SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA
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Centocinquant'anni di storia
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Il 22 novembre 1857, in una sala della civica biblioteca Berio un gruppo di intellettuali genovesi dava vita alla Società Ligure di Storia Patria; erano presenti i promotori dell'iniziativa: il marchese Vincenzo Ricci, Michel Giuseppe Canale, Giuseppe Banchero, Federico Alizeri, Emmanuele Celesia, Agostino e Giuseppe Olivieri, cui si erano aggiunti Vincenzo Marchese, Michele Erede, Cornelio Desimoni, Giovanni Papa e molti altri. Alcuni di essi, reduci da precedenti esperienze culturali, erano da tempo in sospetto presso la polizia piemontese, soprattutto dopo i noti fatti del '57, la cui eco non era ancora spenta.
Le affinità con le organizzazioni culturali precedenti (tra le quali già Ricci aveva posto, quasi a stabilire una discendenza diretta, il benemerito Istituto Nazionale, fondato dalla Repubblica Democratica Ligure) erano comunque ben chiare fin dal programma enunciato da padre Marchese nel suo primo discorso: le colonie, la moneta, Colombo, il comune dei consoli, la tavola di Polcevera, temi già dibattuti ampiamente negli organismi precedenti. La novità era offerta dall'ampliamento degli orizzonti, dal superamento, per lo meno nei voti, della storia municipale e regionale: non semplice vicenda di contrasti politici, ma approfondimento dei valori della storia genovese. In tale prospettiva, i grandi liguri apparivano non solo patrimonio di una nazione, ma simboli della loro età, di grandi avvenimenti universali.
Fin dal primo volume gli «Atti della Società Ligure di Storia Patria» si caratterizzano per:
- edizioni di fonti (tra le quali, importantissimi, i due registri della curia arcivescovile editi da Luigi Tommaso Belgrano, il Codice diplomatico delle colonie tauro-liguri del domenicano Amedeo Vigna, che dedicherà altri due volumi al suo convento di Santa Maria di Castello; quelle di Arturo Ferretto, le iscrizioni greche, romane e medievali della Liguria);
- monografie (lo studio sulle finanze genovesi di Henri Sieveking, la vita privata dei Genovesi del Belgrano; le marche d'Italia, gli studi sulla moneta e sulla cartografia di Cornelio Desimoni, quelli di Braggio e Gabotto sull'umanesimo dei Liguri);
- raccolte di studi, spesso frutto degli accesi dibattiti e delle memorie che i soci leggevano nel corso delle riunioni, di alcuni dei quali si ha testimonianza anche attraverso il «Giornale Ligustico» e il «Giornale storico e letterario della Liguria» in epoca più recente;
- atti congressuali, repertori, inventari d'archivio.
Di fatto, nonostante l'opera intensissima delle sezioni in cui si articolava, la Società Ligure si identificava, più che nelle figure dei presidenti (6 nel primo quarantennio), in quelle di pochi soci eminenti per cultura e fama: Belgrano, Vigna, Desimoni, Staglieno, Sanguineti, Alizeri. Ma è soprattutto l'infaticabile Belgrano, l'autore più prolifico degli «Atti», seguito da Cornelio Desimoni, segretario e anima della Società dal 1864 al 1895, il maggiore rappresentante del primo quarantennio; sia attraverso la partecipazione ai congressi nazionali, sia in qualità di delegato della Società presso l'Istituto Storico Italiano, sia come animatore della Raccolta Colombiana, conclusiva di mezzo secolo di battaglie e di polemiche della storiografia genovese, sulla quale e sull' edizione degli Annali di Caffaro cadeva stroncato il grande segretario nel 1895.
Non appare quindi privo di significato che i soci abbiano eletto alla presidenza, nel 1896, il marchese Cesare Imperiale di Sant'Angelo, che raccoglieva l'eredità del Belgrano nella continuazione degli Annali, e legava il suo nome a quello del defunto segretario, facendo assegnare, nel nome di Colombo, Palazzo San Giorgio al Consorzio Autonomo del Porto, per la cui istituzione lo stesso Imperiale aveva speso le sue migliori energie di parlamentare.
