Ladre.....». (2) Una tale situazione richiedeva una pronta decisione. P#r conseguenza senza indugio alcuno i lebbrosi d'ogni sesso ed età, che non sono nati e non risiedono abitualmente nella capitale, debbono, sot to la minaccia di pene corporali o pecuniarie, andarsene per la stia (ì) La guerra dei cento anni. (2) La lebbra ebbe il nome di malattia di san Lazzaro o dal mendico Lazzaro, che, secondo il \ angelo, invano attendeva le bricciole della ricca mensa di Epulone, o, come vogliono i più, dal fratello di Marta e Maria, risuscitato da Gesto, e che una antichissima tradizione faceva morire vescovo con l aureola della santità e la palma del Martir.o. Così pure da san Lazzaro si chiamò l’ordine ospedaliero sorto per curare i lebbrosi ; v. G. Portigliotti, 1 cavalieri di s. Lazzaro in IH, Med. Ital. 1920, n. 5 [A G.], 226 Edoardo Jeanselme da più corta o al loro paese d'origine o al lebbrosario, clie ha i ordine di accoglierli, (i) Queste minacce non hanno alcun effetto, poiché le ordinanze del He e del Magistrato di Parigi si succedono lino al principio del XVI. secolo, cioè tino al declinare della lebbra. Gli altri paesi dell'Europa Occidentale prendono misure analo- ghe riguardo ai lebbrosi. Si sa che le città italiane del settentrione e del centro della, penisola. assai gelose della loro autonomia, costituivano altrettante re- pubbliche indipendenti. . Questo stato di divisione politica rendeva impossibile ogni azio ne comune contro la lebbra. Di qui una diversità grandissima di regolamenti, che per la maggior parte emanano dall’autorità munì- ci pale. Γ-er mancanza di spazio non posso che enumerare le misure strittive e repressive imposte ai lebbrosi dagli Statuti di Padova, Bologna, Modena, Ferrara, Frignano, Ivrea, Venezia ecc. Si compendiano in questo : espulsione dei lebbrosi, che non appartengono alla città ; mantenimento in un lazzaretto, situato inori della città,degli abitanti divenuti lebbrosi ; proibizione ai cittadini e agli albei gatori di alloggiare un lebbroso pene disciplinari diverse inflitte ai contravventori, come per esempio la berlina· , . In certe città d'Italia il Podestà deve giurare, quando entiam carica di vegliare affinchè i lebbrosi non circolino nella citta, bu per facto ieprotorum. ne vadant per civitatem proludo si legge ne -fa prima (orma degli Statuti di Treviso Ogni volta^che un^ lebbroso tenta oltrepassare le porte i guardiani debbono Wm, e se sono negligenti, vengono condannati a cuique soldi di ammenda "" Ä i regolamenti applicati ai ! mente severi e ambe eradeli. Ogni lebbroso, ehe circola«, ella ut tà o nei borghi, doveva essere cacciato a colpi di frusta dai *or V(iglÄSto del 131Î dava anche il diritto a cM«nq«e d^att^e e spogliare i lebbrosi vaganti, che si incontravano sul tei n tono del la f Inghilterra’i/potere reale sembra non interessarsi chiassai tardi della questione della lebbra. Edoardo III nel 134G coman (!) Secousse, Ordonnons des Rous de France de la troisième race, ta-fol, t. V, p. 451 «· (2) Statuto del 12G4 e del 1311. (3) Bortolan, 11 lebbrosario di S, lazzaro, \ ice&za 188 . Co AI E SI DIFESE L’EUROPA DALLA LEBBRA DEL MEDIO Evo 227 da al sindaco e ai sceriffi della- citta di Londra di far proclamare in tutti i quartieri e sobborghi che tutti i lebbrosi saranno espulsi entro quindici giorni.... In Iscozia fin dal XII secolo tutta una· legislazione relativa alla lebbra è formulata nelle « Burro-w Lawes » o leges burgorum Scotiae. Glfi Statuti della Corporazione dei mercanti o Guild e de Benrick-sur-Iwed si mostrano particolarmente rigorosi. Ejssi prescrivono al sergente del borgo di gettare i lebbrosi fuori della città e di bruciare i loro vestiti in caso di recidiva. Ili Le viej di esecuzione La necessaria conseguenza eli queste misure profilattiche è la creazione di asili chiamati léproseries, maladreries e maladières in Francia, lazzaretti in Italia, leper o lazar-houses in Inghilterra e Scozia, Gutleuthaiiser e Cours Saint-G&orgg in Germania e Scandinavia. Ma prima di entrare in questi lifugi, ove potranno vivere finalmente al sicuro delle vessazioni e del disprezzo cui sono esposti ogni giorno, quanto lungo e penoso sarà il calvario, che dovranno salire dal semplice sospetto lino alla mise hors le siècle/ La persecuzione e la denuncia dei vicini, l’inchiesta, le prove, il verdetto, 1 ufficio funebre della separazione, sono le stazioni di questa dolorosa viai crucis. # * * In origine è Γ ufficiale o giudice ecclesiastico Γincaricato di ricevere le lagnanze e di fare l’inchiesta; più tardi in certi cornimi saranno gli scabini. Qualche volta anche la denuncia è obbligatoria da parte di tutti gli abitanti. La costituzione del Boulonnais decide che se un lebbroso muore in una parrccchia, senza che la giustizia ne sia avvisata, « tutto il bestiame dal piede forcuto di questi abitanti sarà confiscato e apparterrà al signore del luogo, per punirli della loro negligenza.....» Nel marchesato di Anversa è l'ufficiale della Courte Terge incaricato di scovare i lebbrosi. Secondo gli Statuti di Torino (1468), il giudice nel primo mese della, sua entrata in carica deve far eleggere nel Consiglio dei « Ore* dendarii » due uomini onorevoli, che avranno l’incarico di ricercare i lebbrosi. 228 Edoardo Jeanselme * * * In Francia· per molti secoli chi è sospetto di lebbra non compare davanti ad un giurì. Chi pronuncia la sentenza, senza sentire il parere di persone competenti, è il Vescovo o piuttosto 1 ufficiale. In molte regioni 1 interessato è sottoposto alla prova dei lebbrosi. Nell·’Artois e nel Bourbonnais fin dal XIV secolo ai periti lebbrosi furono aggiunti dei ((fisici», chirurghi e medici. Più tardi finalmente gli esperti hanno la precedenza sui lebbrosi. Nei paesi renani la visita fatta dagli arbitri lebbrosi aveva luogo di preferenza a Francoforte, Marbourg. TYetzler. Bachaiacli. L'alto Wezer e Amburgo inviavano i loro malati a Francoforte. Reciprocamente Francoforte nel 1469 si rivolgeva a Colonia, in caso di appello, per ottenere una decisione definitiva. Nella città di Arles in Provenza, a Siena in Italia medici speciali ricevono onorarli per fare la diagnosi della lebbra· In Portogallo l'esame prima dell’internamento non era abituale. Secondo un documento del 1317 al lebbrosario di Santarem il preteso lebbroso compariva davanti ad un giurì di medici. Il direttore e qualche lebbroso assistevano all esame. ^ Prima della prova gli esaminatori prestavano giuramento. Qualche volta anche i malati dovevano giurare di dire la verità senza alcuna reticenza. L'esame di un malato sospetto di lebbra poteva comportare: 1° l'uso di diversi mezzi di investigazione puramente empirici e senza alcun valore sul sangue e le orine, oppure sul paziente stesso disteso sopra una « tavola di marmo » ; 2° la ricerca dei segni scientifici della lebbia. Io non riferirò che questi ultimi. e 1 chirurghi arabi, dovendo sventare le frodi di venditori ci schiavi, avevano acquistato una grande maestria nella diagnosi de -la lebbra, Abulcasis i A boni Quassimì per primo fa conoscere 1 ane-stesi* come il segno maggiore della lebbra. « Sappi che il lebbroso, egli dice, non sente la bruciatura come il sano, perchè egli e gl* colpito da insensibilità ». (’) Teodorico, Gilberto l'inglese, Lanfranco, \italis du Four, Ai-nado da ViTanova, Bernardo da Gordon. Giovanni da Gaddeden consigliamo di esplorare la sensibilità del paziente cou 1 aiuto di (X, Abulcasis, De Chirurgia, ed. .Tohan Cbanning, O.xonui 1738, in-4», t. I, lib. I sect. 47 de ustione elephantiae Come si dipese l’Europa dalla lebbra del Medio Evo 229 I chirurghi del medio evo 11011 ignorano Γatrofia di certi muscoli e il loro significato, in particolare la «consunzione» della massa muscolare ycarnosita'S) situata tra il pollice e l’indice. An al, do da Villanova indica il modo di esplorare le fosse nasali. Per aprire le narici egli si serve di una bacchetta di legno spac cata. 1er mezzo di questo allargatolo improvvisato e di una candela egli esamina tutte le sinuosità della mucosa. Guy de Chauliac e più tardi Ambrogio Paré fanno una mirabile descrizione dei segni tanto univoci (patoguomonici) quanto equivoci (Iella lebbra. 1 periti debbono rispondere ai due quesiti seguenti : il sospetto è lebbroso e, in caso affermativo, è giunto allo stadio, in cui riso-lamento è obbligatorio? Se la diagnosi dei lebbrosi verdi, cioè dei malati affetti da ulcerazioni, era relativamente facile, il riconoscimento invece della lebbra nei lebbrosi bianchi, la cui faccia era bella e la pelle liscia, non mancava di essere spesso assai difficile. In questa categoria bisogna mettere i cacous, caqueux, cagots di Brettagna, i capots, cassots del Limosino, della Guienna e della Guascogna, i yabets, galiets, Agots, Christiaas del Béarn, considerati come usciti da ceppo lebbroso e non aventi che le stigmate della degenerazions- I chirurghi arabi, arabizzanti e del iiinawscimento consigliano di non pronunziare il verdetto di lebbra se non dopo maturo esame, perchè è un gran male sequestrare un malato che non è lebbroso, o viceversa lasciare un lebbroso fra i sani. Il giudizio, conchiude G. de Chauliac, può metter capo a quattro soluzioni : 1° il sospetto è dichiarato innocuo e riceve il certificato di non esser lebbroso; 2° è « familia indente » ammonito che in mancanza di un buon regime diventerà lebbi oso ; 3° è « severamente » invitato ad entrare nel lebbrosario e consegnato a domicilio; 4° è riconosciuto affetto da lebbra e deve esser separato dalla popolazione sana. G. F. Ingrassia, che verso la fine? del XVI secolo esercitava in Sicilia la medicina, tratta alla sua volta la questione dell'internamento. Nessuno meglio di lui ne ha discusso le indicazioni e le controindicazioni. Con la più grande sagacia espone quale condotta il medico deve tenere con il male quando è al primo, al secondo, al terzo o al quarto stadio. Quando il malato è giunto a questo ultimo stadio, deve essere allontanato dalla città. Gli indigenti saranno internati. Al lazzaretto debbono portare le loro suppellettili, che saranno bruciate. Si obbligheranno i ricchi e i nobili a ritirarsi in un possedimento isolato ed esposto ad un vento forte e favorevole. Le regole profilattiche esposte da Ingiassia non sono mai state superate, nonostante i progressi, che la scienza ha fatto nell’epoca contemporanea·. 230 Edoardo Jeanselme ■k· * * Fatto Tesarne dei sospetto, i membri del giurì dovevano consegnare le loro decisioni motivate in un certificato. Come esempio darò il seguente preso da Ambrogio Paré: « Esempio di rapporto di uno riconosciuto lebbroso : « Noi chirurghi giurati a Parigi, con ordinanza del. Roy di Cha-stelet in data 28 agosto 1593 incaricati di redigere un rapporto per sapere se G. P. è lebbroso, abbiamo proceduto all·esame com;e segue. Anzitutto abbiamo trovato il »suo viso di un colore pallido e livido, con chiazze rosse e bitorzoli : abbiamo tirato e strappato capelli e peli della barba e sopraccigli, e abbiamo visto che alla radice dei peli rimaneva attaccato qualclie pezzo di carnea Ai sopraccigli e dietro le orecchie abbiamo trovato piccoli tubercoli glandu· losìi : abbiamo notato la fronte rugosa-, lo sguardo fisso e immobile, gli occhi rcusi sfavillanti, le narici larghe fuori e strette dentro come otturate da piccole ulceri crostose. La lingua era ingrossata e nera con sotto e sopra piccoli grani come se ne vetlono ai porci lebbrosi : le .gengive corrose, i denti scarnatli, il fiato assai puzzolente, la voce arrochita, il parlare nasale. Lo abbiamo visto nudo e trovata tutta la sua pelle raggrinzata e ineguale come quella di un’oca magra· spennata, e in certe parti molt£ serpigini. Inoltre l'abbiamo punto assai profondamente con un ago al tendine elei tallone, senza che egli neppur avvertisse la puntura. Per questi segni tanto univoci che equivoci diciamo che il predetto G. P. è lebbroso riconosciuto. Perciò sarà bene separarlo dalla compagnia dei sani, in quanto il male è contagioso. Il tutto certifichiamo essere vero, testimoni le nostre firme che di propria mano qui apponiamo il sei maggio 1583 ». (') . . „ _ Il giudizio uon era seuza. appello. Più di un sospetto, riconosciuto lebbroso, passava· davanti a successivi giurì. * * # In certi paesi d’occidente, in Francia, nelle Fiandre e sulla riva sinistra del Reno, insomma in tutto il territorio dell anti Gallia, prima del sequestro aveva luogo una cerimonia simbolica e lugubre, la cui descrizione ci è stata lasciata dai vecchi ntua i sotto la rubrica « Modo di mettere il lebbroso fuori del mondo». La cerimonia differiva di poco dall'ufficio dei morti. Davanti all’altare e sotto un drappo nero teso su due cavalletti il lebbroso si inginocchiava col viso « embrunché »> da un velo nero (1) AMBROGIO XXVII p. 669. PARÉ. Oeuvres complèti«, Wt. Malgaigne, 1M0-1S41, Taris vol. Ill, 1. Come si difese l’Europa dalla lebbra del Medio Evo 231 e ascoltava devotamente la messa. L-’officiante per tre volte gettava un palata di terra presa dal cimitelo sulla testa del lebbroso dicendo : « amico mio, è segno che sei morto al mondo,sis mortuu* vìundo », e aggiungeva a mò di consolazione « vivus iterum Deo ». Poi il prete gli faceva le « proibizioni », dii cui più avanti darò il contenuto, e il malato vestiva l'abito del lebbroso e riceveva le nacchere, ohe doveva agitare per avvisare i passanti del suo avvicinarsi. Conciato in tal modo il disgraziato veniva messo fuori della chiesa e condotto in processione imo alla sua capanna o fattoria situata in mezzo alla campagna. L'officiante bejiedliceva tutti gli oggetti, di cui si serviva iì riprovato, e, dopo averlo esortato ancora alla pazienza, piantava davanti alla porta una croce, alla quale si sospendeva una cassetta per le eleni asine- 11 prete per primo deponeva la sua offerta e tutti i fedeli seguivano il suo esempio. Il lebbroso era ormai separato dal mondo, (i) Se qualche rituale attenuava il più possibile il carattere funebre del cerimoniale, altri invece spingevano la crudeltà sino ad obbligare il disgraziato a scendere in una fossa aperta nel cimitero e a subire un simulacro di inumazione. Ma qualunque siano le varianti nei particolari, Vufficio ha sempre lo stesso significato : far conoscere a tutti clic un abitante delia parrocchia è affetto da lebbra e che nessuno d'ora innanzi deve aver relazione con lui. Lo stesso potere ecclesiastico, incaricandosi di allontanale il lebbroso dal mondo, conferiva alla sentenza di esclusione il peso della sua autorità. # * * L'importanza profilattica dell'ufficio è tanto più grande in quanto comporta necessaria mente la lettura, fatta nella chiesa o al cimitero oppure sulla soglia della, fattoria assegnata al lebbroso, di un certo numero di prescrizioni chiamate «proibizioni», redatte quasi sempre in lingua volgare perchè il relegato le potesse ben capire. Questo piccolo codice sanitario nei suoi tratti essenziali è in fondo sempre lo stesso, sebbene la sua forma sia un po' differente in ciascuna diocesi. Come esempio trascrivo le proibizioni contenute nel rituale di Parigi pubblicato dall'arcivescovo Jean-Franç.o'is de Gondy (2): « Io ti proibisco per sempre di entrare in chiesa, nel mercato, nel mulino, nelle piazze pubbliche e in ogni compagnia e adunanza di persone. (1) Ho potuto raccogliere l’ufficio della separazione in uso in diciassette diocesi. (2) Rituale F arisi ense... authoritate illustriss. et reverendiss. Joannis Francisci de Gondy Farisiensis Archiepiscoji editum. Parisiis 1C4G pp. 514-16. 232 Edoardo Jeanselme « Item, ti proibisco per sèmpre di lavarti le mani nelle fontane o in qualunque ruscello di acqua: e se vuoi bere attingi l’acqua col tuo barile o con qualunque altro vaso. « Item, ti proibisco d’ora innanzi di andare senza Γabito del lebbroso affinché sii conosciuto dagli altri, e di essere scalzo e a piedi nudi fuori di ca>sa tua. « Itera, ti proibisco di toccare qualunque cosa, che vorrai acquistare in qualsiasi luogo, se non con una verga o bastone perchè si sappia ciò che tu domandi. « Item, ti proibisco d’ora innanzi di entrare in taverne o altre case per comprare vino o prendere o ricevere quello che ti si mette in mano : ma fa che lo si metta dentro il tuo barile o in altro vaso. « Item, ti proibisco di avere altra compagnia di donna che la tua. « Item, ti proibisco andando per la campagna, di rispondere a chi ti interrogherà, se prima non sarai fuori della strada sotto vento per non dare ad altri il contagio, e così pure di andare d ora innanzi per una strada stretta per non incontrare altre persone. « Item, ti proibisco di percorrere, se la necessita. 11011 ti ob bliga, un piccolo sentiero per i prati, di toccare le siepi o i cespugli senza aver calzato prima i guanti,. (c Item, ti proibisco di toccare i bambini o i giovani, chiunque essi siano, e di mettere in mano a loro o ad altri qualunque cosa. « Item, ti proibisco d ora innanzi di mangiare o bere in alti a compagnia che dei lebbrosi». Ecco infine un’altra prescrizione importantissima-, che non si trova, per quanto io so, se non nel rituale di Bourges (1005) : « Se la donna del lebbroso si decide ad abitare col marito, o il marito con sua moglie lebbrosa, verranno condotti tutti e due nella forma suddetta alla chiesa e al lebbrosario; circa i loio figli, se non presentano alcun segno o indizio di lebbra, bisogna separarli dai gc nitori, altrimenti si conducano tutti insieme e si vestano da lebbrosi » . La cerimonia deirollontanamento dal mondo 11011 era imposta per obbligo a tutti i lebbrosi. Gli agiati potevano evitarla entrando in certi stabilimenti, che non erano lebbrosarii e assomigliavano molto alle case di salute. Poteva essere anche permesso 1 isolameli 0 nella campagna in una fattoria. IV T/ordinamento dei lebbrosarii Nei documenti, che indicano il luogo dei lebbrosarii, ricorrono continuamente queste espressioni: domus leprosomm extra muros oppidi, extra vel trans portam leprosomm ; Siechenhaus vor dem jy. Tlior? Siechenhaus vor der Stadt. Come si difese l’Europa dalla lebbra del Medio Evo 233 Essi erano dunque costantemente situati fuori delle agglomerazioni urbane e rurali, in aperta campagna, o sulla riva di un corso d'acqua, ma in prossimità di una strada assai frequentala perchè la questua fruttasse. Ridotto alla sua più semplice espressione rasilo, ove il lebbroso dovrà d ora innanzi vivere, è una casetta di legno poggiata su (piatirò sostegni e circondata da una palizzata. Alla morte del lebbroso i .suoi utensili di casa vengono rotti se sono di terra, bruciati se di legno, passati al fuoco se di metallo. 11 cadavere era seppellito sotto la casetta e in certe regioni vigeva l'uso di gettare nella fossa uno strato di calce (j). Non di rado la casa veniva distrutta e i suoi materiali ridotti in cenere. Al giorno d’oggi 11011 si saprebbe far meglio. Quando il numero dei lebbrosi da isolare è più o meno considerevole, di solito si rinchiudono le loro casupole, capanne o tugurii (e neu rl· ita e, stellae, tuguria), come pure gli orti le vigne e le terre arabili che li circondavano, in uno stesso recinto in modo da costituire un villaggio, ove abitano alla rinfusa lebbrosi., coppie di sposi, famiglie intiere. Questo tipo di lebbrosario è già implicitamente indicato nel testamento del diacono Adalgiso o Grimo nell*anno 636, Tomaso da Celano, discepolo di S. Francesco, nel V2'2U scrive nella « Vita Prima » che a due miglia da Assisi a Rivotorto vi era un hospitale leproßorum che « non era un edificio unico ma una agglomerazione di piccole case o capanne». Sovente l’importanza del bestiame e delle colture è tale in questi villaggi che essi hanno l'aspetto di masserie o fattorie. Quando Γagglomerazione dei lebbrosi ha preso un certo sviluppo, il lebbrosario ottiene il diritto di avere una cappella o un ( imiterò privato· Ai pagliai primitivi sparsi a caso nel recinto succedono costruzioni in pietra poste l'una accanto all'altra e fatte sul medesimo piano, ove ciascun lebbroso, ciascuna famiglia abita e prepara i suoi alimenti. Al lebbrosario di Volay presso Romana nel Delfìnato fu costruito nel XII0 secolo un gran corpo di casa lungo circa ottanta piedi e diviso in piccole camere, occupate ciascuna da un lebbroso. Ma anche quando la tendenza alla vita collettiva ha prevalso, quando cioè i lebbrosi per la maggior parte hanno in comune una cucina, una cantina, un refettorio ed un dormitorio, qualche lebbroso più favorito vive sempre in padiglioni isolati. Così dunque i due tipi di costruzione coesistono quasi sempre nel medesimo lebbrosario. Qual’era il valore profilattico di questi diversi tipi di lebbrosari!? <1) Arch, de Saint-Lazare de ^lézières E. 2. 234 Edoardo Jeanselme È certo che la- reclusione dei lebbrosi in piccolo numero nelle fattorie è una misura efficace. Ma quando 1 agglomerazione dei lebbrosi diventa tale da si uggire alla sorveglianza, elementi sani si infiltrano tra i malati, e dì Λ può de,an andare se questi villaggi qualche volta non siano stati focolai di espansione della lebbra., come si verifica oggigiorno in cerl'ì parsi esotici, ove un tal modo di isolamento è ancora praticato La questioiie può porsi a proposito dei villaggi dei lebbiosti agresti o mendicanti, che giravano c on le nacchere, di Dambrugge (Anversa). Essi erano indisciplinatissimi. Ordinali ze dei secoli XV1° e XYII° ci fanno c onoscere che questa conducevano una vita da vagabondi. Al principio della primavera abbandonavano la campagna e non rientravano al lebbrosario che ai primi freschi. Altri frequentavano le taverne. (2) Nei lebbrosarii di una certa importanza vivono a stretto contatto coi lebbrosi molte categorie di individui sani, sovente in numero superiore a quello dei malati. Oltre il capo o priore, 1 elemosiniere o cappellano, l’economo, ci erano anzitutto dei donati o obla ti, dei fratelli conversi che assistevano gratuitamente i malati, e più tardi, quando lo zelo della carità si raffreddò, delle fantesche retribuite. E siccome nei lebbrosarii forniti di ogni comodità e riccamente dotati la vita era dolce e facile, cosà numerose persone in perfetta salute sollecitavano il permesso di finirvi i loro giorni: erano i « prebendaiii ». Tutta questa popolazione di «haitiés» (3^ formava con i lebbrosi una comunità di fratelli e sorelle. Per evitare la contaminazione delle persone sane da parte dei malati in questi stabilimenti, gli statuti della maggior parte di lebbrosarii danno minuziose regole profilattiche. Dormitorii, refettorii, luoghi di riunione di queste due categorie di persone sono rigorosamente separati. Il quartiere dei lebbrosi è sovente circondato da spessi muri, talvolta i cibi vengon loro passati da uno sportello Le visite, che ricevono dal di fuori, sono severamente controllate; soltanto le loio madri e sorelle sono ammesse col permesso del capo. (1) «Un villaggio di lebbrosi, eome quello di Ninch B'uh rer esemp o, e un \aì>to rettangolo limitato soltanto da un terrapieno. I lebbrosi rinchiusi entro questo spazio costruiscono miserab'li pagliai ove λΐνοηο con le loro famiglie, di modo tilt la popò.a., i sana uguaglia almeno quella dei lebbrosi. Siccome l’assegno accordato dal Protettorato e notoriamente insufficiente, i ìebb.osi fi disperdono nelle località ucine rer andare λ men dicare nei mercati. Quell! the sono in grado di lavorare si arnnlano al servizio de» contadini del vicinato per la .emina e la mietitura. Invece di essere focolai d. estinzione della •lebbra, questi villaggi ne sono dunque in realtà fotolai di propagazione» E. . einse Yerhandl. u. Bericht des internat. Dermatologen Kongress, t. I. Berlin 1901. 12) A. F. C. van Schevensteen, La lèfre dans le marquisat d'Anvers aux temps passés m Bull, de VAcad. Roy, de Belgique, V série, t. IX n. 3, séance du 23 mars 1929. (3) Il vocabolo si può tradurre per buontemponi, giacché il verbo haiticr o hailier, i origino germanica, significa appunto secondo il Clìdat (Glossaire du vieux français, Par Gamier 1909) rendre joyeux, bien disposer. fA. G.]. Come si difese l’Europa dalla-,i ebbra del Medio Evo 235 # Ve * Dagli statuti dei iebbrosarii appai* chiaro che essi furono so-pratutto istituzioni di polizia sanitaria, da cui fu totalmente esclusa. la terapeutica lino all'avvicinarsi dei tempi moderni. Siccome essi hanno per scopo di ritirare dalla società i lebbrosi giudicati contagiosi, così è logico che alberghino gli ammalati erranti. Ma per non gravare il loro bilancio di spese troppo forti e non introdurre fra i ricoverati un fermento di discordia, questi lebbrosi, che si trovano in trasgressione del bando e sono generalmente indisciplinati, vengono raccolti in un locale distinto e per 1111 tempo di solito assai breve. Se talvolta gli statuti dei iebbrosarii sono di un rigore esemplare, come al leper-house di Gieenside, non lungi da Edimburgo, ove i lebbrosi, che disubbidiscono agli ordini del capo, sono sospesi ad una forca, in generale le cose procedono in tutt’a«ltro modo. Raramente il lebbrosario è una prigione, ove gii internati vivono in reclusione perpetua. Assai sovente hanno il diritto di circolare tut-t’attorno senza permesso, puichè non oltrepassino certi limiti, una strada, un crocicchio, un ponte, un ruscello ecc. Essi non possono varcare questi termini senza licenza del capo. Allora debbono in dotfsare la divisa· del lebbroso, portarne in modo visibile le insegne e agitare le loro nacchere per avvertile i passanti della loro presenza. 0) Quando al lebbrosi è permessa l'entrata nelle città, non possono penetrarvi che in certi giorni e a certe ore per tutto Tanno, ed eccezionalmente in occasione di feste. Qualche volta sono obbligati a seguire un itinerario preciso. È loro proibito di mangiare in città, (ii frequentare le taverne, di passare la notte fuori del lebbrosario, salvo in circostanze eccezionali, per esempio quando il lebbroso de sidera assistere un amico -in articulo mortis. Ogni infrazione a tali divieti poteva pioyocare una punizione. L’ordine delle pene, che variava assai secondo i loioghi, comportava Tessere messo a pane ed acqua, l'amministrazione della disciplina. Tessere esposto alla gogna., hi privazione della prebenda concessa al lebbroso, Tesclusione temporanea, in ultimo l’espulsione definitiva. Tre ragioni principali giustificano la presenza dei lebbrosi nelle città: la questua, che assicura loro Tesistenza, l'acquisto delle provviste e Tadempimento dei loro doveri religiosi. Quasi sempre è accuratamente indicato il luogo, ove il lebbroso deve fermarsi per (1) In Francia il segno del lebbroso era quasi sempre un pezzo di panno rosso tagliato a piede d’oca e cucito sulla spalla. Le rettone di Grande Cagoterie, dice un vecchio poema di Béarn, hanno la « cocarde rouge au chapeü et lou Pé de Guit au coustat». 236 Edoardo Jeanselmë la questua. Sovente chi riceve le elemosine in luogo dei lebbrosi e nel posto indicato, è una persona sana; incontestabilmente questo rappresenta un progresso. E così pure per evitare il più possibile ogni contratto tra gente sana e malata, i provveditori dei lebbrosari ben organizzati non sono i lebbrosi stessi ma le loro fantesche o i loro sei*vi- In chiesa i lebbrosi ricoverati o liberi non avevano il diritto di mescolarsi agli altri fedeli. In molte chiese della Brettagna e del mezzogiorno della Francia ancor oggi si può vedere la porta bastarda e la pila delFacqua santa ìùservata ai Cagots, Caqiiìns, Gahei Christaas o Ghésitains. Essi occupavano posti speciali o rimanevano sotto l'atrio. Talvolta non potevano entrare nella chiesa se non nelle ore, in cui non si svolgevano le funzioni religiose. Era loro proibito baciare la patena; non erano ammessi al confessionale comune; il prete ascoltava la loro confessione al banco, che era lo io riservato. e attraverso un ansito di tavola. I figli· dei lebbrosi non dovevano esser battezzati sulle fonti, ma sopra la piscina in sacristia. Il sistema di difesa dalla lebbra è completato da due ordini di misure : 1° gli Ospedali principali non possono ricevere mi lebbroso nè come fiatello o sorella; reciprocamente i Iebbrosarii 11011 hanno il diritto di ammettere un individuo, che è affetto da una malattia diversa dalla lebbra; 2° in principio i lebbrosi, ricoverati 0 no, non debbono esercitare alcuna professione. Sono esclusi dal sacerdozio ; numei osi preti e vescovi dovettero rassegnare le loro caiiche perchè divenuti lebbrosi. Nella regione di Colonia un lebbroso non può essere eletto scabino. È fatto divieto ai sublocatarii di stabilijnenti di bagni, luoghi di dissolutezza assai in voga nel medio evo, di mantenere nelle loro case « meseaux ne meseles», a rigattieri di comprare le masserizie di un lebbroso, ai barbieri di salassare un lebbroso.... lu(ta\ia nell'interno dei Iebbrosarii i ricoverati possono dedicarsi alle loro occupazioni abituali; possono avere una corte, allevare bestiame, coltivare legumi, ma a espressa condizione che tutti i prodotti agricoli ottenuti con le loro fatiche saranno consumati sul posto, in Brettagna si tollera che essi siano cordai, facciano staia per misu rare il grano. Nel mezzogiorno della Francia e in Ispagna essi sono carpentieri, taglialegna, bottai e tessitori. Come si difese l’Europa dalla lebbra del Medio Evo 237 V 11 tramonto della lebbra in Euro fa Dalla prima metà del XIV secolo la lebbra .segna un movimento di ritirata nei varii paesi dell'Europa occidentale (Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Germania, Paesi Bassi e Inghilterra)· Questa regressione prosegue ugualmente, ma in epoca più tardiva, nei paesi! nordici e nell'est delF'Europa. I migliori chirurghi non hanno più l'occasione di osservare essi stessi la terribile malattia. Giovanni da Vigo dichiara che in vita sua non si poteva più citare un sol caso di lebbra in Itaìlia. Girolamo Fracassio assicura di non aver quasi mai visto nei lebbrosarii che forme di impetigo. Evidentemente egli non parla della lebbra che per sentito dire, poiché nella sua descrizione tralascia segni della massima importanza. La prova diretta e materiale che l'endemia cede è data dal vuotarsi dei lebbrosarii. In verità un po' dappertutto si osserva questo risultato paradossale che certi lebbrosarii rigurgitano di dozzinanti a mano a mano che il flagello diminuisce. Ma basta esaminare un po’ la questione per convincersi che tale affuenza non è dovuta· ad nna- recrudescenza locale. Oltre i prebendarii, i lebbrosarii albergavano a quest’epoca numerosi impiegati laici ed ecclesiastici. Quanto ai malati, essi erano rappresentati nel Rinascimento quasi esclusivamente da soggetti colpiti da im petigo, scabbia, tigne o altre affezioni cutanee estranee alla lebbra. Dai lavori di Tricot-Boyer (l) e da quelli di Van Schevensteen (2) appare che un buon numero di candidati, che domandavano di entrare nell’ospedale dei lebbrosi di Terzieken, erano affetti da dermatosi comuni ( scabies prava sen humida; morbus gallicuS; tinea capitis....). Talvolta il lettore si trova di fronte ad espressioni ambigue, come « leproes ex morbo gallico », « leprosi ad tempus ad alteram visitationem ». Secondo un processo verbale del 4 maggio 1556, comparvero alla visita di Terzieken 101 persone, di cui soltanto 47 furono riconosciute lebbrose. In mancanza di lebbrosi veri, bisogna crearne dei fìttizii. Di qui queste diagnosi sorprendenti: « lepra huius temporis», «lepra huius patriae», testimonianza irrefutabile deirestinzione del flagello. Motivi di ordine diverso, in primo luogo il desiderio di condurre una vita oziosa sia al lebbrosario sia, fuori di esso, mediante la mendicità, in secondo luogo l'interesse primordiale dei lebbrosi) Tuicoi-Royer, Un point d’histoire: quelles étaient les affections qualifiées de lépreuses dans l'ancien duché de Brabant? \u Mém. couron. publiés par VAcad. Roy. de Belgique, t. XXIII, 5 fase., p. 205 sg. (2) Van Schevensteen, A propos Je l'article du docteur Tricot-Roger, etc. in Janus, vol. XXXII 1928. 238 Edoardo Jeanselme sa rii, la cui esistenza 11011 aveva altro scopo che l’isolamento dei lebbrosi, hanno contribuito in più di un luogo a mascherare la scomparsa progressiva del flagelo. Ma là, dove queste cause non esiste vano, la regressione della lebbra appare in piena luce. L'endemia non sii è mantenuta che in Norvegia e in Islanda, sotto Γinflusso di fattori estrinseci, che in seguito indicherò. VI il sistema difensivo istituito nel Medio Evo è stata la causa principale del ritirarsi della lebbra? Anzitutto ci si potrebbe domandare se il decrescer© delia lebbra non ha avuto per causa Γimmunizzazione progressiva delle popolazioni o 1 indebolimento del virus. Non sembra proprio che tali motivi siano da prendersi in considerazione, poiché nelle regioni, ove l’isolamento e l’aiuto di altri mezzi, che più in là indicherò, non hanno fatto sentire la loro azione, Γendemia lebbrosa ha continuato le sue stragi fino all’epoca contemporanea. Se si confrontano il sistemi (li difesa applicato uniformemente dappertutto nel medio evo e la legislazione antilebbrosa, che vige in Norvegia, si è condotti a riconoscere che l’uno e 1 altra si ispirano ai medesimi principii. Dopo la legge del 2G maggio 1877 *i lebbrosi sono esclusi dal benefìcio del « Liigd », costumanza ini memora bile, che permette ai poveri di recarsi di masseria in masseria. La medesima legge, completata da quella del (j maggio 1885, comporta per tutti i lebbrosi l’obbligo del risolamente sia in un asilo pubblico, sia a domicilio sotto certe condizioni. In reatà Γisolamento aveva preceduto le leggi, benché la· curva della lebbra accennasse dal 1857 ad un movimento di discesa, che d‘allora in poi non cessò di continuare regolarmente. Mentre nel 1857 il numero totale dei lebbrosi era in Norvegia di 2833, nel 1920 non sorpassava i 140. Tali risultati ottenuti nel medio evo con un metodo mitigato, che offre molte analogie con quello, di cui si servirono i nostri padri, fanno pensare che la regressione della lebbra nell occidente e stata in massima parte la« conseguenza certa, diretta e immediata della profilassi istituita. L"n certo numero di avvenimenti storici, le persecuzioni, le carestie, le guerre e le epidemie hanno avuto sulla marcia della lebbia un influsso più o meno distinto. Ma la loro azione, invece di essere generale e permanente, non è stata che episodica, locale e pas seggiera. Non appena questi fatti hanno cessato d agire, l’endemia è risalita al suo corso primitivo. Come si difese l’Europa dalla lebbra del Medio Evo 239 VII / progressi dell'igiene domestica hanno cooperato all’estinzione della lebbra? Il sapone, dice Armauer Hansen, è il migliore agente di profilassi, che noi abbiamo. La pulizia del corpo, ho scritto quarantanni fa, crea in qualche modo un isolamento relativo dell·individuo nel centro di infezione· I lebbrosi norvegesi, immigrati negli Stati Uniti al XIX secolo, non hanno propagato la lebbra perché hanno preso le abitudini di igiene corporale della razza anglo-sassone. Al contrario l’incuria, la promiscuità offrono un alimento all'in-l'ezione hanseniana. In Francia i focolai per quanto piccoli di lebbra medievale, che covano ancora in silenzio, si annidano nei villaggi più miserabili e più sordidi, ove F endemia si perpetua pei* contagio familiare. Basta conoscere la sporcizia delle capanne abitate dai contadini norvegesi, e islandesi per capire come in tali centri l’endemia si sia mantenuta attiva per così lungo tempo, (i) * * * Viceversa i progressi dell’igiene domestica e del benessere, dal XIII al XVI secolo, hanno certamente influito sul decrescere del-Γendemia lebbrosa. II Ietto smisuratamente grande — misurava da 6 a 12 piedi quadrati — è una cornice di legno con un unico pagliericcio, su cui dorme tutta la famiglia. E non .solo i congiunti, ma gli ospiti di passaggio sono ammessi .sul ìe to comune. Membri della famiglia e stranieri dormono F uno accanto all’altro completamente nudi; giacché quelli, che possiedono una camicia da giorno, cosa assai rara allora, la rotolano alla sera e la mettono sotto il guanciale. Il letto collettivo fu usato per lungo tempo di regola negli ospedali. A Lione il museo dell'Antiquaille possiede un letto a quattro posti. Negli stanzini, ove pernottano gli artigiani e ì servitori, il modo di coricarsi è ancor più primitivo. Uomini e donne giacciono sulla paglia nuda o coperta da una semplice tela, che mal protegge i corpi dalle punture dei gambi di seccia. Non c’è bisogno di insistere sui pericoli di contaminazione, in < * 11 i incorrevano i viaggiatori negli alberghi, ove i lebbrosi erranti, a dispetto delle più severe prescrizioni, passavano la notte ad ogni tappa. il) D.’.NIELSSBN et BOECK, Traité de la Spédalskhed, Paris 1848, p. 343. - E. EHLBRS, Semaine Médicale, Paris 1874. 240 Edoardo Jeanselme La. sostituzione clella tela, come biancheria del corpo, alla veste di lana che portavano sotto e che non era per così dire mai lavata, fu un progresso. La lana infatti impregnata di sudore, di materia sebacea e di avanzi epidermici, in una parola di grasso, era molto propìzia alla conservazione dei gei mi infettivi. Inoltre essa albergava una moltitudine infinita di parassiti, la cui parte etiologica nella genesi della lebbra, nonostante numerose e pazienti ricerche, è ancora i n iperf et t a mente conosciuta. Quanto ai bagni pubblici, così frequentati in Francia e in Germania nel medio evo, si possono considerare come agenti di disseminazione della lebbra, perchè numerosi lebbrosi vagabondi vi si recavano nonostante le proibizioni. L'igiene della tavola non era meglio osservata- Tra i poveri un grande vaso di terra contiene il pasto di tutta la famiglia. Ognuno vi attinge con le dita. La minestra è messa in buchi praticati nello spessore della tavola a una certa distanza l'uno dall’altro. La brocca da bere passa di bocca in bocca. Tra i ricchi e i nobili i convitati sono disposti per coppie. 11 cavaliere e la sua vicina hanno davanti, in forma di piatto, un pezzo di pane tagliato a cerchio, detto «pain tranchoir», sul quale sono serviti i cibi destinati alla coppia. Il piatto, prima in legno e p >i in terra verniciata, sostituì in seguito il pane tagliere (pain tranchoir). L’uso della forchetta non diventa comune nell·Occidente che al XVI secolo. I convitati, che fanno parte della medesima coppia, bevono allo stesso bicchiere. Pei* onorare una persona di alto liguaggio, il padrone di casa alza la .sua coppa, vi bagna le labbra e poi la fa girare tra i commensali perchè bevano uno dopo l'altro. Quest'uso esisteva ancora lai XV secolo. Vili Dai fatti esposti in questa relazione risulta che molte cause hanno contribuito alla estinzione della lebbra in Occidente. Se attribuisco il primo posto al sistema di difesa e di isolamento praticato nel medio evo, sono ben lungi dal disconoscere 1 azione di altie cause ausiliarie e in paiticolare dei progressi dell’igiene pubblica e privata durante il lungo periodo, che va dal XIII al ΧΛ 1 secolo. Edoardo Jeanselme Professore della facoltà di Medicina di Parigi Membro dell Accademia di Medicina Presidente della Società di Storia della Medicina. DISCUSSIONI E COMMENTI Ancora de “ I Benedettini e la Madonna del Canneto ,. Riceviamo o pubblichiamo : « Spett. Direzione del Giornale Storico e Letterario della Liguria Occupato nella mia lunga professione medica·, e dico lunga perchè abbraccia un’attività di dodici lustri, soltanto per caso venivo recentemente a conoscere una recensione stata fatta a pag. 151 dell’anno 1931 di questo giornale del prof· Carlo Bornate sulla mia pubblicazione «I Benedettini e la Madonna del Canneto a Taggia». Non avrei creduto che un lavoro da me fatto per passatempo e destinMò ai floricultori locali (tanto vero che non fu esposto in vendita: provocasse tanto fuoco di critica. E quale fuoco ! Poiché mi dolgo anzitutto che il prof· Bornate, che non risparmiò asprezze e censure, abbia ciò fatto dopo 3 anni, dalla pubblicazione del mio lavoro suddetto. Invoco, facendo assegnamento sui sentimenti di equanimità che sono sicuramente nelFanimo di Chi dirige codesto pregiato Giornale, un trattamento di favore, perchè io per quanto tard1’, possa rispondere alle critiche del prof. Bornate. Io intendo domandargli : 1.) Se egli possa negare che i Bollandisti nel luogo da me citalo diano -notizia di una donazione di Taggia e suo territorio (usque ad iugum Alpium) fatta alla Chiesa vescovile di Genova. 2.) Se non sappia di una Bolla di Papa Innocenzo 4° che riconferma alla Abbazia Benedettina di Pedona (ora Borgo S. Dal-mazzo di Cuneo).le chiese di S. Dalmazzo di Tenda e di N. S, di Canneto a Taggia^,; colte loro pertinenze, 242 D. Fornara - C. Bornate 3.) Se si senta di disconoscere le tre pubblicazioni di Bernardo Bianchi (1602), di Nicolò Partenio (il709) di Iacopo Durandi (1769), che offrono una storia dettagliata e documentata di suddetta Abbazia. 