La Società chiudeva così il primo quarantennio con legittimo orgoglio: 27 volumi di «Atti» dedicati all'illustrazione della storia genovese nei suoi aspetti più vari, dalla vita privata alla navigazione, dalla numismatica alla cartografia, dall'arte alla stampa, dalla chiesa al costume; il numero delle cronache e dei documenti pubblicati, le polemiche suscitate per la difesa dei monumenti cittadini (si pensi all'accanita lotta condotta da Jacopo Virgilio e dall'intera Società per la conservazione di Palazzo San Giorgio), erano sintomi di una vitalità documentata anche dal raddoppio dei soci e dalla loro qualità, dal conseguimento della prima sede stabile a Palazzo Bianco nel 1896, dall'erezione in Ente Morale nel 1898.
Eppure, nonostante l'ottimismo del momento, la Società necessitava di vasta opera di riorganizzazione, dell'apporto di forze nuove, in grado di assicurarne la continuità. La lunga presidenza Imperiale (1896-1920) assume quindi ai nostri occhi il significato di ponte tra la generazione 'risorgimentale' che andava sparendo ed una più giovane, maggiormente sensibile ai nuovi indirizzi che spiravano dalle aule universitarie.
Essa rappresenta anche il momento di più intensa attività pubblica della Società: l'insegnamento della storia ligure nelle scuole civiche; l'organizzazione della Mostra storica coloniale, nel 1914, risultato dei viaggi del Presidente e delle relazioni personali che intratteneva col Levante, i consensi riscossi presso Accademie, Istituti e Congressi, o presso le stesse autorità governative che ne richiedevano la collaborazione per la ricerca e il censimento delle testimonianze della presenza genovese nel Mediterraneo Orientale. E già il Presidente vagheggiava l'edizione di un codice diplomatico delle colonie liguri e, sulle orme del Desimoni, di legare il suo nome a quello dei codici originali dei Libri iurium, che, sottratti da Napoleone, giacevano ancora, pressoché inesplorati, al Ministero degli Esteri di Parigi, quando la guerra europea veniva a sconvolgere piani e progetti, ad alimentare, anche in seno alla Società, divergenze e preoccupazioni politiche già emerse fin dal primo discorso dell'Imperiale, quando, nel 1896, aveva accennato in termini critici alle vicende africane del momento. Ora, mentre egli comandava squadre di mezzi d'assalto nell'Adriatico, toccava al vicepresidente, Arturo Issel, il compito di commentare le difficoltà dei tempi, al segretario, Francesco Poggi (definito dal Presidente «nuovo Belgrano»), quello di reggere le sorti della Società. E se i verbali denunciano l'educazione risorgimentale di molti soci, che auspicano, attraverso la guerra, l'imminente liberazione dei popoli oppressi, non mancano le preoccupazioni per il futuro, per l'equilibrio che non avrebbe potuto ristabilirsi se non attraverso altre perturbazioni, le ansie e il raccoglimento dei momenti difficili, le condanne e l'orrore per l'immane flagello, tutti sentimenti rilanciati dall'ampia relazione sul periodo 1908-1917 che il segretario pubblicava nei primi mesi del 1918. Il Poggi vi esponeva alcune considerazioni sull'insegnamento della storia, nella quale egli avrebbe amato vedere la rappresentazione integrale «della vita normale, ordinaria, comune della società e non soltanto di quella politica che riguarda una minuscola minoranza che si agita al di sopra delle moltitudini che lavorano e producono la ricchezza delle nazioni». Donde conclusioni estreme, inequivocabili. Messe in luce, infatti, le conseguenze esiziali a cui aveva condotto la prevalenza data nella scuola allo studio delle lettere e della storia politica a scopo educativo, il segretario aveva parlato di «sentimento tirannico della patria», concludendo che al cessare della guerra molti si sarebbero accorti che «la famiglia, la personalità umana, la moralità, la libertà, la giustizia, la scienza, l'amore del prossimo erano cose altrettanto sacre quanto la patria». Parole che «un manipoletto di soci, dotti professori di lettere e di storia, convinti e compresi della loro missione di custodi e difensori delle patrie istituzioni «non poteva perdonare a un insegnante di matematica, che tuttavia, nell'assemblea del 2 marzo 1919, appellatosi alla libertà di pensiero, fondamento di qualunque istituto scientifico, era riconfermato consigliere con 25 voti su 29 votanti, essendo rimasti completamente isolati i quattro oppositori e respinta la loro mozione di censura.
Durante le presidenze Issel e Volpicella, nel decennio 1920-1930, Francesco Poggi continuò ad essere l'uomo di punta del sodalizio, trasferito nel 1908 a Palazzo Rosso, l'organizzatore degli «Atti», l'iniziatore della serie dedicata al Risorgimento, di cui egli era valente studioso, lo storico della Società, al centro di tutte le iniziative, dalla partecipazione al IX Congresso geografico italiano del 1924 con un volume di «Atti» interamente dedicato alla geografia e alla toponomastica, al XIII Congresso di storia del Risorgimento del 1925, in occasione del quale era stato approntato il primo volume del Codignola sui fratelli Ruffini, alla collaborazione alla raccolta dedicata alle lapidi genovesi in Crimea della russa Skrzinska, alla riforma statutaria del 1925.
Nelle pagine relative al periodo 1917-1929, pubblicate nel '30, il segretario ribadiva ancora una volta, a dispetto degli oppositori del 1919, i suoi criteri storiografici; ironizzava sulla civiltà angusta del tempo, nella quale le energie muscolari venivano anteposte ai valori spirituali, polemizzava contro una storia moralistica, fatta apposta per celebrare illustri condottieri di popoli, di eserciti, di partiti, contro una storia dinastica, che rifletteva fedelmente gli atteggiamenti della classe dirigente, contro la diseducazione operata da un tale genere di studi sulla società. E non era tutto: il Poggi riferiva su una questione scottante che aveva movimentato la vita interna della Società.
Nel 1927 il Ministro della Pubblica Istruzione, Pietro Fedele, richiesto di dichiarare monumento nazionale la casa di Montoggio nella quale era nato Giovanni Perasso, da molti identificato nel Balilla, chiedeva lumi alla Società. Già la questione di per sé rientrava, agli occhi del Poggi, in quelle discussioni «alle quali Bisanzio diede l'appellativo»; la storia del Balilla gli sembrava «un pretesto, in tempi privi della libertà di ragionare sulle cose del presente, per trarre dal passato argomento alle vanità del momento». Pubblicava quindi un ampio resoconto dell'assemblea (non registrata a verbale) che molti studiosi avevano prudentemente disertato e nella quale si era manifestata una grande disparità di vedute.
Ed è chiaro che se il Presidente Volpicella «con i lumi acquistati nella descritta riunione - ancora la caustica ironia del Poggi - chiudeva rapidamente la discussione», ed invitava il Ministro a conservare comunque il nome di Balilla, considerandolo «l'innominato, lo sconosciuto, il Milite Ignoto della giovinezza d'Italia», il pensiero del segretario appariva evidente a tutti. In poche battute il Poggi era costretto ad andarsene. Ci appare però carico di significati, che egli, quasi prevedesse il suo commiato, richiamasse nella stessa relazione, con parole anticipatrici della lezione di maestri quali Bognetti, Chiaudano, Falco, Vitale, quella storia comune, normale, cui andavano le sue preferenze, ben documentata dai cartulari notarili:
Atti storicamente preziosi, perché rendono e riflettono, attraverso l'infinita moltitudine delle minute notizie da essi contenute, tutta l'attività mercantile dei genovesi, che è come dire la maggior parte della vita medievale dei genovesi e di una notevole parte di quella delle popolazioni che ebbero con costoro rapporti di commercio.
La crisi Poggi, tuttavia, se denuncia il clima difficile che sfocerà, nel 1935, nella forzata trasformazione della Società in Regia Deputazione, di impronta governativa, apre un nuovo fruttuoso ciclo condizionato dalla personalità di Vito Vitale, uno dei vecchi oppositori del Poggi, segretario fino al 1945, commissario per due anni e infine presidente fino al 1955. Sono anni in cui la storia è costretta troppo spesso a piegarsi ad esigenze di natura politica, alle rivendicazioni territoriali, a forzare avvenimenti del passato in funzione del presente. La Società, tuttavia, non pare adeguarsi a queste finalità: nonostante le inevitabili dichiarazioni di lealtà al Governo, gli inni all'«Impero, sogno di Dante e di Petrarca», o l'esplicita affermazione che non è opportuno ricorrere a votazioni «non più consone ai tempi», il nostro organismo si mantiene di fatto estraneo agli indirizzi del tempo, lasciando ad altri enti o nuove riviste specifiche il compito di secondare l'andazzo del momento. La stessa trasformazione della Società in Deputazione, che introduceva l'antipatica distinzione tra Deputati e soci, i primi soggetti, i secondi puri e semplici spettatori, recepita come un'imposizione, lasciò gli animi freddi, se non addirittura ostili; tanto che il Presidente, senatore Mattia Moresco, aprendo i lavori del nuovo organismo, era costretto a definirlo «propaggine della Società Ligure, che rimaneva viva nel cuore di tutti come una delle operosità più feconde della Liguria e di Genova». E dalla Società, dal suo predecessore, Enrico Bensa, Moresco ereditava anche il disegno della pubblicazione dei cartulari notarili. Si deve a lui se il Rotary genovese, sciogliendosi, destinava una somma cospicua al finanziamento di questa iniziativa; a lui spettò l'onore di firmare con Gian Piero Bognetti il volumetto introduttivo della nuova collana dei notai. Contro i mugugni di alcuni soci che mal gradivano «i libri mattonosi», Gian Piero Bognetti (principale estensore di quell'introduzione), in pagine che saranno eguagliate per umanità e finissima sensibilità solo da Giorgio Falco, dimostrava che i notai potevano anche andare oltre il puro dato economico ed offrire a chi avesse saputo interpretarli, pagine ricchissime di vita semplice, umana, comune, quotidiana, decisamente spoglia di ogni retorica.