4.) Se abbia mai letto J'Atto del 972 (riportato dal Liber Jurium che mentre riconferma la donazione sopra indicata attesta le devastazioni di quei territori e Γeccidio degli abitanti compiuto dai Mori- 5.) Se disconosca la Bolla di Leone X° che investì i Domenicani (venuti a Taggia nel 1459) dei rimasugli benedettini, precisamente dicendoli : olim F rat rum B. Benedicti)· E può lo stesso Professore contestare che il Santuario primitivo della Madonna di Canneto, a Settefrati (Prosinone), si trovi nei pressi di Monte Cassino e che abbia anche appartenuto a quei Monaci? Può contestare che Taggia e la sua vallata siano piene dei ricordi e di ruderi benedettini? Quale difficoltà può trovare ad ammettere che se a Pedona i Benedettini siansi stabiliti al tempo di Papa Gregorio Magno, cioè poco dopo la morte del loro fondatore, recando seco il titolo della Madonna del Canneto? Io conti do che la recensione del Prof. Bornate non abbia mutato il giudizio benevolo dei lettori sulla mia monografia, e che le mie deduzioni avvalorate dallo studio di cultori che mi seguirono, possano ancora oggi resistere a così non desiderati attacchi. Taggia. 14 Novembre 1933-XII. Dott. Domenico Fornara ». Per procedere con ordine, incomincio con dichiarare che io· non mi sono procurato l’opuscolo del Dott. Fornara in modo clandestino, ma Pho avuto dal Direttore del « Giornale storico e letterario della Liguria » per la recensione. Credo che il Direttore del «Giornale storico» nell’invitarmi a fare la recensione abbia interpretato il desiderio dell’Autore. Ho scritto la recensione dopo aver letto l'opuscolo, ed ho letto l'opuscolo, quando l’ho ricevuto. La lagnanza·, perchè la recensione sia stata fatta tre anni dopo la pubblicazione, mi sembra, quindi, puerile. Del resto il ritardo non ha influito affatto sul giudizio; esso non sarebbe stato diverso, anche se fosse stato scritto tre anni prima. Ho riletto quella paginetta di recensione per cercarvi il faioco e non l’ho trovato: vi ho trovato invece una temperatura sensibil- Ancora de « I Benedettini e la Madonna del Canneto» 243 mente inferiore a zero. Ora il Dott. Fornara chiede l’ospitalità del (( Giornale storico » per rispondere alle mie critiche, ma in realtà fa delle domande. In questo modo non c’intenderemo mai· Il Dott. Fornara parli del $uo opuscolo ; indichi (citando bene, con esattezza, non a casaccio, come suol fare nei suoi lavori storici) i luoghi nei quali, secondo lui, non ho inteso od ho frainteso le sue parole. Se egli ha buoni argomenti per provare che i Benedettini so no passati da Pedona a Taggia nel secolo VII°, li esponga, con ordine, con chiarezza, con precisione, non dimenticando mai di citare le fonti in modo completo: così e non altrimenti persuaderà il lettore. Ma finché imbastisce dei ragionamenti (?!), come fa a pag. 40 e 41, e quando dice (pag. 41, riga 28 del suo opuscolo) « Documenti, è vero, non ce ne sono » non potrà pretendere, l’Egregio Autore, che il lettore creda sulla sua parola. Se per provare un fatto avvenuto nel secolo VII0, il Fornara non ha altri argomenti che una Bolla (di cui non indica la fonte) del 124G e un generico accenno di Leone X°, deve persuadersi anche lui che dispone di argomenti poco solidi. Questa «tardiva risposta», poi, mi fa ricordare il metodo usato dal mugnaio-abate con « messer Bernabò, signore di Melano » di amena, sacchettiana memoria ! Avrei finito, se non dovessi aggiungere due parole sui nou desiderati attacchi. Intendo rivendicare la più ampia libertà di giudizio sulle pubblicazioni che sono sottoposte al mio esame ; e non posso tollerare che un giudizio franco e onesto venga poco accortamente scambiato per un’imboscata o qualche cosa di slmile. Ο. B. Intorno ad una proposta di alleanza segreta fra la Corsica e Γ Olanda nel 17$ 6 È stato di recente pubblicato nell ’Archivio storico di- Corsica (x) da Franco Schützer un documento riguardante « un progetto di alleanza segreta tra la Corsica e 1 Olanda (1730) » ; documento tratto dal (1) n. 2, aprile-giugno 1933-ΧΙΓ, pag. 254 segg. 244 Onorato Pàstine K. Archivio di Stato napoletano e a ragione giudicato «notevole» per la storia deli-isola genovese nel perìodo a cui si riferisce. Non per voler farne un appunto all egregio studioso, ma per il semplice rilievo di un fatto e per aggiungere alcune notizie, che giovano a meglio illustrare il documento in parola, lo scrivente ricorda eh e egli già ebbe a inserire il testo delle allora inedite « Propositions que les Corses font à L. Η· Γ. les Seigneurs Etats Généraux de Provinces Unies » in un suo lavoro pubblicato nel 1923. u') Lo Schützer afferma che queste proposte «senza dubbio dovettero essere avanzate nel periodo di tempo intercorso tra la Consulta generale di Casacconi del 2 settembre 1736 e quella di Sartene del 5 novembre dello stesso anno ». Osservo che un esemplare del « progetto » perveniva a Torino, per esser trasmesso a Londra, nella seconda metà di novembre, e che verso la line di questo stesso mese altro ne giungeva a Genova da Parigi, mentre soltanto il 5 dicembre successivo veniva spedita a Napoli dall’ ambasciai ore di quel governo a Torino, Emmanuele de Sadâ y.Antillon, la copia di cui si parla nell’articolo, che è occa rione al presente scritto. Non credo quindi che si debba risalire troppo indietro rispetto a queste date. Sì noti che Teodoro di Neuhoff, l’effimero re dei Corsi, fuggito dall'isola, dov’era approdato il 12 marzo li36, sbarcava a Livorno il 14 novembre; è che appunto da Livorno proviene il documento giunto, come dissi, a Torino nella seconda metà di novembre. L’Inviato della Repubblica di Genova presso il re sardo, il marchese Gio Batta De Mari, comunicava al suo governo notizia del nostro documento appunto il 21 novembre 1736. « Al medesimo \illet — egli scriveva — è stato mandato da Livorno con incarico di trasmetterlo immediatamente al suo Re un foglio·, anzi con riserva, che non dovesse lasciarlo copiare. Per tale motivo volendo religiosamente procedere, e nello stesso tejnpo non mancare di usai meco d attenzione me ne ha fatta di pas-saggip la lettura». (1) La repubblica di Genova c le gazzette - Fit« politica e attività giornalistica (see. XVII-XVIII) - F.lli Waser e C., Genova, 1923, pag. 241 e segg. _ , Il documento trovasi nell'ARCHivio m Stato in Genova, lettere Mim.tr,, Tonno, busta 2494 A, unito alla lettera dei Ser.mi Collegi ail lnviato genoese, G. B. «e Man, in data 20 novembre 1736. , Fra i due testi - entrambi scorretti nella ortografia - non vi sono differenze sostan- Vati All art. 7 Io Schlitz trascrive·, «tele de l'Elba» dove io j.0 letto, nella copia che avevo sott'occhio; «iB:e de Bossa», interpretato: «isola Rossa»; .1 che sembrerebbe p.u logico, trattandosi certo di una località della Corsica, dato che ivi, oppure a Portovecchio, è detto che si dovevano sbarcare le armi e munizioni, «selou les informations, que ils y trouveraient» a Livorno. Intorno ad una proposta di alleanza segreta, ecc. 245 Il compiacente diplomatico eia Arturo Villette», segretario dell'ambasciata britannica, rimasto a Torino come incaricato d'affari, dopo il richiamo a Londra, dietro sua domanda, di Milord conte d’Essech (giugno 173G). Egli aveva avuti ordini «precisi e segreti » perchè trasmettesse direttamente a Sua Maestà tutte le lettere che gli fossero pervenute « per Mercanti ‘Livornesi Corsi o persone, che potesse rimirare sospette in riguardo dell'isola rivoltata come quelle, che parimente di tal natura gli fussero trasmesse da Livorno.....»· Il De Mari riassumeva nella sua missiva il contenuto degli articoli delle citate «proposte»; senonchè il governo della Repubblica, pochi giorni dopo, e precisamente il 29 novembre, gli trasmetteva a sua volta il testo integrale degli articoli stessi, die esso aveva ricevuto da Parigi. L’Inviato genovese aveva espresso il dubbio — certo non fondato — che il foglio potesse essere « apocrifo e da non doversene far uso alcuno », giudicando ad ogni modo la cosa come « non accettabile » dagli Olande**’ Si può ritenere con lo Schützer che la proposta di alleanza 11011 avesse «alcun seguito diplomatico di negoziati»; ma è da esaminarsi se veramente ossa, come egài asserisce, «non fu presa in considerazione alcuna». Il Le Glay ( ) non conosce le « propositions» delle quali qui si p* fi", ma,si sofferma non poco sui rapporti del Neu li off con Γ Olanda. Colà troviamo Γavventuriero, dopo la fuga dalla Corsica, già al principio del 1737. Nel marzo egli è ad Amsterdam, dove viene arrestato per debiti, ma tosto liberato. In seguito alle trattative con quei mercanti, si ha la spedizione fallita della nave « Madamigella Agata» (giugno 1737), e, dopo altra nel novembre della « Yoimg-Rombout», quella (173S;) dei tre bastimenti scortati da una nave da guerra (« Preterod »), ancora con esito negativo. Il re Teodoro finisce allora a Napoli, dove è validamente protetto dal console olandese,.come pure dal governo napoletano. Del resto fin da quando il Neuhoff era in Corsica, i Ser.mi Collegi informavano il Segretario Bologna di Vienna del carteggio che si diceva egli tenesse con mercanti di Middelbourg in Zelanda per averne il necessario rifornimento di armi e munizioni. (2) (1) A. Le Glay, Théodore de Neuhoff, roi de Corse, Momaco, Imprimerie de Monaco,- 1907. (2) Archivio di Stato in Genova, Litterarum Finium, Reg. n. g. 398, Genova, 21 settembre 1736* 246 Onorato Pastine L'offerta delle nostre ((Propositions» di un porto della Corsica, concorda poi con quella di Aiaccio, effettivamente fatta dall’avven-turiere ai mercanti di Amsterdam. Ma qui giustamente si domandano le « Mémoires de certaines intrigues de Théodore » citate dal Le Glay : « quelles troupes ont des marchands pour garder une forteresse dans un pays où la guerre est actuellement, si les Etats eux-mêmes n’y avaient pris des engagements secrets? ». Si aggiunga il reciso ritinto dellç Provincie Unite alla richiesta di Genova perchè si mantenesse l’arresto del Neuhoff per consegnar- lo alla Repubblica, nonché le vivaci proteste per le opposizioni di questa al libero commercio delle navi olandesi trafficanti con i ribelli, e si vedrà quale risulti il vero atteggiamento di quel governo. Certo l’importanza commerciale della· Corsica non era grande per gli Olandesi; tuttavia il ministro britannico Yillettes sopraricordato, dichiarava al De Mari, parlando delle « proposte » pervenute da Livorno, di « imaginarsii che chi (le) trasmetteva avesse in idea di prevenire il suo Re, ben sapendosi, che Olandesi avevano sempre in vista il loro comercio a pregiudicio di quello1 d’Inghilterra »· È pur vero, poi, che le Provincie Unite dovevano temere di urtare la suscettibilità degli Stati europei « e più speeialmente della Francia, che da gran tempo aveva poste sull’isola Ie sue cupide mire», come scrive lo Schützer ; ma occorre tener presente che anche altre Potenze nutrivano analoghe aspirazioni. Delle avide brame dei Governi europei, dei raggiri con cui essi circuivano la repubblica di Genova, insidiandone il dominio nell isola turbolenta, ho particolarmente parlato nel citato lavoro (2). Qui accennerò soltanto a guanto si riferisce alla Spagna, essendo ciò in più stretto rapporto con il nostro documento. Fin dall’inizio della rivoluzione del 1729, che condurrà, dopo quarant anni di dolorose vicende, all’occupazione francese della Corsica, la Spagna di Filippo V e dell’irrequieta Elisabetta Farnese, era sospettata di intrighi e di mire ambiziose sull isola genovese. Il Conte generale Filippi, inviato nel 1731 dalia Corte di \ ienna in (2) La Rtp. di Genova ecc., pp. 107-147. - E‘ questo uno degli aspetti della storia della Corsica, che gli studiósi vanno da qualche tempo giustamente rivedendo, anche rispetto ai caratteri della dominazione genovese, contro gli errori stereotipati della narrazione tradizio naie. Dell’argomentò particolare qui accennato, intorno al quale non mancano inesattezze anche iu storici seri come il le Glay, si occupò pure G. Volpe in Europa e Mediterraneo nel XVII e XVIII secolo - Come la Corsica divenne francese («Politica», f. I. n. XLIX, 1923), ed altri anche recentemente. Intorno ad una proposta di alleanza segreta, ecc. 247 missione straordinaria a Torino, mentre comunicava confidenzial mente al De Mari che l’imperatore avrebbe « imprestato » a suo tempo « qualche reggimento per mettere a dovere quella, canaglia (i Corsi) » (!), insinuava che i ribelli fossero aiutati dagli Spaglinoli, affermando che questo appunto era « in gran parte » il motivo della decisione imperiale. Più tardi, nel 1733, dopo la partenza delle milizie cesaree dalla Corsica», l'ambasciatore di Francia a Torino diceva «per abbondanza di cuore» allo stesso De Mari, discorrendo dei ribelli còrsi rifugiati in Toscana, che «conveniva portar premurose istanze alia Spagna, se si voleva procurare che desnidassero da Livorno ». (2; Pochi giorni dopo, il Conte di Charny, cojnandante dell'esercito spagnuolo giunto da poco in Italia con Don Carlo, aveva 1111 colloquio segreto a Torino con il Giafferi (3); nel quale colloquio è legittima la supposizione che si parlasse anche degli accordi che i capi ribelli Ceccaldi, Giafferi e Aitelli, di recente liberati dalla Repubblica, avevano stretto con Teodoro di Neuhoff, personaggio allora oscuro, che nel 1732 si trovava a Genova sotto il falso nome di un milord inglese per preparare la sua goffa avventura regale. La ribellione ricomincia infatti al principio del 1734, e se è vero che Filippo V rifiutasse Tanno seguente di concedere la sua protezione sull’isola invocata dal canonico Orticoni, penso, come già ebbi a dire, che, in tanta diffidenza delle Potenze europee e mentre s'i icombatteva la guerra di successione polacca, in cui. Don Carlo realizzava i*L piano di conquista del regno di Napoli, non sarebbe stato neppur possibile al re di Spagna di accettare Γofferta ; e questo a prescindere da altre considerazioni. I sospetti sulla Spagna — per quanto interessati — furono pure affacciati nel gennaio del 1735 al Sorba, segretario della Repubblica a Parigi, dal cardinale Fleury, che nello stesso tempo « uscì in offerte di truppe», iniziando quelle insistenti pressioni sul governo genovese, che portarono poi all'intervento della Francia, concordato nel 1737 ed effettuato nel febbraio 1738. « Si esagerano le vaste idee della ^Regina di Spagna — scriveva (1) A. S. G. Lettere Ministri, Torino, n. g. 2491 (a. 1730-31), De Mari ai Ser.mi Oollegi, 27 marzo 1781 (2) Ibid., Lett. Min., Torino, n. g. 2492 A (a. 1732-33), De Mari ai Collegi, 9 settembre 1733. (3) Ibid., De Man ai Collegi, 24 settemore 1733. 248 Onorato Pastine il De Mari ai Ser.mi Collegi il 29 agosto 1735 {l) — e non si mette da alcuno più in dubbio, clie F ostinazione dei ribelli in Corsica proceda dalle lusinghe o dirette, o indirette, che hanno dalla Spagna». Gli stessi sospetti nutriva il Fleury ancora dopo lo sbarco del Neuhoff in Corsica (marzo 1730) ; mentre a Torino perveniva no tizia che fossero giunte a Livorno, con nave catalana, al tempo del passaggio del barone Teodoro nell’isola, trenta mila piastre da corrispondersi a costui per mezzo del banchiere dell arenata spa-gnuola. (2) Nei giugno 1736 si giunse persino a parlare di un «progetto» di vendita dell'isola alla Spagna; il che in vero non rispondeva a verità — come altrove rilevai (3) — sebbene a Parigi si mostrasse di credere a tale voce ancora nel 1737, alla vigilia della spedizione francese. E poiché a Madrid si associava pure Napoli e ripetutamente si parlava di una lega tra quei due governi per la questione còrsa, la Repubblica, sempre trepidante fra tante insidie, faceva indagare a Parigi e a Vienna sulla consistenza di tali notizie « e circa la probabilità e disegni di detta lega». (4) Non è improbabile che anche la Spagna avesse pensato ad una spedizione militare in Corsica. L’Inviato genovese a Torino dava notizia, il 30 maggio 1736, al Magistrato degli inquisitori di Stato deLa Repubblica di quanto gli aveva detto l'ambasciatore spagnuolo de Sa-da : « Divenire l'osso della Corsica difficile più che mai a rosigarsi tanto per parte della Rep.ca che per quella de sollevati, se qualche Principe non vi metesse la mano sua». (5) Ma invece della Spagna si mosse un anno dopo la Francia. Genova diffidava — e ben a ragione — di tutte coteste Potenze troppo premurose di consigliarla, di soccorrerla e d’immisichiar&i nella spinosa faccenda còrsa. Dopo lo sbarco del Neuhoff essa aveva richiesto1 agli Stati europei provvedimenti per la proibizione del commercio coi ribelli ; ni a anche quando ciò fu accordato, continuarono ugualmente i con trab bandi, specie per parte dei francesi. Dopo la fuga dell avventuriero (1) A. S. G., Lett. Min., Torino, busta 2493 A. (2). A. S. G., Lett. Min., Torino, busta 2493 A, De Μ*1·4 al Mag.to degli Inquisitori di Stato, 18 e 27 agosto 1736. (3) La Rep. di Gen. ecc., p. 11G segg. (4) A. S. G., Litter. Finium, Reg. n. g. 398, I Collegi al 3eg.no Bologna di Vienna, Genova, 23 marzo 1737. (5) A. S. G., Lett. Min., Torino, biistâ 2495 À." - ’ ’ Intorno ad una proposta di alleanza segreta, ecc. 249 (settembre 1736), i vari governi non avevano tenuto in nessuna considerazione la domanda di arresto, avanzata dalia Repubblica., Questa, che non tanto desiderò quanto subì gli interventi stranieri nell’isola, aspirava ad ottenere piuttosto una. dichiarazione di garanzia dei suoi domini da parte delle maggiori Potenze; ma esse o non ne vollero sapere, o raccordarono a loro piacimento, come .fecero Francia e Impero soltanto in occlusione deli accordo per la spedizione francese del 1738, In quest’anno ancora si sperava di poter ottenere la garanzia della Spagna; nel 1739 inutilmente si tenterà di conseguite quella ^britannica. In mezzo a sì gravi pericoli e a tante insidie, la Repubblica, per salvarsi, si destreggiava contrapponendo talvolta, gli uni agii altri, gli, interessi e gli appetiti dei governi europei. Così comprendiamo come i Ser.mi Collegi, inviando, come si disse, il 29· novembre 1730 a G. B. De Mari a Torino le ’« Propositions» dei Corsi agli Stati Generali delle Provincie Unite, potes sero scrivere: «Vi rimettiamo copia degli articoli de quali in altra dì dette vostre de 21 a Noi pervenuti da Pariggi, ad effetto, che potiate farne confidenza con codesto Ambasciatore di Spagna, in vista che esso possa far concepire alla sua Corte Γopportunità .d'invigilare sull’idee, che potessero esservi, e quanto a lei compie che resti nel pacifico nostro possesso quell'isola. Sappiamo che la solita vostra destrezza, e avvedutezza saprà rego aisi col detto S.r Ambasciatore in modo, che si sveglino in esso detti sentimenti, e por,sa come suoi farne uso alle sue Corti, senza poterli rappresentare, come suggeriti da Noi, ben vedendo che a Noi non compie il fare queste parti, onde gli communicherete come pervenutivi altronde, et in confidenza vostra privata » . Nel frattempo il Neuhoff stava segretamente intrigando col ministro di Spagna a Firenze; cos-] pure l’anno seguente l'ambasciato-re di quella nazione ali’Aja verrà sospettato quale protettore del-l'avventuriero. Γ) Comunque non è dubbio che il De Mari eseguisse subito l'ordine ricevuto; e Γambasciatore spagnuolo, che eia, come sappiamo, il (1) La Gazzetta di Berna — della cui venalità trattai a lungo nel mio citato lavoro — iu una corrispondenza da Amsterdam in data aprile 1737, negava ogni partecipazione della Spagna e di Napoli nell’affare del Neuhoff : «Au rest il paroit assez manifestement, et l'on n’en fait plus le moindre doute, que ni la Cour de Madrid ni celle de Naples n'ont βΛ aucune part à son Entreprise, et qu’il y est seul le principal Interéssé, d’autant, qu’on ne s’aperçoit en aucune maniere, que le Marquis de S, Gilles Ambassadeur d'Espagne, prenne la moindre part à ce qui le regarde, ni entretienne, aucune intelligence directe, ou indirecte avec lui». 250 Onorato Pàstinê ricordato Emmanuele de Sada y Antillon, si sarà certo affrettato ad inviare il documento alle sue due corti di Madrid e di Napod. A quest'ultima, infatti, vedemmo che venne trasmesso in data 5 dicembre : così ci fa sapere lo Schützer ; il quale nota come il de Sada, sebbene si trattasse di un progetto che doveva rimanere segreto, riuscisse, « non si sa come, a procurarsene una copia». Credo che dalle notizie sopra esposte risulti chiaramente la provenienza del documento, fornito al de Sada stesso dall·Inviato genovese e da lui spedito tosto a Napoli e, senza dubbio, anche a Madrid, dove è probabile fosse già pervenuto per altra via. Onorato Pastine SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE SULLA CORSICA (Continuazione: Vedi num. precedente) PIÈCES diverses concernant l’histoire de la Corse de 1560 à 1572, in Bull, de Corse, 1885, fase. 59-60, pagg. 137-198. [Tratta della cessione dell’isola di Corsica dal Banco di S. Giorgio alla Repubblica - Suppliche dei Corsi, Provvedimenti finanziari della Re-pubbl. per colmare i deficit] Documenti dell Universitaria, di Aiaccio e Archiv, di Stato di Genova. PIfiCES relatives au Syndacat des officiers Génois dans l’île de Corse par letterou, in Bull. Soc. Scientif. de la Corse. 