Era pur sempre il retaggio della Società, arricchito, e perfezionato in seguito, dall'esperienza e dal metodo di una scuola universitaria con la quale i legami venivano intensificandosi.
Al termine del secondo conflitto mondiale, durante il quale l'attività scientifica aveva ristagnato, per cessare quasi del tutto, il 31 maggio 1947, revocate le leggi del '35, si ricostituiva la Società col ritorno allo statuto del 1925; alla Presidenza era chiamato il senatore Federico Ricci; la sua rinunzia, motivata dai troppi impegni politici, apriva la strada a Vito Vitale, eletto il 20 dicembre 1947. Il nuovo presidente arrecava un'esperienza quarantennale di studioso attento e serio, di sicuro indagatore della storia genovese, ed era certamente l'uomo più preparato che il nostro sodalizio potesse esprimere in quegli anni. Giunto tardi alla piena scoperta dell'importanza delle fonti notarili, se ne era fatto divulgatore appassionato ed esperto, fino a lasciarci quel bel volumetto, Vita e commercio nei notai genovesi dei secoli XII e XIII, che costituisce, unitamente al Breviario della Storia di Genova, una sorta di manifesto programmatico o di testamento.
Gli anni del dopoguerra sono anni difficili: la necessità di curare le ferite provocate dalla trasformazione in Regia Deputazione che, unitamente alle leggi razziali, aveva messo in disparte o allontanato molti soci, preoccupazioni di natura finanziaria, lo sfratto da Palazzo Rosso ed il precipitoso e forzato trasferimento in locali gelidi e malsani, praticamente inagibili, che solo eufemisticamente si potevano chiamare di fortuna, con perdite di materiale librario - «una ferita al cuore tale da mettere in discussione la stessa sopravvivenza della Società», così il presidente Borlandi inaugurando la nuova sede l'11 dicembre 1967 - sono gli aspetti più vistosi della crisi. È anche un periodo di attesa del Breviario del Vitale, da tempo in gestazione, pubblicato postumo, nel 1955, poco dopo la sua scomparsa.
Gli anni che seguono, sotto la presidenza di Agostino Virgilio, uomo di grande cultura e di affascinante conversazione, ma scarsamente operativo, segnano un momento di profonda crisi d'identità. Il silenzio pressoché totale delle attività sociali nel periodo 1956-1962, rotto solo dalla pubblicazione di tre volumi di «Atti» e di due della collana dei notai, parrebbe accentuare il solo messaggio conclusivo dell'opera del Vitale, come se essa, corredata di una ricchissima bibliografia, curata da Teofilo Ossian De Negri, allora Segretario, e di un'altrettanto ricca problematica, non fosse di stimolo ad ulteriori indagini. In quegli anni la Società sembrava dominata dalla preoccupazione di salvare un patrimonio ideale e materiale, dal timore che i tempi non concedessero ancora una ripresa costante e matura, che, esaurita la vecchia guardia della Storia Patria, non fossero ancora pronte ed attive nuove energie in grado di raccoglierne l'eredità. In parole povere la stasi!
Fu così che nel 1962, con un'assemblea straordinaria - non se ne tenevano da sei anni - si provvide a rinnovare radicalmente il consiglio, chiamando alla presidenza l'anziano Onorato Pastine e immettendovi, accanto a figure prestigiose del passato, sensibili alle esigenze del rinnovamento, forze nuove, anche giovanili, provenienti dalle aule universitarie (dalle scuole di Falco, Pistarino, Borlandi), dagli archivi, dalle biblioteche, rinnovamento evidenziato, oltreché dalla presidenza, dal 1963 in seguito al decesso di Pastine, di Franco Borlandi, dall'elezione di un trentenne - l'autore di questa nota - alla segreteria: un fatto inconcepibile anche per gli spiriti più aperti.
Non è facile per il segretario di allora, che ha avuto il privilegio di stare accanto a Borlandi fino alla sua scomparsa prematura, nel 1974, ripercorrere le tappe di una presidenza prestigiosa e largamente positiva nei risultati: la ripresa regolare degli «Atti», dal 1962 periodico semestrale, arricchito da nuovi apporti, in gran parte giovanili; la nuova prestigiosa sede in Albaro nel 1967, il ristabilimento dei cambi con le principali riviste storiche, in particolare quelle regionali, l'avvio di programmi di conferenze, dibattiti, presentazioni di libri, l'attiva partecipazione alla mostra storica del notariato medievale ligure (1964); la pubblicazione della versione italiana della grande, per molti versi insuperata, opera di Georg Caro dedicata al periodo dei Capitani del popolo (1257-1311); l'accoglimento del Circolo Numismatico Ligure, allora guidato da Corrado Astengo, come sezione della Società, sono solo alcuni aspetti della sua presidenza.
Non sono mancate, è vero, negli anni '68-69 alcune scosse di assestamento, con epicentri esterni alla Società, in ambienti accademici, già avvertibili fin dal 1964, in occasione della Mostra del notariato, culminate nello sterile tentativo di sfiduciare l'intero consiglio. E proprio a questi dissidi è addebitabile l'affossamento del grande progetto di un Centro nazionale per la storia del notariato italiano, con sede presso la nostra Società, annunciato da Borlandi nel 1964, finanziato dal CNR e in accordo con la Direzione Generale degli Archivi di Stato, che avrebbe assunto l'onere della stampa dei risultati (studi e soprattutto edizioni).
E tuttavia, al di là delle sterili polemiche, credo che ciò che ha inciso in profondità sia il disinteressato spirito di servizio che Borlandi ha insegnato e lasciato in eredità ai successori: Giovanni Pesce (1974), Giorgio Costamagna (1975-1977), a me stesso, eletto nel 1978 e successivamente riconfermato.
Si trattava di guardare lontano, di inventarsi nuovi percorsi, di trasformare cioè il sodalizio da destinatario passivo di studi compiuti al di fuori di esso in un centro attivo, in grado di progettare e attuare proprie attività di ricerca. Fu determinante l'incontro, nel 1976, con la marchesa Carlotta Cattaneo Adorno, proprietaria del più importante e ricco complesso archivistico privato della Liguria e di una splendida biblioteca patrizia, dotata di pregevoli manoscritti e incunaboli. Il compito del riordinamento ed inventariazione di tale patrimonio storico fu assunto da noi con senso di responsabilità, come dovere civico nei confronti della società genovese, con spirito di servizio, fors'anche un po' avventatamente, dal momento che all'inizio eravamo impegnati nell'impresa solo in due, Antonella Rovere, ai suoi primi passi nel cammino della ricerca, ed io.
Vedevano così la luce diversi volumi dedicati ai manoscritti, agli incunaboli; agli archivi dei Durazzo, dei Pallavicini e dei Sauli. Questi lavori imponevano la Società all'attenzione del mondo culturale italiano: donde finanziamenti del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dello stesso Ministero per i Beni culturali, del cui Consiglio Nazionale fui chiamato a far parte per due mandati in rappresentanza degli Istituti culturali.