1883, (III), pag. 413 seg. ; Ann. V-VI, (1885-86), pag. 413-440 - sec. XVI-X\II. [Studia le attribuzioni dei Sindacatori nelle diverse modificazioni apportate a questo ufficio, Documenti.] POLINO de Mela. Lettres de P. de M. et de quelques antres personnages relatives à la deuxième révolte de Gian Paolo de Leca contre les Corse, 1488-1489, in Bull. Soc. Scientif. de la Corse, Ann. V-\I, (1836-86), fase. 61, pagg. 202-260. PORRO Giulio. — Trattato fra il Duca Filippo Maria Visconti e Alfonso d’Aragona (1421). Archivio Storico Lombardo, VI, (1879), pagg. 357-360. Relativo alla Corsica. PROCESSO de Corsi in Roma. (20 Agosto-21 Novembre 1662), in Bull. Soc. hist, de la Corse, 1888, Ann. VIII, fase. 91-94, pagg. 71-434. QIJENZA (Jean de). — Sampiero sauvé par Polidori de Corte, in Revue de la Come, 1924, (\ ), pagg. 123-125. KACCONTp dell'accidente occorso in Roma fra la famiglia del signor Duca di Crequi e la milizia Corsa nel 1062, Monte Chiaro, 1671, 2 voli. 12° RAPPORT des Députés envoyés par l’office de Saint George au Pape Nicolas V, in Bull. Soc. hist. Corse, rl883, (III). RECUEIL de toutes les pièce* concernant les démêlés qui son entre Sa Sainteté et Sa majesté très chretièune. ÎParis, Mugnet, 4e, 1688, pagg. 845. RRGNIER-DESMARAIS. — Histoire des démêlés de la Cour de France avec la (’our de Rome au sujet des Corses, (s 1.) 1707, 4·. RELATION de l’insulte que les papalini firent au Duc de Çrequi. Cologne, 1670, 12·. Bibli. Mis·. RELAZIONE succinta dell’accidente occorso in Roma l’anno 1662 nel pontificato di papa Alessandro VII tra la famiglia dei Duca di Crequi Ambasciatore Cristianissimo e la milizia corsa, in Bull. Hist, de la Corse, 1888, Ann. VIII, fase., 91-94, pagg. 1-69. 252 Renato Giardelli RELATION de tout ce qui se passa entre le Pape Alessandro VII et le roy de France au sujet de l’insulte que les papalins lì*ent au Duc de Crequi le 20 Août de 1 an 1662. Traduit de l’ital'en. Cologne, Pierre le Pain, 1675, 16°, pagg. 146. RISEES (Les) Ce Pasquin ou l’histoire de ce qui s’est passé à Rome entre le pape et la France, dans l’ambassade de M. de Crequi, avec autres entretiens curieux touchant les plus secretes affaires de' plusieurs Cours de l’Europe, Cologne, 1674, 12°. ROBERTI G. — Una let*.era. di Vannina d Ornano, in Giornale Ligustico ài Archeologia Storia Letteratura XVI, pagg. 303-307. ROMBALDI Jacques. — La Corse Française au XVI sièle, Sampiero Corso colonel général de l’infanterie coise au service- de -la 'France, Paris, 1887, 8°. Re-', in lievue Critique d’histoire et de Littérature, 1887, 2, pag. 165; in Archiv. Stor. Italiano, Ser. V, Tom., pagg. 105-111. ® SIEVERING.: — Genueser Finanzwesen. ?nit besonderer Berücksichtigung der Casa·, di' S:Gior gio, in.;. YoUrs w ir is e hnj tliche Abhandlungen der Badischen Hochschule, Freiburg, Tom. I-III, 1·$98-189ρ·; <*al 1407. Trad, di Onofrio Soardi in Atti· Soc. Lig. d4 Storia Patria, Genova, (yol. 35), 1906-1907. Ree. Lattes in- Arch. Storico 1907 [Corsica sotto la Maona, pagg. 1S0-133 (a 1405-1482), pagg. 176-180.] SPINOLA Massimiliano. — Considerazioni su alcune particolarità poco note concernenti la dominazione genovese nell’isola di Corsica, in Giornale Ligustico di Arch., Storia, Letter., U, pa*g. 297-3GS ; 329-53; 423 38. Estr. 8°, pagg. 54. THOU. — Histoire universelle de Jacques-Àuguste . .de Thou avec la suite par Nicolas Ri-gault, les Mémoires de la vie de l’auteur, ou receuil de pièces concernant la personne et ses ouvrages ; y comprises les Notes et principales variantes corrections et restitutions qui se. trouvent dans les ms. de la Bibliothèque dû Roi de Ms. de Puy, Rigault et de Santé-Marthe. Le'tout traduit lut la nouvelle edition latine de Londres et augmenté dé Remarques historiques et critiques par Casanbon, du Plessy Mornay... ]) Paris, Augustin Courbé, 1659, (Tom. I-III); 2) Bastie, chez Jean Biand-muller, 1742, (Tom. 1) (Tom. XI). [Notizie: Filippo Corso difende Bologna; Bernardino Corso, I, pagg. 61, 755; la Corsica sotto D’Ornano - Trattative sue con vari potentati. II, pagg. 657, 695, 696: Torna .sotto i Genovesi - Sampiero, III, pagg. 43-46.] TOMMASI M, C. — L'administration de la Corse sous la domination Génoise. 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Q. -V · Milanese, - diviso in due parti; nella prima si narrano le guerre successe nel Piemonte tra l’imperatore Carlo V e il re Arrigo di -Francia.... nella seconda descr.ves. la «bel-lione nell'isola rdi Corsica dalli Sign. Genovesi, procurata da Santi Pero, corso Colorii di Carlo IX re di Francia - Cose accadute dall’anno 1548 fino al 1568. a le qua i autore intervenne.: Stamp, a Lucca per il Busdrago, 1600, 16y cc np. 4, pagg. Sac, g io di una Bibliografia Generale della Corsica 253 Dalla rivolta del 1729 alla sottomissione alla Francia 1769 ALTE (Das) und neue Corsica oder hinüen/'liclie N'achrichthsowolilvon dieser insul und Koenig-rçiclî ah äich, als auch was sich von An'oegimi bis jetzt insonderheit bey don d^r-mahligen Révolution damit zeegetYageh hat. Nürnberg, 1736, 4°. AMBROSI (R.) A. — L’Expulsion des Jdsuites de Corse par les Français en L768, in Revue de la Corse, 1926, pagg., 231-239. AMNISTIE accordée à la Corse en 1732 par 1 empereur Charles VI, Milano, Stamp. 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  • roù«ratore di'Vico per fare atto di fedeltà al re i ra -■> gno 1738>]“ c;.· FONTANA" FÂUL. —’ Pascti Paoli et' F^ÒléOÌi, in Révolution française, Oöt. 1926. [Francofilia di Paoli e Napoleone]. . FONTANA m Reiàissanc* He la Córse, '3 Août; ' 101], [cessione della Corsica alla Francia **“ *dà parte· di GehovaÌ. ' 1 FUMAROLI. — Du rôle des Pumuntichi en Corse en XVIII -siècle, in Bull. Soc. Hist, Cor»c, ‘ - 1919, (Ann. 09), n, 397-400, pagg. 1-23. · Saggio di una Bibliografia generale della Coirsica 257 GAGGIERO. — Compendio della Storia di Genova dall’anno 1779 al 1797 che fa seguito a quella di Francesco Maria Accinelli. Genova, Tip. Como, 1861, 16°; [pagg. 49-70 Paoli (avv. 1788-89); 112 guerra di corsa]. G GENERAL (A) Account of the island of Corsica with authentic Memoirs of Baron de FeuhofT. London, 1839. GERBA Raimondo. — Guerre in Sicilia e in Corsica negli anni 1717-1720 e 1730-1732. Campagne del Pirincipe Eugenio di Savoia. Torino, Roux, 1901. \ol, 18-19. [A cura della Sez. Storica dello S. M. austriaco tradotta in italiano per munificenza di Re Umberto]. GORANI Giuseppe. — Mémoires secrets et critiques des cours, des gouvernements et des moeurs des principaux Etats de l’Italie, Paris, Buisson, 1793, 8°, 3 voli. [Narra un suo progetto per divenire re di Corsica ai tempi di Paoli]. GIANMARCHI (Abbé). -- Vita politica di Pasquale Paoli. Bastia, 1858, 8n. GIUSTIFICAZIONE della Rivoluzione di Corsica e della ferma risoluzione presa da’ Corsi di mai più sottomettersi al dominio di Genova. Corte, Stamperia della Verità, 175S, 8·, pagg. 323. [Opera di Giulio Matteo Natali, o di Salvini Gregorio]. (Continua) Renato Oiardelli. Rassegna Bibliografica Mario Lopes Pegna - Una colonia romana della Liguria occidentale, Firenze, 19-33, L. 12. Della romanizzazione della Liguria occidentale si sono occupati storici di professione e storici... occasionali: i primi per amore della scienza, gli altri per amore del campanile. Con queste parole non intendo diminuire il merito di quei pazienti indagatori delle memorie patrie clie nei loro studi hanno avuto di mira il progresso della scienza : voglio dire soltanto che non tutti coloro, che hanno trattato questo dittici le argomento, vi si sono accinti con la necessaria preparazione, e spesso con ipotesi poco fondate o con interpretazioni pueiùli hanno contribuito ad aumentare le difficoltà- se non pure a. far nascere la confusione. Γηο dei più appassionati e più seii fra gli studiosi della Liguria occidentale è stato ai nostri ^tempi Gerolamo Ilossi, il quale con la «Storia della Città, di S. Remo» (S. Remo, 1807), con la « Storia della Città e Diocesi di Albenga » (Albenga,' 1870), con la « Storia della Città di Ventimiglia )) (One-glia 1889), con i « Liguri Intemeli » (Atti della Società ligure eli Storia Patria, t. XXXIX, Genova, 1907) e con articoli pubblicati m varie Riviste lia trattato con molta dottrina gran parte delle questioni che si riferiscono alla storia antica e moderna della Riviera di Ponente). Anche Ettore Pais, con la competenza che tutti gli riconoscono. si è occupato dell'argomento in due dissertazioni : Intorno alla conquista ed alla romanizzazione della Liguna e delia Transpadana occidentale e liomani ed Inganni, nell opera: Dal c guerre puniche a Cesare Augusto, Roma, 1018. Recentemente un manipolo di studiosi ha intrapreso la pubblicazione di una «Collana Storica Archeologica della Liguria occidentale» nella quale sono trattati i vari problemi storici inerenti a quella· legione. Ora il Lopes Pegna entra in campo anche lui per trattare una questione particolare: la ubicazione della Costa Bellone. Per far questo risale alle origini, tratta dei Liguri antichi, della conquista romana, della Via Iulia Augusta, della stazione militare di Costa Beilene, di Armea colonia ecc. Circa i Liguri antichi^ e circa la conquista romana riassume in parte ciò che è stato scritto sul- Rassegna Bibliografica 259 ■1 argomento e »ulla aggiunge a quanto già era noto. Nel capitolo dedicato alla Via Iulia Augusta prende in esame V Itinerar him An-tonini Imperatoris, ΓItinerarium maritimum, la Tabula pentinqe-rima e la Geographia' anonimi geographi ravennati* e, variando le ipotesi emesse da, diversi autori circa il percorso della medesima, combatte l'opinione di coloro che vogliono farla passare nell’inter-no per 1 ompeiana-Castellare-Taggia e si accosta al Lotti, al Rossi e a quelli che la collocano iin vicinanza del mare « nel tratto S. Stefano, Riva e Capo Don». Quanto alla ubicazione di Costa Beilene 1 A. combatte come erronee le opinioni : del Lotti che la colloca « nel punto appellato Capo S. Siro e volgarmente il Don», del Rossi e del Giribaldi che la vogliono a «Costa Panera », ed accetta 1 opinione di quelli che la collocano «nel promontorio della Grotta di S. Maria dell’Arma, solo che, continua FA., «jnentre essi furono a questa conclusione condotti dalla conoscenza della lapide che °ià fu sulla Torre dell’Arma ed affermarono la loro convinzione senza alcuna apodittica prova..... io arriverò alla prefissa mèta con tutte le dimostrazioni e le delucidazioni necessarie» (pag. 91-92). Le pagine che seguono dovrebbero, nell'intenzione dell'A-, contenere la prova inoppugnabile della sua affermazione Procedendo per esclusione, egli nega che Costa Beilene possa essere identificata con Λ illaregia o con Taggia o con Bussana ; indi, passando alla parte licostruttiva, ragiona nel modo seguente: « 11 Ta r ia fluviusf era il confine ddi Liguri Intemeli ed Ingauni, Valla valle della fiumaira, la residenza degli Epanterì. Dopo aver sconfìtti e soggiogati tutti i |)0])0li Liguri, non potevano i Romani non sorvegliarne sempre le mosse onde frustarne tempestivamente ogni tentativo di rivolta..... Quale scelta migliore, dunque, di quella costa tra le due valli, di quel ripiano collinare da cui potevaeä dominare il piano ed il monte, il lontano orizzonte ed “il mare infinito? ». lutto correrebbe liscio come olio, se non sorgesse un dubbio, che ili firma la base di questo bel ragionamento, è proprio vero che il Tavia fluvius era il confine dei Liguri Intemeli ed Inganni? 'L A. rimanda la dimostrazione ad uno dei capitoli seguenti 5 e in quel capitolo riferisce un passo di un documento del secolo XII, nel quale si parla del confine orientale della Contea di Ventimiglia (pag, 162): a questo fa seguire altri documenti di età posteriore. ( 011 tutta la buona· volontà di questo mondo, non posso ammettere come sufficiente una tale documentazione: altro è il confine orientale della Contea di Ventimiglia nel secolo XII, altro è il confine del territorio degli Intemeli e degli Inganni prima e dopo la conquista; romana. Ammessi) che fra quei due popoli esistesse un confine determinato, è assai difficile, per non dire impossibile, rintracciarlo. Gerolamo Rossi, nella Storia della' Città e Diocesi di Ab longa} pag. 11, scrive; «Senza dar grande peso all’asserzione del 260 Rassegna Bibliografica Dujazzo che vorrebbe limitare l’estensione alla Merula (fiumara (li Andora), uon vogliamo neppure accettare Γ opinione fin qui airi messa), che gli Ingauni cioè si estendessero tino alla lacua, ora fiuma-ra di Taggia. Egli è ormai incontestato, che il Incus Bormanni, bosco sacro con tempio dedicato ni Nettuno ligure, era un territorioincluso fra i Liguri Ingauni ed i Liguri Intemelii ».Έ nei Liguri Interne,li, pag. S5-86, ribadisce : « A senso dei più dotti investigatori delle italiche antichità, il territorio dei Liguri Intemeli si sarebbe esteso dal monte Agel presso Turbia, fino alle sponde del torrente Impero presso Oneglia, inoltrandosi a borea sino alle pendici del versante meridionale dei gioghi alpini ». Il Lais nella dissertazione ^Romani ed Inganni)), pag'. 039·, parla del territorio occupato da questi in modo assai generico : « Gli Inganni non solo possedevano gran parte della Riviera di Fornente, dai confini di Ventimiglia sin oltre Savona, ossia sino al limite di Genua, ed al di la dell Appennino, non soltanto dominavano l'alto corso dei due fiumi testé nominati (il Tamaro e la Bormida), ma si spingevano sino alle pendici del piano piemontese, ove erano le terre dei Liguri Bagienni ». Se il dotto Storico dell’Italia antica non accenna ad un contine preciso tra IntemeJi ed Inganni, è segno che non aveva ai gementi validi su cui fonda® le sue asserzioni. Venendo così a mancare il fondamento, su cui il Lope« Pegna poggia la sua argomentazione, il seguito del suo ragionamento perde ogni valore, e si riduce ad una ipotesi come tante altre. Passando a trattare della Etimologia di «Costa Beilene » 1A. esclude « L'ipotesi emessa dal Fornara » che il nome di Costa .Balena! derivi dalla somiglianza del pianoro con la forma di un immane cetaceo ; esclude che il nome derivi dal Bellieno, vet na 11 Demetrio e strangolatore di Domizio (cfr· E· Pais, Balle guerre pu miche ecc. pag. 568-369; G. Rossi, I Liguri Intemeh, pag. e conclude che il nome sia derivato alla Costa da Beleno (il Baa. fenicio) massima divinità celta. Questa spiegazione, pei a oi in cui è data, pare trovata dal hopes Teglia; ma così non e, p e -chè sulla etimologia di Costa Baknae si legge nel citato G. lfssi, I Liguri Intemeli, pag. 65: «Si volle, come di soli o, aizi„ g sulla derivazione del nome, ed una commoda balena tu presta acl appagare le indagini deU’etimologista ; noi siamo per altro di parere debba trarsene origine da Beleniae o Belendae, poiché da Beleno, Dio del sole identificato poi con Apollo, prese e tiene alio me presso Ventimiglia il monte Belenda.... ». Qualificare poi « Armea » col nome di colonia è torse esagerato. II Pais, nell'opera più volte citata, a pag. 588-89, dopo a\ei in < 1 dato Attintimilium, capitale dei Liguri Intemeli, continua : « Mi fatta eccezione per poche località già esistenti, nessun tes ο o mo numento accenna ad un vero e grande, incremento civi e ne e cos e Rassegna Bibliografica 261 della Liguria marittima e dei monti soprastanti». Il Rossi a pag. .λ) e (ii) dice che Costa Baiatine è capoluogo della colonia Porciana, ina non fa alcun cenno di Arm ta colonia. Per il (Lopes Pegna non v e dubbio che i soldati romani si siano stabiliti alla base della .collina ((fra il, (lolle dei Castelletti ed il torrente» e cita come prova un atto elei 1433. Siamo quindi sempre allo stesso punto: si vorrebbero provare avvenimenti anteriori all'era volgare con documen ti dei bas,so medioevo Se non erro, neanche in questo caso la prova si può considerare raggiunta· Qualche errore isolato è sfuggito qua e là all'autore, come per esempio a pag> 117, dove parla di cannonate dei Pisani e dei Saraceni, contro il Castello del Colle dei Castelletti. D’accordo per le cannonate dei Saraceni, ina (pie:le ddi Pisani mi sembrano un po' premature. A pag. 17(i, parla di un Filippo di Cleves, doge di Genova nel 1432, mentre in quel tempo Genova stava sotto la Signoria di Filippo Maria Visconti; a pag. 130, la battaglia di Novara è fatta avvenire il :23 maggio, invece del 23 marzo; a pag. 152, Anzio in luogo di Azio, ma questi ed altri nei consimili come certe etimologie non troppo ortodosse, possono considerarsi piuttosto sviste che errori· LA., come dichiara nella Prefazione, si rese conto della sterilità deH'argomeinio, dicendo che non aveva « l’illusione di aver compiuto un'opera originale e neppure, forse, importante». Senza dubbio l’A. mostra di conoscere l’argomento, intorno al quale lia lavorato da studioso serio ed appassionato. Se Γopera sua non è stata coronata da un risultato molto brillante, vuol dire che il tenia proprio non lo consentiva, e, come spesso avviene, la materia era a risponder sorda. Carlo Borsate Raffaele Di Tucci, Studi sull'economia genovese del secolo decimosecondo - La nave e i· contratti marittimi - La banca privata, Torino, Fratelli Bocca editori, 1933-XI, pp. 133. La vita freme d’intorno, le gare tra le famiglie della« nobiltà di varia origine rinnovano ogni giorno i conflitti armati; i consoli non bastano più, neanche ricorrendo all'aiuto dell·arcivescovo, a ristabilire la quiete e a ricondurre l'ordine. Il Comune è in periodo di profonda crisi nell'oscillante trapasso dalla vecchia forma consolare al nuovo magistrato podestarile, primo tentativo di un organismo superiore alle faziose competizionlì locali (Non so se si possa accettare senza discussione Γ a formazione (pag. 8) che sembra identificare il comune consolare coi guelfi e il podestarile col prevalere dei ghibellini; e non avrei detto, per evitare equivoci, che nel .1108 «veglie a Genova Federico Parla:ossa lo sconfitto di Legna- 262 Iîassegνλ Bibliografica no» ma «il futuro sconfìtto di Legnano» o qualche cosa di simile. Non si sa mai, ed è meglio togliere con la chiarezza, dell/espressione ogni pretesto ai critici benevoli). Ma. il notaio, die si reca nelle case dei maggiori clienti o roga i suoi atti davanti alla dimora delle famiglile anche più implicate nelle aspre contese cittadine, sembra non accorgersi di tanto trambusto- I suoi atti nei densi registri si susseguono fitti, continui, estranei a quelle torbide vicende politiche e insieme testimonianza eloquente a tanta distanza di secoli, della formidabile attività, nell traffici, nei commerci, nella navigazione di quella vita che la narrazione dei cronisti farebbe credere tutta presa dalle guerre esterne e dalle intestine discordie- I diversi aspetti di questa vita, la storia politica o militare, l'economia e i'I diritto, fusi e compenetrati nella espansione coloniale e marittima, nella conquista dei mercanti e delle colonie, hanno due documentazioni distinte ed egualmente preziose negli annalisti e nei notai. Ma gli uni costituiscono una serie continua e saifficientemente nota; gli1 altri sono frammentari e lacunosi e, per difficoltà pratiche, meno noti e studiati di quanto meriterebbero. Ardua questione questa dei notai genovesi (non sarà mai detto abbastanza, la più antica raccolta organica che si conosca e perciò di valore eccezionale e pure non sufficientemente apprezzato), ardua questione se si possano e debbano pubblicare, come pure si dovrà fare prima o poi se non si vuole che un1 tanto tesoro vada perduto, la quale si ripresenta in tutto il suo valore quando »uno studioso serio prenda ad esanimarli anche parzialmente, ricavandone dati e documenti di prim'ordine per la storia civile e del costume, soprattutto per la storia del diritto e del L'economia. Se non fosse troppo di cattivo gusto, potrei ricordare o citale quel che scrivevo in questo stesso Giornale nel 1931 a proposito dello studio del Byrne, e ripetere con maniaca e sconsolata insistenza le stesse lamentele e le stesse deplorazioni sull incuria verso documenti! tra i più rari e preziosi della nostra vita e della nostra storia. La pubblicazione del Di. Tucci ne offrirebbe il pretesto; e meno niale che, trattandosi di un italiano, è improbabile che si ripeta quel che allora è avvenuto: che cioè la notizia data dal no stro Giornale sia riferita da riviste italiane e da quotidiani nostri e americani e, quando questi sono già tornati in Italia, qualcuno scopra l’opera e si allieti di averla rivelata agl Italiani ! Dei due studi compresi nel libro del Di Tucci, il primo riprende appunto la materia già studiata dal Byrne (Genoese shipping) spesso dissentendo dal predecessore e fondandosi generalmente su documenti più antichi. I dati maggiori sono derivati infatti dai più venerandi degli atti notarili superstiti, quelli del secolo XII. Rassegna Bibliografica 263 Il Di Tucci che, per ragione del suo ufficio di Direttore dell· Archivio di Stato li ha in consegna, li ha esaminati con pazienza certosina isolando e raccogliendo tutti quelli che potevano illustrare il suo argomento, molti riportandone integralmente. La materia è strettamente tecnica e le conclusioni piodiiicano spesso le affermazioni del Byrne: così si combatte la netta distinzione nel tipo di navi in relazione alla loro finalità che era slata latta dallo studioso americano, stabilendo che. latta eccezione per la galea, sicuramente di carattere e di importazione guerresca, gli altri tipi più leggeri e più per costruzione simili a quella, erano, in via normale, mezzi di commercio marittimo e (li navigazione pacifica. Mentre il Byrne aveva confuso e identificato loca e parles nella nave, con acuto ragionamento e accostajnenti sagaci di documenti si dimostra che le partes sono le «vuote di proprietà della nave* sottilmente distinguendo comproprietà da condominio, e i loca, appartenenti agli armatori 11011 proprietari, sono le quote corrispondenti alle parti di capitale investite nella conduzione della nave. Bastino questi esempi, senza entrare in altri e minuti particolari tecnici e in sottili questioni! economico-giuridiche, a dare idea della severità scientifica e dell'importanza dello studio che ricostruisce, occupandosi della compagna, degli armatori, dei contratti di nolo e di trasporto, nelle sue linee giuridiche ed economiche la vita marittima genovese del secolo XII e mostra la continuità (lei rapporti già esistenti nel diritto romano anche negli usi marinari) genovesi, estesi poli a tutto il Mediterraneo occidentale. Altrettanto importante, e torse anche più notevole per i risultati, il secondo studio, sulla banca privata. li sorgere del banchiere dal cambiatore, l'apparire della banca nella sua vera funzione di istituzione rivolta al commercio del denaro, il costituirsi di società bancarie temporanee 0 permanenti sono seguiti con diligente analisi sugli atti dei. notai. L'esame delie operazioni passive o attive della banca., dal deposito bancario ai mutui, alle aperture di credito, alle cambiali, alle anticipazioni di valuta estera con rimborso in valuta nazionale, porta a conchiudere che 51 più caratteristico e decisivo fattore del regime capitalistilo, la banca, ha un'esistenza· storicamente documentata in Genova alla metà del secolo XII. ]S’on solo, com'è risaputo, la cambiale ha avuto qui la sua origine, ma il banco nell'ultimo ventennio di quel secolo è costituito come un organismo iiutonomo con speciali mezzi giuridici rivolto a un line commerciale proprio, il commercio del denaro e lo persegue, in modi sia pure embrionali, con quelle che saranno le più tipiche forme dell'attività bancaria, 1 documenti, che il giurista riporta ed esamina dal punto di vista del diritto e delle operazioni commerciali che vi sono indicate, possono talvolta offrire materia in 264 R A aSEG N A B IRLIO( 3 RA FICA teressante anche allo storico della vita civile, del costume, della famiglia. Quell'Anfotssus che nel 1212 si impegna con atto legale nei confronti del liglio a determinate azioni commerciali, sino all'ob-bligo di non fare più operazioni a termine, ma solo per contanti, fa sorgere la curiosità di rapporti] e persino di drammi famigliiari che possono far luce sulla vita e sui costumi dei tempo. Xe segue la necessità che gli atti, tutti gli atti di questi più antichi notai, siano pubblicati- Lo studio sapiente e paziente del DL Tucci acuisce il desiderio che i notulari almeno più venerandi 11011 siano più forniti a spizzico in pubblicazioni special issi me e non sempre accessibili, ma raccolti! 111 1111 corpo unico, tale da servire a tutte le branche degli studi storici· E' dovere non di Genova e della Liguria soltanto, ma è dovere italiano 11011 tenere più oltre quasi celati e ignorati questi antichissimi atti che forniscono affermazioni documentarie di nuovi primati italiani, come lo studio sulla banca nel nel secolo decimosecondo e sui principi del decimoterzo ha lumino sameute provato. Vito Vitali* Gian Piotro Bognetti^ Xote per la storia del passaporto e del sal· vacondotto (a proposito di documenti genovesi del secolo XII) -Pubblicazioni della R. Università di Pavia, 1Ü33-X1I, pp. 375. Singolare e particolarmente interessante è il caso di questo li bro. L’autore, trovatosi dinanzi ad alcuni documenti genovesi del lli)l e lli)2, si è rifatto indietro, e, a spiegarne il valore e il preciso contenuto giuridico, lia tracciato la storia dell’istituto del passaporto e del salvacondotto dall'età romana attraverso il diritto medievale sino al regno normanno e ai comuni cittadini, studiando tutto quanto ha 1 apporto nel campo del diritto con 1 entrata, la dimora e la sicurezza degli stranieri nell'ambito dejlo Stato. Soie le chiama il prof. Bognetti e afferma di aver voluto dare una provvi soria, ma non improvvisata, enunciazione e sistemazione dei principali proli lenii inerenti alla storia del passaporto e del salvacondotto Diranno i giuristi se queste non siano qualche cosa di più che semplici Note; qualunque giudizio da parte di un incompetente sarebbe presunzione ; ma anche chi non è tecnico della materia vede subito la larga impostazione, l'ampia, organica trattazione, la vasta dottrina e ho l'impressione che assai più che di note si tratti dell organico svolgimento di un tema di grande importanza» cosi per la storia del diritto come per la storia commerciale e politica. Ma qui il lavoro del prof. Hognetti vuol essere ricordato peri hè i documenti che gli hanno dato origine sono genovesi, sono appunto di quei notai dell*importanza dei quali questo studio e una nuova Ra sse α na P> ibliog r a fica 265 affermazione. Nel 19*27 il prof. Alessandro Lattes, l’illustre Maestro ilell’l Diversità genovese or ora ritiratosi dall’insegnamento e al quale va il saluto e l'augurio più devoto e deferente, pubblicava alcuni documenti del notaio Guglielmo Oassinese. In essi certi privati genovesi, conchiudendo con dei mercanti un contratto di mutuo a cambio marittimo, seen ruba ut tali mercanti, o un loro rappresentante, nonché Le cose e denaitì. coi quali si recavano in Sicilia, da ogni eventuale danno da parte del re di Sicilia e de/i Siciliani, allora nemici di Genova, promettendo la rifusione dei danni. In embrione assicurazione commerciale contro determinato riischio di genti, spiegava l'illustre giurista. Poco prima e in via affatto indipendente, studiando in questo Giornale (anno 1925, pag. 25 e scg.), e dal punto di vista esclusiva-mente storico, i rapporti commerci&Si tra Genova e la Sicilia in connessione con le vicende del momento, notavo come il console Bellobruno da Castello, appena- tornato da una spedizione navale contro la llotta normanna e mentre Genova era ancora in istato di guerra con la Sicilia, partecipasse ad affari commerciali nell'isola e vi mandasse un suo socio, uomo politico notevole anche lui, che garantiva a coloro che lo accompagnavano una regia lettera di sicurtà nel caso che costoro volessero trattenersi più a lungo in Sicilia. Con questi documenti avevo creduto di confermare l’ipotesi, già avanzata dal Manfroni, dii segrete trattative tra Genova e Palermo. Il Bognetti va anche più in là ammettendo i rapporti segreti tra i due capi delle Hot te nemiche, Bellobruno e Margaritone da Brindisi, e ritenendo che il console genovese non dimenticasse in quelle trattative con Margaritonç> i suoi privati interessi e ne ottenesse una promessa di sicurezza per sè e per i suoi in issi o Soci, per viaggi commerciali in Sicilia. Saremmo, cioè, non nei campo del diritto privato commerciale, come aveva supposto il Lattes, ma nel campo sa fu il fornirne pia 'ivo del giansenismo italiano, esercitò un'altissima finizione nella storia della cultura e < ella politica italiana· Le lettere del Tamburini al Ricci, dal sottoscritto pubblicato nella Miscellanea 1 avese del 1932, aprono grandi spinigli di luce sulla multiforme attività e influenza del Patene« pavese, in quel torno di tempo sopra delimitato. Ma bisogna riconoscere che ben poco ki è fatto per studiare a fondo la storia doll*l iviversitji di Pavia come focolare del giansenismo, storia che e essenziale per .un i adeguata valutazione del settecento e per un'intelligente comprensione delle origini del Risorgimento. Opportunamente perciò in questo studio, lo Zieger cerca di delineare la personalità politica e religiosa di Gregorio lontana che nell*Ateneo pavere appunto prore««, per più anni, discipline matematiche. Quanto profondo fosse il movimento giansenista pavese lo manifesta subito il fatto che esso non e a solo la fui * e i! programma dei teologi ivi insegnanti (Zola. Tamburini, A (pruni, lalmieii, e*c.i ma anche il programma e la ftd.* < e la q iasi totalità dei pr«fessoii. Ottenuta la cattedra «li matematica a Pavia, e I incarico di istituire ab oro la biblioteca universitaria·, il Fontana scelge tutta una serie di libri improntati a uno spirito riformatore e a nti vaticanista per eccellenza, evidentemente in coi to. miià agli atteggiamenti poi tid di Maria Teresa e alle direttive del giansenismo pavese che appari combattendo, prima di tutto, il politicismo e il tempoia ism > della Curia Romana. Avversione a qualunque forma di fanatismo, radicata conunzione della necessità e umanita della tolleranza leligiosa, ni un pi imo tempo 1 ducia i.el regaliamo assolutista, aspirazione \erso una religione moderata e liberale, verso un governo illuminato c saggio che promovesse l’elevazione religiosa e culturale del pop« questi, a grandi linee «li i«leali più vivi «lei Fontana come
  • Uii complessità ». Suoi amici delle vacanze estive erano appunto F. Frisiglieli!, che nel 1700 aveva letto a 1ΓAccademia degli Agiati di Rovereto, una memoria dal t tolo significativo : Che questo nostro paese di Rovereto è parte della ve*a Italia j C. raroni che sul « Giornale enciclopedico rii Vicenza» ne’. 79 a\ea *<* itto 1 n;> studio sulla: « Nazionalità del Trentino ». Anche per questa sensibilità nazionale il Fontana, come il Foscolo in 1111 piimo tempo, si volse con tanto entusiasmo verso Napoleone, sognando forse nel generale francese il liberatore e il restitutore della Patria. Così è temf)0 di eira che non solo il Cuoco sentì, al cominciare dell'ottocento, il problema nazionale nella sua realtà, se questo In sentito, nella sua concretezza politica, così vivamente da piccoli studiosi di provincia come il Frisiglieli] e il Raroni e da uomini di cultura come il Fontana e .1 Foscolo. Rassegna Bibliografica 271 Bisogna riconoscere clie il sentimento nazionale, calato dal mondo delle indeterminazioni fantastiche e dei presentimenti poetici, cominciava a farsi, specie nella seconda metà del settecento, visione netta e chiaro programma politico sopratutto nella Lombardia e nel Trentino, culla di un manipolo di vivissime personalità di studiosi e di politici. E sarebbe veramente interessante fare per queste regioni quello che così egregiamente il Croce, il De Ruggero, il Russo, e altri, hanno fatto per Napoli, che se fu centro di vivi movimenti culturali non fu certamente la sola città viva del settecento e dell‘ottocento, nè la culla dello spirito santo della cultura e della politica italiana. Tornando a noi, dunque, quando Napoleone scese in Italia non trovò affatto un popolo di addormentati, ma un popolo che veniva nutrendo sue speranze e formando proprie visioni politiche. In questo senso, è veramente significativo e direi, commovente, ii citato discorso che il Matematico pronunziava il 21 novembre del 1797 come presidente del Consiglio di Juniori. Dopo aver accennato al bisogno di realizzare un «risorgimento)) (la parola è la sua) del popolo italiano, diceva: «Io al certo, irresistibilmente con vinto, che l'antico valore negl’ita-lici cor non è ancor morto leggo a chiare note nell’arcano libro del destino che nel breve pe-ìlodo di pochi anni la nostra Repubblica, non più Cisalpina, ma Italica, porterà i suoi contini, e dilaterà il suo dominio per tutta la gloriosa Peninola, arbitra un tempo e signora del mondo: e colla gravità delle sue leggi, colla sapienza dei suoi consigli, colla maestà del suo impero, formerà la meraviglia di tutti i popoli, e sarà temuta e rispettata da tutti i regnanti, che si crederai! fortunati di goderne Γamicizia e l'alleanza ». La coscienza del problema nazionale, balenata ai suoi amici trentini, aveva qui in questo discorso del Fontana una felice intuizione e una calda celebrazione, molto diversamente dai maestri del giansenismo pavese, Zola e Tamburini, che, chiusi fervidamente nella loro esperienza religiosa molto più del Fontana (la saia secolarizzazione ottenuta dal Vescovo Ratthyany il 7 giugno 1797, insegni), furono sempre sordi a qualsiasi coscienza nazionale e non sentirono nè presentirono, sotto i'I problema della riforma religiosa, il problema della riforma italiana, il Risorgimento. Roberto Mazzetti »Spigolature e Notizie È con vero compiacimento che segnaliamo il premio di L. 5.000, assegnato in occasione del Natale di Roma, al nostro Vito Vitale. * * * Il Itoti. Enrico Cavalli scrive in «Secolo XIX» del 10 giugno I93J d «L Porto fella Liguria antica». Trattasi del Portus ad Albnigaunum oggi interrato, e l’A. rileva come ancora nel 1436 Albenga fosse bagnata dal mare. * * * Di «G. 'Ruffini e Manzoni» scrive A. G. C. in «Nuovo Cittadino» del 18 giugno 1933. L’A. crede di poter rilevare da lettere e scritti di Giovanni Ruf-fini un accosto di lui agli ideali religiosi del grande lombardo. + * * Su «I Mille or Garibaldi», il romanzo storico teste ripubblicato nella Edizione Nazionale degli scritti garibaldini, scrive Giuseppe Fonierossi ne «L Illustrazione Italiana» del 18 giugno 1933. * * * «Le orme dei secoli a Castel Vittorio» è il titolo d’uno scritto di Ipo in «Secolo XIX» del 20 giugno 1933. V’è riassunta la storia del forte castellerò di Pigna in Val Nervia, limite della Riviera di Ponente. * * * «D’un gentiluomo della Corte di Luigi XVI a Ruffini e Ferrari» e il titolo (forse un po’ prolisso) d’uno scroto del Dott. Domenico Fornara m «Lavoro» del 20 giugno 1933. 11 gentiluomo di Torte sarebbe il padre della Turner; lo scritto ricorda soprattutto i suoi due figli. * * * S. li., già noto come illustratore del Vecchio Porto di Genova, scrive ora, in «Corriere Mercantile» del 20 giugno 1933 su «Il Deposito Franco» rievocandone la origine clic rimonterebbe al 1595 c ricordandone l’antico» funzionamento. * * * In «Secolo XIX» del 21 giugno 1933 Amedeo Pendo ricorda Giuseppe M. de Boufflers Maresciallo di Francia inviato nell'aprile 1747 a dirigere le ope- Spigolature e notizie 273 razioni militari a difesa di Genova minacciata dagli Austriaci, morto a Genova nel giugno seguente di vaiolo e sepolto all*Annunciata nella cappella k- , Ulp. (lai Francési. Lo scritto, ricco dì notizie storiche, ha un titolo un po originale e cioè : «Il Duca presente cadavere». * * * «Viaggi di Fontanella - Partenza da Genova» è il titolo d’uno scritto di Arrtf/o Fnqassa in «Corriere Mercantile» del 22 giugno 1933. Vi si espone un po dell avventurosa vita marinara di Carlo Fontanella cominciata come mozzo sul brigantino «Uosa Madre». Il Fontanella, nativo di Garda, è noto a Genova per la lunga sua attività di insegnante di educazione marinaresca nel nostro Istituto Nautico. ÿ * * 1'. d. L. recensisce ampiamente in «Giornale di Genova» del 23 giugno 1933 il recente volume di Umberto V. Cavassa : «Dichiarazioni alla superba». * * * In «Lavoro» del 25 giugno 1933 Market scrive su «La Spezia, Biassa e Carlo Dickens». V’è illustrato il particolare folklore di Biassa, ora borgo spezzino, e ricordato un apprezzamento del Dickens sullo speciale copricapo delle donne spezzine accanto ad una riproduzione del costume biasséo tratta dal pittore Gonin. * * * Il Can. Mussi scrive in «Nuovo Cittadino» del 28 giugno 1933 «Su San Cecca rdo Vescovo e Martire di Lu ni». * * * Carlo Rombo descrive in «Secolo XIX» del 28 giugno 1933 «Un caratteristico borgo medievale - ViLLANOVA iFortezza del Comune Ingauno». Il borgo rimonterebbe al 1255 e nello scritto ne rievocata brevemente la storia. Enrico Cavalli pubblica in «Secolo XIX» del 29 giugno 1933 uno scritto su «Pietra Ligure come la vide Ugo Foscolo». Il poeta delle Grazie avrebbe sostato in Francia verso la metà dì febbraio del 1799. La cittadina si chiamava allora Pietra d’Albenga e del Foscolo è ricordata come un paesello appiè delle Alpi marittime. * * * In «Giornale di Genova» del 30 giugno 1933 f* riportata da un recente volume di Camillo Manfroni (I Colonizzatori Italiani dal sec. XI al XIII) la pagina che tratta de «Le Colonie Genovesi in Terrasanta». * * * No «Il Raccoglitore Ligure» di giugno 1933 Orlando Grosso continua uno studio già iniziato nei numeri precedenti illustrando «Il Giornale particolare pblt/Ammirac.t/io Francesco Serra» dal 1815 ni ISSO, 274 Spigolature e notizie) «Ancora la congiura di Giulio Cesare Vacherò» fornisce argomento ad Omega per uno scritto pubblicato ne «Il Raccoglitore Ligure» di giugno 1033. Trattasi in questo, particolarmente, del1 testamento di Bartolomeo Λ achero, padre del congiurato e dei medici di casa Wachero. Omega- si riferisce ad un precedente editto nella Rivista stessa a firma stella nera. Vito Vitale continua ne «Il Raccoglitore Ligure» di giugno 1933 lo studio già iniziato nel fascicolo di maggio della stessa Rivista, col titolo «Litigi Serra olivetano e i Novemviri». Lo studio prosegue nei numeri di settembre e ottobre della stessa Rivista. Mario Bonzi ne «Il Raccoglitore Ligure» di giugno 1933, a proposito d’un quadro raffigurante S. Sebastiano nel Palazzo Bianco a Genova pone la question* «Gentileschi o Caravaggio?». Al Gentileschi il quadro fu attribuito in passato, ma il Bonzi espone alcune ragioni che permettono di dubitare e fanno pensare anche al Caravaggio come autore. Stefano Bebaudi scrive ne «Il Raccoglitore Ligure» di giugno 1933 su «Anita Garibaldi in Liguria» pubblicando lettere da lei indirizzate a persone amiche genovesi o rivierasche. «Il Cantiere della Foce sotto Napoleone» è illustrato da stella nera ne «Il 'Raccoglitore Ligure» di giugno 1933. * * * * * * * * * * * * * * * V. C. scrive liguri dei secoli in «Nuove Cittadino» del l.o luglio 1933 di «Tre astronomi IT® e 18°». Trattasi di G. D. Cassini e dei due Marciai. * * * DVTJna sosta a Porto venere» scrive Giovanni Descalzo in «Giornale di Gc Spigolature e notizie 275 nova» dell’ll luglio 1033 rilevando notizie storiche e ricordi di personaggi di quel l’ameno borgo della Riviera di Levante. * * * A. Doglia ricorda in «Secolo XIX» dell’ll luglio 1933» «Un epigram mista genovese» ch'ebbe qualche notorietà: Antonio Baratta, della prima metà del secolo scorso. * * * In «Corriere Mercantile» del 12 luglio 1933 #. B. torna a rievocare cose del Vecchio Porto sotto il titolo: «Le calate mobili» con riferimento anche alle antiche chiatte. * * * «Il Castello di Lerici nella storia della Repubblica Genovese» è il titolo d’uno scritto di Mario Corjio in «Lavoro» del 12 luglio 1933. Lo scritto è continuato nel numero 14 stesso luglio del medesimo Giornale. Utilizza largamente il pregevole volume di Francesco Poggi che illustra il vetusto Castello lericino. * * * «Agostino Ruffini, Federico Rosazza e A. Manzoni» intitola un suo bre ve scritto (in «Nuovo Cittadino» del 16 luglio 1933) A. G. C. Tratta di legami amichevoli tra i due primi e e del rapporto spirituale che all’A. piace istituire tra il bel romanzo inglese del Ruffini e il capolavoro italiano del Manzoni. * * * Pati;ioti e vivamaria» è il titolo d’un scritto di Vito Vitale in «Giornale di Genova» del 18 luglio 1933. L’A. guarda, tra la fine del '700 e gli altri dell*800, ai movimenti in favore della libertà che si suscitarono un po* dappertutto in Italia per rilevare le inesatte vedute di coloro che pensarono in contrasto il conservatorismo del popolo e le audacie rinnovatrici della borghesia. * * * In «Lavoro» del 18 luglio 1933 Federico Strìglia scrive su «Gli antenati dei ioresti» cioè su cittadini d’altri luoghi venuti a visitar Genova in altri tempi. L’A. ha per guida nella sua rassegna uno studio di R. I>i Tucci ora pubblicato nella «Riv. di Diritto Intemazionale» diretta dal Fedozzi. * * * In «Corriere Mercantile» del 22 luglio 1933 F. Ernesto Morando scrive di «Gtvlio Michelet λ Nervi». * * * Tomaso Pastorino scrive in «Giornale di Genova» del 26 luglio 1933 su «Tr, Teatro dflle Vigne» aggiungendo interessanti notizie su quel ritrovo della vecchia Genova ormai da tempo sparito. 276 Spigolature e notizie «Quel che accadde nel Porto di Genova i.a notte del 5 Maggio 1860» è narrato da Alberto Lumbroso in «Giornale di Genova» del 27 luglio 1033. Lo scritto rileva l’appoggio dato dal Fauchè all’epica spedizione garibaldina. * * * VHo Vitale ha in «Giornale di Genova» del 2S luglio 1933 uno scritto dal titolo: «Sposine precoci». Narra di parecchi matrimonii celebrati in Genova antica tra patrizi, notevoli per la giovanissima età della sposa, qualcuno anche interessante per aver dovuto vincere serii contrasti. * * * Francesco Geraci aduna in «Giornale di Geuova» del 2i) luglio 1933 «Rt-cordi gloriosi di marina» toccando specialmente del D’Albertie tipico maind zeneise. * * * >’e «Il Raccoglitore Ligure» di luglio 1933 Mario Bonzi scrive di «Un paese di Antonio Travi». Il quadro, che offre su largo sfondo, un soggetto biblico, appartiene alla Collezione Bruzzo e riproduce un paesaggio secentesco del Genov esa to. ♦ * * Stella .Nera ne «Il Raccoglitore Ligure» di luglio 1933 espone la vita di «Una famiglia della piccola borghesia a Genova, un secolo fa». Il quadro è assai dettagliato e l’esame minuto offerto dall’A. interessante. * * * Ne «Il Raccoglitore Ligure» di luglio 1933 Umberto V. Odvasea espone nn caso di possessione nel secolo 17.o col titolo «I quindicinali spiriti infernali di Maria Parietta da Varazze». * * ♦ l'mVerto Zuccardi Merli narra ne «Il Raccoglitore Ligure» di luglio 1933 «Il pellegrinaggio ctnquecenteso di Genova a Savona d’un giureconsulto emi-liano». Lo -scritto è ripreso nel fascicolo di settembre e continuato in quello di ottobre della medesima Rivista. * * * «Un papa genovese e la trasfusione del sangue» è il titolo d'uno scritto di Giuseppe Portigliotti ne «lì 'Raccoglitore Ligure» di luglio 1933 I] Papa è Innocenzo VIII sul quale un medico giudeo avrebbe tentato la trasfusione dei sangue per guarirlo da una gravissime infermità. * * * Sotto la consueta rubrica «Curiosità D’Archivio» omega ricorda ne «11 Raccoglitore Ligure» del luglio 1933 «Una questione d’etichetta nel secolo XVTIj». Trattasi di scegliere, per un donativo da farsi ad un inviato straordinario del Granduca di Toscana, tra un anello & una tabacchiera. Spigolature e νοήζιε 277 In «Genova» Rivista Municipale del luglio 1933 Orlando Grosso offre uno studio vigoroso d’una figura assai notevole e pure poco nota nei fasti della manna ligure e sarda e cioè: «L’Ammiraglio Luigi Serra». F. Ernesto Morando ha in «Corriere Mercantile» del 2 agosto 1933 un articolo dal titolo «Piazza Sauli». Ivi si trovava negli anni 1S56-&9 la stamperia de «L Italia del Popolo» e 1 A. ne trae motivo per esporre espisodi interessanti di quell’età agitata. «V1 Sebastiano Caboto», dicendolo figlio d/un genovese, scrive Alfredo Ober tallo in «Giornale di Genova» del 3 agosto 1933. l)i «Paganini» nella sua giovinezza umile e nella sua fama superba scrive Renzo Branchi in «Lavoro» del 5 agosto 1933. * * * Sotto i titolo. «Cembalo colonia genovese in Crimea» è pubblicato in «Secolo XIX» (lei < agosto 1933 una pagina tratta del recente volume di Γ V Maggiorotti: «Architetti e architetture militari nel medio evo». In «corriere Mercantile» dell’8 agosto 1933 (anonimo) è raccontata «Una curiosa a\ventura di Paganini a Siena». Un cagnolino iroso ebbe a lacerare i pantaloni del musicista il quale da Siena a Grosseto ebbe a viaggiare senza quell indumento. 66 Sull antica «Chiesa di S. Gerolamo del Roso» annessa al Palazzo dell’TI-niversìtà ed ora destinata a sede della Biblioteca, scrive Lazzaro De limoni in «Nuovo Cittadino» del 9 agosto 1933. — (Ho van ni Petronilli in «Lavoro» dell’ll agosro 1933 ha uno scritto ricco di «Ricordi ceocardiani». V’è ritratto il Poeta vagabondo dell’Apulia che pure a Genova lasciò largo patrimonio di memorie. * * * Fra Ginepro scrive in «Nuovo Cittadino» del 13 agosto 1933 de «Il Primo Patriarca di Gerusalemme» che fu un ligure, Mons. Giuseppe Yalerga, di Loa-no, del quale l’A. intesse un breve elogio. Uno scritto anonimo pubblicato in «Corriere della Sera» del 15 agosto 1933 col titolo: «Pionieri italiani in Brasile» ricorda Antonio Dias Adorno, 2ΐ8 Spigolaïurk e Notizie! 'discendente d'uno dei tre fratelli Adorno cacciati da Genova duranLe le lotte tra Francesco I e Carlo V e Stabilitosi al Brasile. Al nome dell’Antonio Adorno è legato lo sfruttamento della Serra das Esmeraldas. * * * g. veil, scrive in « Corriere della Sera » del 15 agosto 1933 sul volume del Maggiorotti già ricordato. Ricorda le principali di queste opere costrutte al-Γ estero dal genio italiano e tra queste le fortificazioni di Acquemorte, opera del genovese Boccanegra. * * * «La città morta» è il titolo d’un articolo di Giuseppe Rizzo in «Secolo XIX» del 10 agosto 1933. Trattasi d’una città della quale oggi non sopravvivono che il nome, «Luni», e pochi ruderi» e della quale l'A. espone le remote origini e le fortunose vicende. * * * In «Corriere Mercantile» del 17 agosto 1933 F. M. Rossi descrive «Uwa Guida illustrata del 1840». È redatta in francese ed edita dal Gravier, che fu a Genova un libraio colto, intraprendente editore e mecenate, anche, di scrittori ed artisti. * * * Ezio Pisani scrive in «Secolo XIX» del 17 agosto 1933 su «\erdi e l agricoltura^ togliendo dal volume di ÌF. Resasco «Verdi a Genova» Jina e tei a inedira del Maestro dove egli mostra in quanto pregio avesse 1 nguco ura oggi rimessa in onore dal ^Regime. * * ♦ Paolo da Milano traccia in «Nuovo Cittadino» del 19 agosto 1933 un buon profilo di «Eugenio Fassicomo», sacerdote genovese, istitutore a Genova sulla fine del secolo scorso d’un ricovero per fanciulli derelitti. * * * Lazzaro De Simoni sotto il titolo: «Verso la Basilica Eu frasi an a» scrive ancora in «Nuovo Cittadino» del 19 agosto 1933 su i resti sacri dei » ue lJia finora conservati nella Chiesa di San Matteo ai quali I arenzo, *.ui sai. restituiti, prepara accoglienze solenni. Stella Nera scrive in («Lavoro» del 19 agosto 1933 soKo il titolo «Sam-pilro Corso» intorno alla monografia di Rosario Russo su « >«i 1 J lione di Sampiero Còrso» a Genova: 1563-15W6. 11 vol”me, r ” d’assai la grandezza del còrso ribelle ed attenuerebbe di molto < nspo tulitb di Genova, finora dipinte come dominatrice crudele dell'isola. ♦ * * In a Corriere Mercantile» del 19 agosto 1933 F. Ernesto Morando scrive Spigolature e notizie} 279 gu l’arresto di Garibaldi a «Sinalunga e lu dimostrazioni λ Genova». Lo scritto continua nel numero 2 settembre 1033 dello stesso Giornale. * * * Sotto il titolo ((Cristoforo Colombo visto da un marinaio» E. Mazza recensisse in «Nuovo Cittadino» del 20 agosto 1933 un recente volume di Charcot su eguale argomento. * * * Nel numero del 20 agosto 1933 de «La Settimana Religiosa» di Genova uno scritto anonimo contiene notizie «Sulla dimora degli Ebrei in Genova»^ Vi si accenna confessi fossero anche obbligati, a dileggio della loro fede, a contribuire a spese di culto cristiano. Ciò per decreto dei Consoli del Comune in data 1134. * * * «Sulla patria Dr Pertinace» scrive Y\Avv. Giacomo Mangjni in «Giornale di Genova» del 22 agosto 1033 richiamando 'tre importanti studi sulla questione, del Rocca, del Della Valle e del Belloro. * * · Umberto di Leva completa in «Giornale di Genova» del 23 agosto 1933 «1 ricordi del caffè del Teatro» di cui offerse già varie puntate. * * * «Il Castello dei Leoni» è il titolo d’uno scritto di Giovanni Descalzo in «Giornale di Genova» del 25 agosto 1933. V’è riassunta la storia di Castiglione Chiavarese, un borgo dell’entroterra della ‘Riviera Ligure di Levante. * * * Il Cap. Luigi Rimiri ha in «Corriere Mercantile» del 26 agosto 1933 uno scritto dal titolo: «Garibaldi». E’ un’ampia recensione del recente volume pubblicato col titolo medesimo dal Generale Corselli ed edito dalla Libreria Domino di Palermo. * * · A firma: A. R. Scarsella e sotto il titolo: «Paesi e storie del Golfo Ti-GLLLio» è pubblicato in «Secolo XIX» del 26 agosto 1933 uno scritto che illustra con spunti di storia locale paesetti attorno a S. Margherita Ligure nonché l'antica Badìa della Cervara. * * * Ida Branca scrìve in «Giornale di Genova» del 29 agosto 1933 d?«Ux viaggio in Corsica» soffermandosi specialmente sulla città di Calvi che conserva di Genova madre tanti ricordi e che mostra all’attonito visitatore anche..... ia casa dove sarebbe nato Cristoforo Colombo. 280 Spigolature e notìzie Di Sandro Cassone è lo scritto (pubblicato in «Corriere Mercantile» dei 29 agosto 1933.) dal titolo : «L’ultima scolta di Rodi». Illustra un episodio della difesa di Rodi contro il turco dove i genovesi al seguito del D’Ambusson rifulsero per ardore combattivo. * * * Lo scritto (a firma a. r.) pubblicato in Secolo XIX» del 30 agosto 1933 col titolo «Tramonto d’ux Teatro» riguarda il Politeama de La Spezia del quale, prossimo ormai alla demolizione, si rifa indietro la storia. Interessa però anche Genova in quanto tra i teatri che lo precedettero e che vengono ricordati nello scritto è il «Teatro Civico» costruito nel 1S40 dall’architetto genovese Ippolito Cremona. ♦ * * Lux scrive in «Lavoro» del 31 agosto 1933 su «Il Museo di Sant’Agostino» cioè sulle collezioni d’archeologia ligure che stanno per essere ordinate nella beila chiesa testé restaurata sul colle di Sarzano. * * * Ne «Il ‘Raccoglitore Ligure» dell’agosto 1933 Giuseppe Pessagno scrive su «L'ultimo trionfo navale della vecchia Repubblica». Trattasi del combattimento dell'll agosto 17S8 contro i Barbareschi dal quale ΓΑ. prende occasione per un interessante studio sull’ambiente marinaro del tempo. Lo scritto è continuato nel numero di settembre. ♦ * * Omega ne «Il Raccoglitore Ligure» di agosto 1933 scrive d’«UNA spedizione armata contro il Capitano d’Ovada nel 16S9*> toccando del Maresciallo Botta-Adorno e degli Austriaci a Genova nel 1740. • * * I>’«Un quadro sconosciuto del Biscainoo tratta Mario Bonzi ne «il Raccoglitore Ligure» d’agosto 1933. Il quadro è a Villa Bruzzo sull’altura di S. Erasmo, alle spalle di Genova ed è ricollegato ad un disegno a sanguina (stesso autore e soggetto) conservato nel Gabinetto delle Stampe a Palazzo rosso. * * * Sotto il titoleo «Benedetto Zaccaria» jj. p. recensisce ne «Il Raccoglitore Ligure» d’agosto 1933 il recente volume del Lopez dedicato a quell ammiraglio e allo studio di Genova marinara nel duecento. • * * Nel numero di agosto 1933 de «Le opere e i giorni» 0. F. Tencajoli illustra «L’opera civile di Genova in Colica». Lo scritlo continuato ed esaurito nei fascicolo di settembre della stessa Rivista. * * * Antonio Cappcìini in «Genova» Rivista Municipale di agosto 1933 illustra «La villa Bruzzo mlle alture del Peraldo». ricca di notevoli opere d’arte. Spigolature e notizie 281 Su «Dame a Genova» scrive Ernesto Trucchi in «Genova» Rivista Municipale di agosto 1983. * * * Nel fascicolo di agosto 1933 della Rivista «Humana» è pubblicato uno sentilo di O-.A. Castellani dal titolo «Garibaldi dal Risorgimento alla Rivoluzioni». ^ è pure una recensione del 3.0 voi. degli scritti con trascritto il capitolo nel quale Garibaldi narra la vicenda della Battagl ia del Voi turno. * * * Piero Pariseli a Illustra nel fascicolo luglio-agosto 1933 di «Corsica antica e moderna» le vicende de «Il poeta Bindocci processato a Bastia». * * * Lo scritto «Opere di pace e di guerra sulle rive mediterranee)) pubblicato in «Secolo XIX» del 2 settembre 1933 a firma A. M. Livi recensisce i recenti K’oJumi del Manfroni e del Maggiorotti (Gemo italiano all’estero - Architetti militari del Medio Evo) con particolare riguardo alle opere create dai genovesi dai liguri ed all attività da loro svolta in Levante in opere di pace ed in imprese di guerra. «Il diadema stellato genovese» è il titolo d’uno scritto di Allerto Lum-broso in «Giornale di Genova» del 5 settembre 1933. Recensisce un volume d egua 1 titolo pubblicato da Fra Ginepro da Pompeiana e dedicato alla storia del culto mariano jn Liguria. * · * in «Giornale di Genova» del 9 settembre 1933 Vito Vitale ha uno scritto dal titolo: «Storici a congresso». Trattando della solenne seduta della Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie Sarde che si terrà a Torino il giorno 17, rileva le benemerenze della Sezione Ligure ricordando lavori del Pandiani, del Bornate, del Codignola; accenna all'omaggio che la Società Ligure di Storia Patria di Genova fa alla maggior sorella di Torino del recente volume di Grosso e Pessagno e ricorda come oggi la Deputazione abbia per Presidente un ligure illustre: Mattia Moresco succeduto al Boselli. * * * Γ. di L. chiude con un ultimo articolo in «Giornale di Genova» del 9 settembre 1933 «I ricordi del Caffè del Tlatro». 11 caffè annesso al Teatro Cario Felice ebbe una storia ricca di curiosità che oggi sono un poco storiche. * * * In «Corriere Mercantile» del 13 settembre 1933 Iaddo scrive su «Verdi a Genova». * * * /·’. Ernesto Jiomndo inizia in «Corriere Mercantile» del 16 settembre 1933 un suo studio su «Giuseppe Rovere e la glorificazione di Genova ».Loscritto è continuato nel numero del 23 settembre stesso Giornale. Spigolature b notizie * * * In «Lavoro» del 16 settembre 1933 Mario Corto elenca in lunga iìla i «Castelli del Monferrato» accennando in breve a ciascun d essi o agli avanzi die ne rimangono. * * * «Qc andò la terra degli Intemelii fu romana» è il titolo d un breve editto anonimo in «Lavoro» del 17 settembre 1933. Riassume la storia più antica, dei] a regione attorno a Ventimiglia. * * * Sotto il titolo «Un padre - Maestro» è ricordato in «Corriere della Sera·) del 17 settembre 1933 Giovanni Battista Garassini da Taggia, Scolopio, ^ rettore del celebrato Collegio di Carcare e figura che spicca per patriottismo e benemerenza educativa in un periodo importante del nostro risorgimento, dal 30 al 66. * + * «La Chiesa del Gesù», già detta di S. Ambrogio, è illustrata nelle sue ricchezze artistiche da Alfredo Bonati in «Secolo XIX» del 20 settembre 19.>>. * * * Lo scritto «Il signor Bernardo» a firma P. in «Secolo XIX» del 24 settembre 1933 ricorda e glorifica il padre dei: Ruffini in occasione d una lapide da inaugurarsi in Finale nella casa ove nacque. * * * F. Geraoi sullo scritto «L’opera di Giacomo Doria» pubblicato in «Giornale di Genova» del 24 settembre 1933 ricorda come al gentiluomo genovese si debba la prosperità maggiore della R. Società Geografica Italiana ora stabilita in Roma. * * * Nello scritto «Al Collegio Devoto sul Monte Zatta» pubblicato in «Genova» del 26 settembre 1933 a firma A. RA. si evocano ricordi storici d’una memorabile giornata, il 7 giugno 1748 in cui attorno a quel luogo furono sconfitti gli Austriaci afforzatisi su quei monti. * * * Ne «Il Raccoglitore Ligure» di settembre 1933 stella nera scrive su «La questione di Zuccarello e l'opinione d'un filosofo». Il filosofo è Andrea Spinola il quale ci tenne molto nei suoi scritti a che la Repubblica Genovese possedesse il feudo di Succarè. * * * Su «La corporazione dei Zavatteri e Straccieri» scrive Umberto Levrero uè ' «11 Raccoglitore Ligure» di settembre 1933. Spigolature la ίίοτίϋΐιί 283 Omega ne «Il Raccoglitore Ligure» del settembre 1933 descrìve brevemente (.Un pronunciamento di donne a Prè nel 1786». * * * «Il Museo Lapidario a S. Agostino» *li imminente apertura offre occa-s*one ad un colto studioso di cose patrie, Ambrogio Pasce - Maineri, di illusi rnre in «Genova» Rivista Municipale di settembre 1933 le più interessanti lapidi da lui stesso trascritte e studiate per incarico della Direzione dei Museo. * * * Raffaele di Tucci nel fase, luglio-settembre dell’((Archivio storico di Corsica» — ricco come di consueto di monografie e rubriche varie — tratta de «Il soggiorno di Sampiero corso a Scio». * * * Antonio Cappellini benemerito illustratore di cose patrie, scrive in «Genova» Rivista Municipale del settembre 1933 sulla «Munificenza di Patrizì e Tombe di Doni nel Santuario del Monte». Il Santuario di N. S. del Monte presso S. Fruttuoso fu prediletto dalla nobiltà genovese che vi eresse di frequente le tombe. * * * Tomaso Pastorino in «Genova» Rivista Municipale di settembre 1933 scrive (su documenti del tempo) de «Gli artisti genovesi nelle onoranze a (Napoleone I». L’articolo è ricco di minuti rilievi tutti interessanti la vita del tempo e le speciali condizioni spirituali di quell’ora. * * * In «Genova», Rivista Municipale del settembre 1933 Orlando Grosso prosegue e conclude il suo pregevole studio su «L’Ammiraglio Luigi Serra». * * * F. Ernesto Morando ricorda in «Corriere Mercantile» del 2 ottobre 1933 «[ir caricaturista e umorista genovese» scomparso da qualche £empo e cioè: Arturo Bruno. • * * «La Chiesa di S. Agata» è descritta da Lazzaro De Simoni in «Nuovo Cittadino» del 5 ottobre 1933. * * * Amedeo Pescio scrive in «Secolo XIX» del 7 ottobre 1933 di «Marcellino Dukazzo», il Doge del tempo in cui Genova cedette alla Francia la Corsica ricevendo in cambio Capraia. L’A. vorrebbe, rilevare nel suo scritto che fu un buon affare, specialmente pel Durazzo, magnifico e munifico signore ohe della guerra di Corsica faceva in gran parte le spese. * * * Ranzo Ricciardi scrive in «Corriere Mercantile» del 7 ottobre 1933 su «Genova ispiratrice» ricordando scrittori, pittori e musicisti che trassero da Genova motivi di ispirazione per i loro lavori. 284 Spigolature el notizie In «Nuovo Cittadino» deire ottobre 1933 Genuetms ricorda il santo cavaliere deirOrdine Gerosolimitano al quale apparteneva la C hiesa di S. Giovanni di Prè, in uno scritto dal titolo: «Il VII Centenario della morte di S'. Ugo» * * * Su « Paghe e vita d’altri tempi nel Porto» scrive S. B. in «Corriere Mercantile» del 10 ottobre 1933. ♦ * * Interessante, anche per la curiosa derivazione della voce «barco-bestia», è lo scritto di Bruno ZiraveUo in «Corriere Mercantile» del 12 ottobre 1933 col titolo duA BIZZARRA ORIGINE D’ALCUNI TERMINI MARINARESCHI». * * * Sa «L’Antico Ghetto» pubblica una pagina (tratta del recente libro di G. Piastra - Luci ed ombre della Superba - ) il «Lavoro» del 35 ottobre 1933. Il luogo destinato agli israeliti a Genova v’è identificato nel Pant ico agglomerato di case tra Piazza Nunziata e Via del Campo. Ne è traccia tuttora in un vicoletto che ha il nome di Vico degli Ebrei. * * * Sotto il titolo : «Una missione diplomatica» Vito Vitale narra in «Giornale di Genova» del 17 ottobre 1933 un interessante episodio riflettente i rapporti tra Stato e Chiesa a Genova. Trattasi della missione di Pietro Rava-schini inviato da Genova al Papa per comporre il dissidio sorto tra Giulio Giustiniano Vescovo dAiaccio e il Governo genovese di Corsica, attorno al 1587 * * * In «Giornale di Genova» del 17 ottobre 1933 Giuseppe Foches tratta d’un aiUiehissima industria ligure rievocandone anche la storia sotto il titolo : «L’Università vitrea di Altare». * * * «Un poeta de La spezia» è il titolo d’uno scritto di Lorenzo Viam in «Corriere della Sera» del 19 ottobre 1933. La figura di Ceccardo Koccatagliata-Cee-cardi v’è lumeggiata coll’esposizione brillante di vivaci episodi della sua faticata \ita. * * * Di «Ventimiglia Colonia Romana» scrive B. ^abadvni di Rovetino in «Popolo d’Italia» del 20 ottobre 1933. ♦ * * In «Corriere della Sera» del 23 ottobre 1933 Antonio Monti dà conto della recente pubblicazione de «Il Romanzo «I mille»r scritto* dallo stesso Garibaldi, pubblicazione curata da Arturo Codignola del quale ricorda la esauriente prefazione premessa al volume. Spigolature e notizie 285 In «Lavoro» del 25 ottobre 1933 .sotto il titolo «Storia Genovese» ed a firma a è recensita una recente pubblicazione di Raffaele di Tucci «La nave e i contraili marittimi - La Banca privata» nochè un volume testé edito dal Col Costancino Salvi su «Carlo Emanuele li e la guerra contro Genova». * * * Su ('La facciata di S. Lorenzo completata» scrive Orlando Grosso in «Genova» Rivista Municipale dell’ottobre 3933 dando conto dei lavori di ripristino e del metodo adoperato per studiarli con sguardo retrospettivo nel passare complesso dell'insigne monumento. * * * «L’accertamento del capitale dei. professionisti e dei mercanti genovesi nel l(i28» è il titolo d’un breve scritto dimostrativo di Raffaele Di Tucoi in «Genova). Rivista Municipale dell’ottobre 1933. * * * Nel suo fascicolo di ottobre 1933 la Rivista Municipale «Genova» pubblica un accurata bibliografìa dovuta ad Antonio Cappellini sul recente volume «N. S. della Guardia e il Suo Santuario in Valpolcevera» del Can. D. Cambia so. * * * A. Anidro si porta nuova luce sul dramma di «Sampiero et Vannina» in uno studio pubblicato su la «Revue de la Corse» del settembre-ottobre 1933. * * * «La Chiesa di San Girolamo di Quarto», cospicuo edificio del sec. XIV di recente ritornata al primitivo splendore per cura della Amministrazione degli Ospedali Civici, è illustrata da Antonio Cappellini in «Corriere Mercantile» del 1 novembre 1933. * * * In «Secolo XIX» del C novembre 1933 A. R. Scarsella ha un interessante scritto su «I corallari di Corte». S. Giacomo di Corte è un paesino annidalo nel seno di S. Margherita Ligure dove la pesca del corallo fu straordinariamente in fiore tra il sei e il settecento. * # * Di Renzo Ricciardi è uno scritto pubblicato in «Corriere Mercantile)) del 7 novembre 1933 col 'titolo: «Genovesi nell'Orlando Furioso». * * * Il 8ac. Giuseppe GalUati scrive in «Nuovo Cittadino» del 7 novembre 1933 su «I Dinegro de Bancis in Genova ed in Certosa di Rivaroi.o». Breve ma sostanzioso cenno dell’attività di quella Casata, appoggiato a numerosi documenti. * * * In «Corriere della Sera» dell’8 novembre 1933 è un breve scritto (a firma g. vit.) su «Paganini a Nizza». Ricorda un aneddoto corrente, a Nizza sulle ultime ore del grande musicista. 286 Spigolature b notizie Luigi Barzinì jr. scrìve in «Corriere della Sera» del 10 novembre 1933 di «Un lembo ligure presso la Sardegna» cioè di Carloforte colonia genovese nell'isola della seconda metà del sec. XVIII. * * * S. B. in «Corriere Mercantile» del 15 novembre 1933 sotto il titolo «Un nome che non sarà dimenticato» ricorda iì Cap. Casimiro Celle valoroso marinaio genovese. * * * In «Giornale di Genova» del 16 novembre 1933 Vito Vitale sotto il titolo «Per un primato» esamina il volume di recente pubblicato da Raffaele Di Tucci sulla economia genovese del sec. XII. ♦ * * Spunti di storia e di tradizione riferentisi alla valle eh ha per centro Cicagna sono raccolti nello scritto di G. Borgata («Fontanabuona o fontana del diavolo» pubblicato in «Nuovo Cittadino» del 19 novembre 1933. * * * Il (]anonico Mussi ricerca in «Nuovo Cittadino» del 22 novembre 1933 «Do-V’f,ra la Chiesa di S1. Lorenzo de monte libero» presso Massa-Carrara giovandosi anche degli studi di Ubaldo Forinentini. * * ♦ Brano Ziravello scrive in «Corriere Mercantile» del 23 novembre 1933 di «Un viaggio in America ottantanni fa» cioè espone come viaggiavano i passeggeri sui piroscafi transatlantici d’allora. * * * Annunciando (in «Secolo XIX» del 25 novembre 1933) che «Il vf-ochio Teatro di Camogli risorge», Renaio Compartiti ne ricorda le origini. Cominciato nel 1874 ed inaugurato nel 1876, oggi per vetustà collabente, inizia con oppoi-tuni restauri una nuova vita. * * * Ancora su «Il Teatro di Camogli» ora ritornato a novello splendore scrive Dario Umberto Razeto in «Giornale dì Genova» del 28 novembre 1933. * * * Orsini De* Mari ha in «Giornale di Genova» del 28 novembre 1933 uno scritto dal titolo: «Sangue ligure nei Bonaparte». * * * Anche stella nera ricorda in «Lavoro» del 30 novembre 1933 « Il Teatro di Camogli» con un artìcolo che delinea la storia del teatro antico e bene augura al al rifacimento attuale. Spigolature e notizie In «Corriere Mercantile» del 30 novembre 1933 erre inizia una sua rassegna di ((Architettura antica e nuova». In questo primo scritto esamina la speciale architettura genovese a cominciare dal duecento. * + * D’«Un ritrattista genovese del 700», il Mulinaretto, scrive Mario Bonzi in «Genova» Rivista Municipale di novembre 1933. * + * In «Genova», Rivista Municipale di novembre 1933 A. Pe»ce-Mair&rt continua a scrivere su «Il Museo Lapidario a S. Agostino». * * * Intorno a «Il Palazzo diel Comune di Genova e lo studio di Grosso e Pes- sagno» scrive ampiamente Siella ~Xera ne «Il 'Raccoglitore Ligure» di novembre 1933. * * * Ne «Il Raccoglitore Ligure» del novembre 1933 Orlando Grosso prosegue ad esporre «Il giornale particolare dell’Ammiraglio Francesco Serra» andando dal 1815 al 1830. * * * Mario Borni illustra ne (di Raccoglitore Ligure» di novembre 1933 «Il San SiroTî VigAnego» cioè un quadro di Lorenzo Fazolo conservato nel paesello di Viganego in Val Bisagno. * * * Umberto V. Cavassa ha ne «Il Raccoglitore Ligure» di novembre 1933 uno scritto dal titolo «Dalle cure idroterapiche alla pescheria nuova» dove ricorda uno stabilimento di bagni di settantanni fa traendo notizie da una «Guida» pubblicata nel 1862 dal dott. Pescetto. * * * Stella 'Nera scrìve ne «Il Raccoglitore Ligure» di1 novembre 1933 su «I Feudi Imperiali di Liguria e la relazione di Paolo Garzweiler». * * * Nello scritto «S. O. S. Pier una chiesa del XIII secolo» Ubaldo degli Uberti ricorda in «Lavoro» del 3 dicembre 1933 la chiesa di Andora presso Laigueglia iti Riviera di Ponente propugnandone il restauro. * * * Lo scritto «I grattacieli di Paolo Foglietta» pubblicato da F. Ernesto Morando in «Corriere Mercantile» del 7 dicembre 1933 riaccosta costruzioni del papato con le odierne ed offre una pagina archeologica d’attualità. * * * Nello scritto «Il maestro d’un grande guerriero» pubblicato in ((Giornale di Genova» del 0 dicembre 1933 T'ito Vitale fa alcuni rilievi sul volume dèi 288 Spigolature e notizie Generale Guido l'oggi intorno al conflitto sardo-francese della fine del secolo lS.o e specialmente sulla guerra svoltasi sulle Alpi Marittime. * * * In «Corriere Mercantile» del 9 dicembre 1933 Cario Centurione scrive su «Giovanni Giustiniani alla difesa di Costantinopoli nel 1453». * * * In «Corriere Mercantile» del 9 dicembre 1933 /. c. ni. pubblica una recensione del recente volume «Memorie Garibaldine di Antonio Binda». * * * Nello scritto pubblicato da Luigi Papa in «Corriere Mercantile» del 12 dicembre 1933 col titolo «Perchè Napoleone fuggì dall’isola d’Elba» si dà conto d'una serata al Teatro Sant’Agostino di Genova che ha qualche relazione coll ’ avvenimento. * * * Ipo scrive in «Secolo XIX» del 14 dicembre 1933 su «Guglielmo Embriaco TH'TA di maglio» rievocando le glorie delle gesta genovesi in Cesarea. * * * Lo scritto di A. Deferrari hi «Corriere Mercantile» del 15 dicembre 1933 col titolo «Rivendicazione cìeccardiana» mira a stabilire l’origine genovese del poeta stessendone minutamente la storia famigliare. * * * Franco Pertica illustra in un opuscolo l’origine finalese dei ftuffim. Lo scritto «Finale Ligure colla dei Ruffini» è stato distribuito il 17 dicembre 1933 a Finale in occasione della solenne cerimonia dell’inaugurazione di una lapide alla memoria di Bernardo Rultini. Ari uro Codignola lia tenuto nello stesso giorno al Teatro Alhambra 11 discorso commemorativo. * * * G. A. A. scrive in «Il Lavoro» del 19 dicembre» su «Le onoranze di Finale alla famiglia EutTOi - L orazione del prof. Arturo Codignola», riassumeuco ampiamente il discorso tenuto dal nostro direttore a Finale il 11 ·. cem it oo. * * * Un ampio resoconto delle cerimonie avvenute in Finale Ü 17 dicembre in onore dei Ruffini dà «L’Eco della Riviera» di Sanremo del 21 ich m re . * * * Augusto Beguinot in «Giornale di Genova» del 21 dicembre 1933 conjnje-mora «Il centenario d’un grande biologo ligure», Federico Le pino, c ìa emerito studioso della riproduzione delle piante. * * * In «Secolo XIX» del 22 dicembre 1933 è recensito il recente volume del Prof. Pietro Nurra sotto il titolo «La coalizione europea contro la Repubblica di Genova (1703-90)». Spigolature b notizie* 2b9 Lazzaro De Simant recensisce in «Nuovo Cittadino») del 22 dicembre 1933 11 volume «Balilla» di Franco Ridella. ♦ * ♦ «Giulio Grassi ‘genovese», il nonno di Paul Valery è ricordato da ptyc in «Corriere Mercantile» del 27 dicembre 1933. * * * In «Lavoro» del 28 dicembre 1933 Ettore LanzerottQ commemora «Federico Delfino - fondatore della biologia vegetale» nel primo centenario dalla sua nascita. ♦ * * «Il folklore musicale genovese» è riccamente illustrato da Mano de Vecchi in «Nuovo Cittadino» del 28 dicembre 1933. * * * ttu «La venuta ufi Valdesi a Genova» scrive Italicus in «Nuovo Cittadino» del l!D dicembre 1933. Lo scritto è in continuazione. ♦ * * Di «Precursori genovesi del Hex» scrive Raffaele Di Tucci in «Lavoro» del 25) dicembre 1933 risalendo al contributo^poriato dal Banco S. Giorgio alla navigazione in Genova antica. * * * S. B raconta in «Corriere Mercantile» del 29 dicembre 1933 «Come operavano nel nostro Porto gli Artieri del 700)). * * * Omya recensisce in «Nuovo Cittadino» del 30 dicembre 1933 il recente volume di Orlando Grosso e Giuseppe Pessagno «Il Palazzo del Comune di Genova». * * * Ne «Il Raccoglitore Ligure» del 31 dicembre 1933 è pubblicato sotto il titolo «1 vaticini profetici» un capitolo del volume postumo di Giuseppe Por-tigliotti «Colombo XPO FERENS». * * * •(ano Borei scrive ne «Il Raccoglitore Ligure del 31 dicembre 1933 su di «ilIn polittico smembrato di Nioolò da Voltbi». * * * Ne di Raccoglitore Ligure» del 31 dicembre 1933 Giuseppe Pessagno ha uno scritto dal tìtolo «Napolione Bonaparte ispettore delle strade e fonti». * * * Pi iiSt oR Tmmasina Fieschi scrittrice e piTTRicD) scrive P. Umile da Genova ne «Il Raccoglitore Ligure» del 31 dicembre 1933, 290 Spigolature e notizie Il «Lavoro» del 31 dicembre 1933 pubblica un articolo di Martet dal titolo «Lunigiana ignota». ♦ * * Fra i più notevoli studi apparsi nel fascicolo ottobre-dicembre 1933 del-1*«Archivio Storico di Corsica» segnaliamo quello di Ersilio Michel su le «Vioznde di Filippo Buonarroti in Corsica (1789-1794) ». * * * Ne «Il Raccoglitore Ligure» di ottobre 1933 Mario Bonzi ha uno scritto su ( I r. S. Giorgio di Levanto». L’A. illustra una tavola che nella chiesti del* l'Anuunziata in Levanto che rivendica con solidi argomenti a Pier Francesco Saccbi, pavese d’origine e genovese delezione. ♦ * * Su «La facciata della Cattedrale di S. Lorenzo» scrive Ori and* Grosso ne «Il Raccoglitore Ligure» di ottobre 1933. La visione ScOiica Che 1 A. offre del maggior tempio di Genova attraverso alle eue vicende nel tempo ed ai rifacimenti ch'ebbe a subire è appoggiata ad una documentazione quanto mai precisa ed originale, quale solo uno studioso della tempra del Grosso poteva offrire. * * * Giuseppe Portiglvotti scrive ne «Il Raccoglitore Ligure» ili ottobre 1933 su L'Ospedale DÏI Foresti»». L’A. cerca eli identificarne hi sede dopojmn · intessuto la storia, che si deriva dalla antichissima Consortia de h lo)est,eu istituito presso la Chiesa di S. M. dei Servi. * * * Ne «Il ’Raccoglitore Ligure» di ottobre 1933 si dà conto (a f^a F.) dun «Processo ad una strega nel 1630» celebratosi a Genova a cariu donna rapailese. * * * «Il Raccoglitore Ligure» di ottobre 1!)33 pubblica vico Archivio dei Padri del Comune) una Nota riguardante le donne pubbUctae che avevano la loro stanza a Montalbano, presso la p azza poi detta de Fontane Amorose; oggi ribattezzata (non si sa perche) Morose. if * * Nella recente Silloge di *udi pubblicata in onore di Ales «Costruzione di galee genovesi durante il dogato di Leoin to oggetto di una monografia di Jiaffaele eli Tucci. genovese \ Giacomo Garrirti nella stessa Silloge illustra «Ln uipmmatico le. Torino : ÌFelice di Villa vecchi a». * * * La benemerita Società Storico-archeologica Ingat^ ha due opuscoli nella sua Collana. Nel 3° ο,πΓ’e nel 5° Vero BatoccUL ~u * «rniuo ~.u I.N- gauni». APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Studi e scritti su G. Mazzini pubblicati all’estero , Fra i ricordi di G. Mazzini, in «Progresso Italo-Americano », New York. 2 luglio 1933. , Si rievoca l'ultima prigionia dell'Apostolo deU’Unità subita a Gaeta nel 1870. --, Giuseppe M azzini, in «Littorio», New York, 16 luglio 1033. In brevi capitoletti sono riassunti i capisaldi della dottrina dell'Apostolo, a scopo di propaganda. G. T., Quando Giuseppe 1[azzini vireva in Londra, iu «Corriere dAnierica», New York, 20 agosto 1933. L a. illustra una delle pagine più bello delia vita dell’Apostolo, quando, in principio del 1837 giunto a Londra, conquistò con l'interezza della sua vita e con l'altezza del uio genio il freddo abitante dell'Jughilterra. Folco Tkstf:na, Nel primo centenario della G io ri ne Italia, in «11 Giornale d Italia», numero .straordinario, Buenos Ayres. 20 settembre 1933. 11 numero straordinario è in gran parte dedicato ad illustrare il primo centenario del glorioso sodalizio mazziniano, con una sicura ed appassionata competenza. --, Modem Italy : Ashort History, in «The Times» Londra, 2S settembre 1933. Ampia recensione della monografia sulla storia d'Italia dettate da G. B. Me Clellan che ripete il titolo dell'articolo. L’a. pone in risalto l’opera compiuta dal Mazzini. --, Mazzini, in «Corriere degli Italiani», Sidney, 11 ottobre 1933. Breve nota di carattere divulgativo. Jules Garsou, Un sigmlement de Mazzini, in «La Fiandre liberale», Gand, 4 novembre 1933. L’n. pubblica, illustrandola, una lettera del Comandante della pubblica sicurezza di (land al governatore della provincia di Lussemburgo, richiedente in data 31 agosto 1835, di fur ricerca del Mazzini che si supponeva entrato con passaporto fal«o in Belgi«». Rende noti i connotati e prega, di procedere all’arresto dell’Apostolo cd al sequestro dei documenti che eventualmente portasse con sé. E’ noto che il Mazzini in questi Diesi, pur essendo perseguitato dalla polizia, non s'era mosso dalla Svizzera. 292 Bïbliog π λ fia Mazzi n i a να --1 Mazzini, maestro de energia; in «Idea», Parana. 20 novembre 1933. La. esalta la figura dell'Apostolo e rintraccia in particolar modo nei Doveri dell uomo, le fondamentali direttive del suo pensiero, --, Cimeli mazziniani, in «Unione», Tunisi, 26 novembre 1933. Si rende noto che la signora Carlotta Celesia ha donato al Museo del Hisorgimento di Genova dei preziosi cimeli mazziniani e non poche lettere autografe dell Apostolo, di sua madre e di Emila Asliurst Venturi. Mazzini’s policy and fascism, in «Birmingham Post», 29 novembre 1933. Succinto resoconto de’.la conferenza tenuta dal Rev. G. Griffith euU’argomento enunciato nel titolo dell’articolo. --, Bortragsabend der Deutsch . Italienischen Gefellschaft, in «Berliner Börsen Zeitung», Berlin, 14 dicembre 1933. Succinto resoconto della (onferenza tenuta iu Berlino dal prof. Gabelli, direttore del· l’istituto Italiano di studi germanici, su i riflessi del pensiero europeo nella dottrina nazionale di G. Mazzini, Op etc e studi su G. Mazzini pubblicati in Italia Nazake.no Mezzeiti, Mazzini visto con cuore fascista, Roma, Casa Editrice Pineiana, 1933. La monografia premiata nel concorso bandito da «Peusiero e Azione», < ui sè più volte accennato, è un’interpretazione, iu qualche punto, assai ai dita del pensiero mazziniano. Le divagazioni, talvolta superflue, non infirmano però la 'buona preparazione che i i · possiede; e l’ardore poi con cui tratta l’argomento rende la lettura dell’opera assai avvincente. Guglielmo Bilancioni. Giacomo Mazzini, padre del grande patriota, studioso di anatomia patologica, Roma, Pozzi, 1933. Il B. è stato indotto a studiare il pensiero di Giacomo Mazzini dalle fu© ricerche su sordo-mutismo, ed ha esteso le sue indagini sino a darci una vivace ri*\ocazion l'ambiente nel quale nacque l'Apostolo deH'Lnità. A. Baldaot, Giuseppe Mazzini, notizie della sua vita, con una lettera di Lincoln a Melloni, tradotta e postillata dal Vate e illustrala da A. B., Milano, Ediz. di «Adriatico nostro», 1933. In questo Opuscolo, che fu distribuito quest'estate ai Piccoli Milanesi della ^°*on Zara «Adriatico Nostro», il Baldacci ripubblica commentandola e facendola prete e da succinte notizie sulla vita dell’Apostolo, la lettera di Lincoln a Melloni, Mercurio Mozzati, La Giovine Italia e Andrea Voaltieri, Milano, «Atbe na», 1933. La figura di questo martire della Giovine Italia è brevemente tracciata in questa mono grafia storica. Bibliografia Mazziniana 293 Gennaro Cassiani, Il ((Nuovo Patto Sociale)), Biblioteca Tribunali Calabresi, Cosenza, 1033. In questo opuscolo nel quale l’a. studia le caratteristiche fondamentali del Fascismo, un capitolo è dedicato a «Il pensiero di G. Mazzini». Antonio Giaviesu, Saggi cintici, Roma, Maglione, 1933. Fra gli altri è notevole il saggio dedicato al Mazzini, ispirato a sensi di una critica equlibrata. Eligio Pometta, I mazziniani nella Svizzera italiana - I processi. Clementi Grillenzoni-Cwsola, in «Archivio Storico «Iella Svizzera italiana», Milano, luglio-dicembre 1932. Il Pometta ha rintracciato nella Cancelleria dell'A Ito Tribunale federale di Losanna un ricco inserto contenente i processi intentati a ludovito Clementi di Trento, a Carlo Cassola ed a Giovanni GriUenzoni, implicati nei moti milanesi del febbraio 1853. Il benemerito autore fa precedere la pubblicazione dei documenti da un breve cenno illustrativo. Ersilio Michel, TJrm lettera dì Pietro BoQCheciampe a Giuseppe Mazzini, in «Archivio Storico di Corsica», luglio, 1933. Il Michel ha rintracciato in un giornale italiano, pubblicato in Atene, una lettera del Boc-checiampe nella quale tenta una difesa contro l’accusa di tradimento lanciatagli dal Mazzini nel noto opuscolo sui Fratelli Bandiera. L illustre storico la ripubbl’ca facendola precedere da un opportuno ed esauriente commento. Zama Pietro, Giovanni Pianori contro Napoleone III, Modena, Soc. Tip. Modenese, 1933. Il dotto bibliotecario di Faenza traccia in questo volume una biografia del Pianori, che sino ad opgi mancava. L’attentato del P. è qui considerato sotto i più vari aspetti e, contro le affermazioni del Comand'ui e del Luzio, lo Zama afferma — basandosi però su documenti già noti — la probabile complicità del Mazzini con lo spegiudicato romagnolo. G. Mazzini, Scritti politici e letterari, con introduzione e note di Luca De Regibus, Milano, Vallardi, 1933. t E’ un’altra antologia, che si aggiunge alle molte già edite. Il D. R. ha però bene assolto il suo compito. Gino Tomajoli, Le ripercussioni fra i Veneti del tentativo di Samico e le misure della polizia austriaca, in «Bollettino del Museo civico», Padova, 1933. Su documenti tratti dall’Archivio dì Stato di Venezia l’a. ricostruisce con accuratezza tutto il lavoro di organizzazione compiuto nella Venezia prima del tentativo di Sar-nieo, da Garibaldi e dal Mazzini, Umberto Beseghi, Mazzini e il movimento insurreziomle nel Veneto, i.n «Rassegna storica del 'Risorgimento», Roma, gennaio 1933. Il B. pubblica, brevemente illustrandole, cinque lettere inedite di Mazzini a Giovanni Maz za’.di ed una ad Enrico Pentoli rifefentisi al tentativi di far insorgere i! Veneto prima della spedizione di Aspromorçte. 294 Bib lioc rap ia Mazzi n i an a Giorgio (Falco, Una idtera di Mazzini e il moto livornese del 1857, in «Rassegna storica (lei Risorgimento», Roma, aprile 1933. Il Falco, sulla scorta di nuovi documenti rintracciati nell’Archivio di' Stato di Torino ricostruisce con precisione il tentativo rivoluzionario avvenuto in Livorno nel 1857, che avrebbe dovuto insieme a Genova ed all'Italia meridionale, dove si era recato Pisacane, far insorgere l'intera penìsola. I nuovi documenti — in particolar modo i rapporti del console sardo a Livorno, Giuseppe Magnetti — permettono di reintegrare Vesatta dizione di una lettera del Mazzini e la parte presa al moto da vari congiurati. --1 ii mandato di cattura contro Giuseppe Mazzini, in «Tramway», Milano, 19 agosto 1933. Si pubblica integralmente il mandato per arrestare il Mazzini emesso dal Commissario Superiore Kliantz di Trento il 9 agosto 1852. II documento originale si conserva nell’archivio storico del Comune di Riva di Trento. Articoli vari in Riviste e Giornali A. Boselli, Giovanni Pianori contro Napoleone 111, in «T/Archiginnasio», Bologna, maggio 1933. Succinta recensione della monografia dello Zuma già segnalata. 11 lioselli concolua con l’a. nel ritenere Mazzini complice del Pianori nell'attentato contro Napoleone 111. La stessa monografia è recensita dal «Corriere Padano» di Ferrara del 21 settembre 1033. Romualdo Rossi, Il pensiero nazionale di Mazzini in «Corriere Emiliano» 10-18 giugno 1933. Ampia recensione della monografia di Nazareno Mezzetti, già segnalata. Lo stesso volume è stato recensito anche dal «Corriere Adriatico» di Ancona del 15 luglio. Bianca 'Rava Pergola, In memoria di Jacopo Ruf fini, in «Regime Fascista», Cremona, 18 giugno 1933. Sagace, ben informata, rievocazione del protomartire della Giovine Italiana e dell amico del core di G. Mazzini. ---, i n cospiratore del 1833, G. ». Cartolo, in «Sentinella d’Kalia», Cuneo, 21) giugno 1933. Il Cariolo fu tra i processati per aver appartenuto alla Giovine Italia, si salvò dal ca pestro, ma dovette prendere la via dell'esilio. L'a. ne r.evoca in brèvi cenni la \ita. Antonio Cojazzi, Il crollo di una menzogna, in «L'avvenire cVItalia», Bologna, 22 giugno, δ e 12 luglio 1933. La menzogna è la massoneria. 11 C. sulla scorta dei ben noti volumi del Luzio atterm che il Mazzini mai non appartenne alla setta. La. conchiude: «Converrà quindi che un. he i cattolici modifichino il loro giudizio sul Mazzi! : egli non iu massone, e non fu neppure, anche come credente, un cristiano, almeno, in ogni tempo della sua v.ta». L'ultima parte della IH puntata fu ripubblicata dal «Nuovo Ciltad no» di Genova del < luglio 1933, Bibliografia Mazziniana 295 Innocenzo Calta, II 22 giugno 1833, in «Sera» Milano, 22 giugno 1933. Succinta recensione della monografia di Mercurio Mozzati su «La Giovine Italia e Andrea Vochieri1», g'à segnalata. E. Mazza scrive sulla stessa opera ne l'cEco di Bergamo» del 24 agosto e Avancino Ayancini in «Il Corriere delle maestre» di Milano dell'8 ottobre 1033. --, Dalla conferenza del prof. A. Galletti su L. Ariosto in «Altius», Roma N. 2 3, giugno 1933. L'agli appunti della Signora M. Petitbon stralciamo questo giudizio su Mazzini e Ariosto : «Mazzini affermava che la grande strada della poesia l'aveva aperta per prima Dante; sa non che gli italiani l'avevano persa subito durante il rinascimento, periodo che, secondo lui, meglio sarebbe chiamarlo del decadimento. L'Ariosto era così travolto nella condanna insieme con la rovina morale del suo secolo. E invero, considerandola sotto certi aspetti la poesia italiana del rinascimento indurrebbe a dare ragione al Mazzini. Solo in Dante il Mazzini vede l’artista perfetto il latore di un grande messaggio. Nell’animo sacerdotale del Mazzini l’ideale poetico rappresentato da Dante è quello vero». De Vecchi di Val Cismox, Il accuso dello Stato» nel Risorgimento, in «"Rassegna storica del Risorgimento». Koma, aprile giugno 1933. Il Quadrumviro illustrando la concezione unitaria dello stato realizzata dii|l Fascismo, accenna con queste parole alla figura del Mazzini : «Giuseppe Mazzini non fu certamente liberale... Si può certamente dire di Mazzini che fu anti-liberale e anti-socialista, come fu certamente profetico nell’antivedere la funzione dell Italia nel mondo quando questa avesse trovato colla indipendenza la perfetta unità. Quale poteva essere il cemento della perfetta unità? Quale perfetta unità degli italiani se non lo Stato? Dio e Popolo». «II popolo» di Mazzini non è la plebe : è lo Stato». Antonio Cuoco, Una pagina inedita su Mazzini, in «La Rondine», Roma, giugno 1933. Continuazione e fine doli'articolo già segnalato. --, Introduzione a «I Mille» di Garibaldi, in «Camicia Rossa», Roma, giugno 1933. La ben nota rivista ripubblica quasi integralmente la introduzione al 111 volume del-l’Edizione Nazionale degli scritti di Garibaldi, dettata da A. Codignola, relatore della Commissione editrice. \i si tocca dei rapporti fra Garibaldi e Mazzini. Una recensione al volume, che riproduce in gran parte l’introduzione è stata pubblicata da P. Pantaleo in «Regime Fascista» di Cremona elei 13 lugl’o; da Bruno Romani in «Vita Nova» di Bologna del luglio; da * in «Giornale di Sicilia» di Palermo del 29 agosto. Si parla di questo volume e del successivo, d’imminente pubblicazione anche nella «Corrispondenza» di Roma del 31 ottobre; nel «Mattino» di Napoli, uel «Corriere del Tirreno, nella «Stampa» Ci Tori o, ne «Il Resto del Carlino» di Bologna, ne il «Regime Fascista» di Cremona del l.o novembre; nel «Popolo di Brespia», nella «Provincia» di Pado a, nel «Corriere Adriatico» di Ancona, ne la «"Vedetta Fascista» di Vicenza, nella «Nazione» d‘i Firenze del 2 novembre e nel «Giornale d’Oriente» di Alessandria d’Egitto del 19 novembre 1933. L. p., Un pugno d'eroi contro Jtu pero, in «La cultura e il libro», Milano, giugno 1933. Succinta recensione della monografia di <ì. Cassi, già segnalata. Teresa Rertolotti, La religione di Mazzini, in «Fede Nuova», Roma, giugno 1933. Foche pagine commosse ed entusiastiche, ma prive di senso critico. 296· Bibliografia Mazziniana Luigi Fiorentino, .1 G. Mazzini, in «Gazzetta Letteraria», Viatoria, 2 luglio 1933. E’ un’ode al Mazzini: se l'argomento è degno di lode, non lo è davvero la poesia, che è intessuta esclusivamente di luoghi comuni, Giannetto Bongiovanni, Emilio Celano il «carceriere di Mazzytii», in «La Voce di Mantova», 2 luglio 1933. L’a. rievoca la figura e l’opera svolta dal Celano durante la prigionia del Mazzini a Gaeta. E’ lo stesso argomento trattato da A. Cuoco nell articolo già segnalato e da Arnaldo Cervesato nell’articolo «La prigionia di Mazzini a Gaeta» pubblicato nella «Vita Italiana» di Roma del settembre 3933. F. Ernesto Morando, 1 volumi LXI e LXII degli scritti di G. Mazzi)A, in «Corriere Mercantile», Genova, 4 e 11 luglio 1933. Sagace ed ampia recensione degli ultimi volumi dell edizione nazionale degli Scrit ti di Mazzini (il 36.o dell’Epistolario ed il 21.o della Politica), curati con il consueto amore e con precisa informazione da Mario Menghini. __j L’ora di lettura, in «Giornale delle donne», Milano, 6 luglio 1933. {Succinta recensione della monografìa di A. Errerà, già segnalata. Leonardo Lagorio, Ancora sul covo mazziniano del 1833 a Porto Maurizio, in «Giornale di Genova», Genova, 14 luglio 19òi>. Il L. ritorna eull’argomento della diffusione i.ella Giovine Italia iu Porto Mauiizio, soffermandosi ad illustrare particolarmente le figure di G. E. Benza e di Napoleone Ferrali. --f Mazzini avitim assolaci in «Liguria del Popolo», Genova, 15 luglio J93o. Fiera nota polemica contro Je affermazioni del Cojazzi. Dopo aver ripubblicato la pagina del Mazzini riferentesi alla sua iniziazione alla Carboneria, 1 anonimo autore si cli.ede : «Don Cojazzi premetteva un primo titolo al suo articolo : Il crollo di una menzogna. A questo punto, è lecito domandare: di quale menzogna?» A. O., Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, in «Critica», Napoli, 20 luglio 1933 L’Omodeo porta il suo sagace esame sulla monografia del Rosselli, più volte? segnalata, mettendone a nudo con intelletto d’amore i pregi e le mende. F. Ernesto Morando, A proposito dell’ultimo dissidio fra Mazzini e Garibaldi, in «Camicia ’ftossa». Koma, luglio 1933. La monografia del Fonterossi Garibaldi e l'Internazionale dà modo al Morando di portar nuova luce sull’ultimo dissidio fra i due grandi fattori del Risorgimento, rievo.ando figure e fatti poct> noti o addirittura ignorati. __f Maria Mazzini, in «Rivista storica italiana», Torino, luglio, 193o. Succinta recensions della monografia di L. Ravenna, già segnalata. La stessa opera è recensita da Ersilio Mi hel in «Italia l.t-tteraria* di Roma del 12 novembre 19S3 Mario Puocioni, Palazzo Vecchio sede della Camera dei Deputati, in «Firenze», luglio 1933. 11 P. illustra euccmtanei.te ’e redute del'.* Cariera dei de;.ntati tenutesi in Palazz.0 Bibliografia Mazziniana 297 Veccft'o durante la breve permanenza in Firenze del Parlamento e ripubblica dall’originale la ben nota lettera inviata dal Mazzini al Presidente della Camera il 7 febbraio 1867, nella quale declinava il mandato parlamentare. Vito Vitale, Leggende dure o' morire in «Giornale di Genova», 11 agosto 1933. L'insigne nostro collaboratore prende lo spunto dalla polemichetta suscitata ,da Fede Nuova, che ha rinnovato le accuse di traditore a G. B. Castagnino, per fare opportune considerazioni sul modo con cui ancor oggi viene straziata la viva dottrina dell*Apostolo dell’unità da parte di sedicenti mazziniani. Mario Pacl>r, Mazzini e noi, in «Popolo di Trieste», 17 agosto 1933. Succinta recensione della monografia di Nazzareno Mezzetti, già segnalata. La stessa opera è stata pure recensita da li. S. in «Avvenire .di Tripoli» del 1 ottobre 1933, --, Lo Stato e Mazzini, in «L’Opinione», La Spezia, 21 agosto 1933. Si segnala, commentandola, l’importanza dell’articolo già ricordato di S. E. De Vecchi di Val Cismon. --, La vita eroica del Tirteo italianot in «Telegrafo», Livorno, 23 agosto 1933. Ampia recensione della monografia del Fabietti sul Mameli, già segnalata. Scrive, fra l’altro, l’autore : «Gli ha spianato la via Arturo Codignola col suo ampio, fondamentale lavoro sulla vita e gli scritti di Maniel1!, a cui il Fabietti frequentemente si riferisce». La stessa opera fu pure recensita da i «Diritti della Scuola» di Roma del 30 luglio da «Il Resto del Carlino* di Bologna del 19 agosto e da «L’Italia* di Milano del 1 novembre 1933. A. E. Marescotti, Lai Colonia milanese «Adriatico nostro» a Zara, in «San Mareo», Zara, 23 agosto 1933. 11 Marescotti, fervido e costante assertore dell’ italianità della Dalmazia, dà fra l’altro notizia dell’opuscolo del Baldacci distribuito ai piccoli milanesi raccolti nella colonia di Zara. Si accenna a tale opuscolo anche dal «Gazzettino» di Venezia», dal «Grido d’ltal:a» di Genova e da «Il solco fascista» di Reggio Emilia del 10 settembre ; dalla «Sesia» di \ercelli del 12 settembre, dal «San Marco» di Zara e dal «Popolo di Pavia» dei settembre ; dalla «Provincia di Bolzano» e da «L’altra sponda» di Milano del settembre 1933; dalla «Gazzetta del Popolo della Sera» di Torino del 2 ottobre; da «Il Lavoro Fascista» di Rema del 5 ottobre; dal «Popolo biellese» del 16 ottobre; dall*«Idea fascista* di Pisa del 22 ottobre e dal «Popolo di Trieste» del 22 ottobre 1933. Luciana Valli, Mazzini e le donne, in «Grido d’Italia», Genova 13, 27 agosto 1933. Articolo divulgativo. Domenico Spadoni, I Corsi e la repubblica ix>mana del 1849, in «Archivio storico £i Corsica», Roma, agosto 1933. Lo Spadoni rie\oca, opportunamente commentando ' l’indirizzo inviato da una gruppo di Corsi residenti a Bastia il 25 marzo 1849 ai rappresentanti della Repubblica romana e la risposta del Mazzini. Bibliografia Mazzi nIana Innocenzo Cappa, II padre di Giuseppe Mazzini, in «Sera», Milano, 30 agosto 1933. Con l’ausilio del faggio di Guglielmo Bilancloui, già segnalato, l’a. rievoca la figura di Giacomo Mazzini. La stessa monografia c> stata recensita da G. Andreoni in *Nicia» di Milane, dell ot* tobre 1933. A. G. C., Italiani e Polacchi in Isvizzera, in «Nuovo Cittadino», Genova 30 agosto 1933. L’a. rievoca i rapporti esistenti fra gli emigrati italiani e polacchi* in 19 'izzera un secolo fa: in particolar ir.odo si sofferma ad illustrare l’opera dal Maziini ivi espil ata ed i rapporti d'amicizia inter o*si fra G. Ruffini e Karl Matliy. LMdula, La profezia di Alazzini e ΓItalia d'oyyi, in «I/Adula», Bellinzona, 31 agosto 1933. La profezia è quella contenu a in una lettera del 2 ottobre 1833 dell’ApostoIo al Meiegaii, nella "quale afferma la sua ferma fede di veder «l’ital a alla testa per Iti terza volta dei destini europea ; ciò che l’a* vede oggi realizzato. Felice Chilanti, L’associazione mazzjndaw, in «La Stirpe», Roma, agosto 1913. L’a. illustra il loneetto dell’associazione nella teoria mazziniana, in un saggio breve ed efficace. Giuseppe Cocchiara, Profezie di un esule parmense, in «Corriere Emiliano», Parma, 1S agosto 1933. 11 C. rievoca la figura di Antonio Gallenga e si solferma ad illustrare i suoi rapporti col Mazzini. Bruno Brunello, Cultura fascista, in «Vita Nova», Bologna, agosto 1933. Succinta recensione della monografia di G. Fonterossi su Garibaldi e Vinti rnazionale, già segnalata. Egidio Curi, Giuseppe Mazzini, in «Adolescenza fascista», Milano, 20 agosto -20 settembre 1933. Appassionato e limpido scritto sulla vita e la dottrina dell’Apostolo. --, Il corso Boccheciampe tradì i fratelli Bandiera? in «Corrispondenza», Roma., 4 settembre 1933. Succinta recensione della monografia di E, Michel, già segnalata, che è stata pure riassunta dalla «Gazzetta del Lunedi» di Bari del 4 settembre; dai «Corriere del Tirreno» di Livorno del giorno successivo; dalla «Provincia di Conio*, dal «Telegrafo» di Lvorno del G settembre e dalla «Voce del Mattino» di Rovigo del 10 settembre 1033. Vincenzo Pastore, Il dissidio Marx-Mazzini, in «Libro e Moschetto», Milano, 16 settembre 1933. Con buona preparazione l’a. esamina i contrasti fondamentali che di isero il pensiero e l’azione dell'Apostolo dell'Unità dall’autore del Capitale. Giuseppe Capozzi, Una lettera d/i Mazzini ad Antonio Lanzirolti, in «Ora», Palermo, 22 settembre 1933. L'a. illustre, la figura del patriota di C’a’tanissetta e ripubblica una lettera direttagli dal Mazzini il 4 luglio del lSfi4, già edita nella «RIviAta popolare» del 31 luglio 1918. Bibliografia Mazzini.an \ 299 Giovanni Maioli, G-iovanni Pianori, in «Corriere Padano», Ferrara, 19 ottobre 1983. Sagace ed ampia recensione della monografia di Pietro Zama già segnalata. in. c., La Edizione Mazziniana e la cooperativa Galeati, in «Corriere Padano», Ferrara, 21 ottobre 1933. L’a. prende argomento delle recenti traversie della benemerita caaa editrice Galeati di Imola, per deplorare il fatto che gli scritti mazziniani siano pochi diffusi. Antonietta Preziosi, Wagner, Mazzini, Verdi, in «Cimento», Napoli, 21 ottobre 1933. Si rievocano i concetti fondamentali espressi dal Mazzini nella Filosofia della musica, e si illustra l’influenza ch’esei ebbero sul grande musicista tedesco e su G. Verdi. Maria Concetta Martines, Il più grande amore di Giuseppe Mazzini, in «Cordelia», Bologna, ottobre 1933. Ancora sui rapporti fra il Mazzini e la Sidoli. Ezio Pisani, Per i morti e per i vici, in «Secolo XIX», Genova, 2 novembre 1933. Si ripubblica, nella ricorrenza del dì dei morti, una lettera consolatoria scritta dal Mazzini il 17 ottobre 1857 al suo amico inglese John Adam per consolarlo di gravi sciagure che lo avevano colpito. Italo Rosa, Oli ospiti dell*Hôtel de la Navigation)) di Ginevra, in «L’avvenire d'Italia», Bologna, 15 novembre 1933. Si rievoca l’incontro av enuto in Ginevra cent’anni or sono fra il Mazzini ed il GaUeiira allo scopo di attentare alla vita di Carlo Alberto. --, Preziosi cimeli mazziniani donati al Comune di Genova, in «Stampa», Torino, 15 novembre 1933. Si dà notizia del dono fatto dalla sig. Cariotta Celesia al Museo del Risorgimento dì Genova di documenti e cimeli mazziniani appartenuti a Carolina Celesia. --, Studi inglesi su Mazzini, in «...e chi non sa su' danno», Pisa, 20 novembre 1933. L’effemeride pisana scrive: «Lo scrittore inglese Gwilym O. Grifl.th lia pubb.icato di recente (Hodder and ßtoughton, London), un notevole olume intitolato Mazzini : Prophet of moderne Europe, che ebbe già una edizione americana, e sta per essere tradotto in francese ed in italiano. Lo stesso studioso del pensiero mazziniano ha ora condotto a termine un lavoro teatrale i cui protagonisti sono Mazzini cd i coniugi Carlyle, un «period play» come dicono gli inglesi : produzione biogTaflco-storica». Luigi Pescetti, Lettere inedite di Ferdinando Martini a Celestino Bianchi, in «L’Italia Letteraria», Roma, 26 novembre 1933. Fra le gustose lettere del Martini che pubblica il P. una accenna argutamente alla fiera della vanità osservata dallo scrittore in Pisa all'indomani della morte di H*b*ìuì, con queste parole ; 300 Bibliografia Mazziniana «Caro Celestino, spero che a nessun Mazzini verrà più l'idea di morire a Pisa; e la città intornerà nel suo εοηηο, perchè altrimenti finisce che m ammuso io per lu bile». Il «Popolo d’Italia» oi Milano del 26 novembre segnala questa lettera, sotto il titolo Echi mazziniani, ed altrettanto 1'«Adriatico» di Pescara del 3 dicembre 1933. Tullio Pax izza, La cospirazione mazziniana nel Trentino nel 1864, in «Brennero», Trento, 28 novembre 1933. Si rievocano le origini e lo sviluppo della cospirazione mazziniana ordita nel Trentino dal Bezzi nella primavera del 1864. Eugenio Kastner, Lettere inedite di Mazzini a Francesco Pulszky in «Rassegna li alia na», Roma, novembre 1933. Il K. ha r'nfcracciato nel Museo Nazionale Ungherese di Budapest un gruppo di letttie assai importanti .nviate dal Mazzini al grande esule ed archeologo -nagiaro Francesco Pulszky dal 22 lebbraio 1850 al 27 novembre 1862. In questo articolo il Kastner le pubblica, ampiamente commentandole. La «Gazzetta del Mezzogiorno» di Bari del 1 dicembre 1933, trae argomento dalle lettere mazziniane d'rette al Pulszky per dimostrare come «Il socialismo settario» sa stato «condannato da Mazzini nel 1852». --, Giuseppe Mazzini profeta della nuova Italia, in «Il Piccolo», Alessandria, 2 dicembre 1933. Si dà 1‘anuuncio della conferenza che con tale tito’.o tenne Alfredo Algardi all Istituto fascista di cultura di Alessandria il 6 dicembre. Si dà 11 resoconto dell’esito brillante di questa conferenza in «L'Informatore» di Alessandria del 7 dicembre 1933. --, Letteratura y in «I/Esperanto», Torino, 15 dicembre 1933. Si dà notizia della traduzione in esperanto dei Doveri dell'l’omo di Mazzini. ---, Maria Mazzini, in «I.a Piccola Italiana», Milano, 24 dicembre 1933. Succinto profilo della madre di G. Mazzini. Una lettera d>i Giuseppe Mazzini ai leechese avv. Enrico Corti, in «Nei paesi manzoniani», Lecco, dicembre 1933. L'a. fa conoscere una lettera dell’Apostolo diretta al Corti il 4 ottobre 1866 per affidargli l’itacarico di «cooperare più attivamente che mai all'opera organica, che sotto la bandiera spiegata nel manifesto dell’.4lteanza Repubblicana, egli va tentando». Gino Cucchetti, Avanti Magiari!, Casa Editrice Brennero, Bolzano, 1933. In questa raccolta d’articoli il C. rievoca opportunamente l’atteggiamento tenuto dal Mazzini di fronte al Kossuth nei riguardi del problema dinastico in Ungheria. Direttore responsebile : UBALDO FoRMENTINI S A- INDUSTRI? POLIGRAFICHE NAVA ~ BERGAMO — MILANO INDICE ANNATA 1955 INDICE MEMORIE Alfredo Obertello - Agostino Bufimi a Edimburgo ...... pagg. 1, 94 Nino Lamboglia - Significato ed importanza del-, l’indagine toponomastica, nelle riviere liguri ......pag. 12 Ubaldo Formentini - L'Abbazia di S. Salvatore di Linari e le sue strade . . pag. 16 Giulia Surra - Rodi nel mito e nella storia pwg. 21 André E„ Sayoos - Les valeurs nominatives et leur trafic à Gênes pendant le XIII siècle d’a-près des documents inédits de ses Archives Notariales .... pag. 73 Ferruccio Sassi - Treguani de Lunexana pag. 85 Mario Battistini . Lettere inedite di Mazzini c Garibaldi ......pag. 112. Itala Cremona (Ruzzolino - Costanza Casella Gi- glioli e il suo tempo . . . pag. 161 Mario G. Celle - Jacopo Bracelli e l’Ecloga IV fli vil’8ilio.....pag- 113 c Discussioni e Commenti .... pag. 241 Renato Giardelli - Saggio di una bibliografia generale della Corsica . . . PßML' 38, 251 Rassegna bibliografica .... pagg. 42, 121, 25S Spigolature b Notizie .... £«#£· 52, 134, 272 Appunti per una bibliografia mazziniana Pa9g. 65, 148, 291 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA t GOMITATO DI REDAZIONE: GIUSEPPE PESSAGNO, PIETRO NURRA, VITO A. VITALE La pubblicazione esce sotto gli auspici del Municipio e della Regia Università di Genova e del Municipio della Spezia DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: QenoVa, Palazzo Rosso, Via Qa riè a Idi, 18 CONDIZIONI DI ABBONAMENTO: Il Giornale si pubblicò a Genova in fascicoli trimestrali. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni, spigo-lature, notizie ed appunti per una Bibliografia Mazziniana. ABBONAMENTO ANNUO per I Italia L. 50 per Γ Estero L. 60 Un fascicolo separato Lire 7*50 ~ Doppio L. 10