Così la legge 123 del 1980, che riservava la concessione dei contributi statali ai soli enti culturali di ricerca, non ci trovava impreparati: la collaborazione di alcuni Istituti/Dipartimenti dell'Università di Genova, di Scienze dell'antichità, del Medioevo e geografico-ambientali; di cultura giuridica "Giovanni Tarello" - sezione di Storia del Diritto -, di Economia e metodi quantitativi - sezione di Storia economica - e di giovani collaboratori, in gran parte provenienti dai corsi di dottorato di ricerca in Diplomatica dell'Università di Genova, consentiva di allargare gli orizzonti. Negli ultimi trent'anni la Società ha triplicato il numero delle pagine degli «Atti», realizzato importanti coedizioni con l'École française di Roma, la Regione Liguria, l'Istituto Veneto di Scienze lettere ed arti e soprattutto col Ministero per i beni e le attività culturali, quadruplicato la consistenza libraria della biblioteca, promosso nuove attività di ricerca. Cicli tematici di conferenze, otto grandi convegni a carattere nazionale e internazionale, con l'intervento di relatori provenienti, oltre che dalle principali università italiane, da Belgio, Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Israele, Olanda, Russia, Spagna, Stati Uniti e Svizzera, l'affidamento alla Società dell'inventariazione del grande archivio del Banco di San Giorgio, progetto colombiano, magistralmente diretto da Giuseppe Felloni, pressoché ultimato, e soprattutto curato, per delega del Ministero per i beni culturali, la gestione e l'allestimento della mostra cartografica colombiana (Colombo e l'apertura degli spazi) di Palazzo Ducale del 1992, che per cinque mesi ha ottenuto un grande successo di pubblico, rappresentano altrettante tappe del nostro cammino, che prosegue, con rinnovato vigore dal 1993 nella nuova sede di Palazzo Ducale, a seguito dell'abbandono, dopo 25 anni, di quella di Albaro, ormai impraticabile a causa della dilatazione della nostra biblioteca, già raddoppiata allora per consistenza rispetto al '67.
Da questa sede sono partite nuove iniziative: accanto ai tradizionali «Atti», giunti al CXXIV volume (L della nuova serie), una nuova collana di 'Fonti per la storia della Liguria', pervenuta al XXVI volume, e la recente ripresa della collana dei notai liguri con le edizioni degli atti di tre notai attivi nella curia arcivescovile nei secoli XIII, XIV e XV, e di un notaio savonese, nonché alcune pubblicazioni del Circolo Numismatico Ligure, tra le quali, oltre a raccolte degli scritti di Enrico Janin e Giovanni Pesce, una recentissima monografia sui dalla Volta e gli Zaccaria nell'Egeo orientale, dello studioso greco Andreas Mazarakis.
E ancora, nel 2003-2004, la Storia di Genova. Mediterraneo. Europa. Atlantico, la prima realizzata da specialisti come Il cammino della Chiesa genovese del 1999; La Storia della cultura ligure, in 4 volumi (44 saggi scritti da 41 autori), che la Società ha regalato, o sta donando, per il tramite delle Province, alle biblioteche comunali e degli istituti scolastici superiori della Liguria; una recentissima (2010) storia della Società, nonché altre attività editoriali che potranno decollare solo attraverso l'acquisizione di cospicue risorse finanziarie, da sempre il nervo scoperto per chi è costretto a registrare indifferenza, incomprensione, talvolta sprezzanti rifiuti.
Proprio per questo è doveroso ricordare gli enti o le persone che hanno appoggiato, o appoggiano finanziariamente il nostro lavoro: primo il comune di Genova che ci ospita dal 1896; fino al 1993 la Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, poi Banca CARIGE, la Regione Liguria, l'Università di Genova (coorganizzatrice di alcuni convegni); per il riordinamento ed inventariazione dell'Archivio del Banco di San Giorgio il ministero per i beni culturali, attraverso la Direzione Generale per gli Archivi, la Provincia di Genova, la Banca di San Giorgio e la Compagnia di San Paolo; per gli altri lavori archivistici conclusi, oltre alla famiglia Cattaneo Adorno, il CNR e la stessa Direzione Generale che ha finanziato, almeno fino al 2010,il riordinamento e l'inventariazione del fondo notarile tre-quattrocentesco dell'Archivio di Stato di Genova; infine la Curia arcivescovile genovese per la realizzazione di un Codice diplomatico della Chiesa Genovese, un ambizioso progetto, avviato durante l'episcopato del card. Tettamanzi, e proseguito col suo successore card. Bertone, inteso al censimento ed edizione dei documenti di natura ecclesiastica contenuti nei notai liguri, da porre in rete. Purtroppo, al momento, i due impegni assunti dalla Società sono sospesi per mancanza di finanziamenti.
Di tutte le realizzazioni recenti, mi si perdoni l'immodestia, sono molto orgoglioso, tanto più se constato - me l'hanno fatto osservare i miei collaboratori - di aver realizzato pressoché per intero un programma editoriale, il 'libro dei sogni' (come l'avevo chiamato) enunciato nel corso di un convegno albenganese del 1982; orgoglioso per il recente (4 maggio 2007) conferimento alla Società del Grifo d'oro da parte del Comune di Genova.
Molto resta comunque da fare: più necessaria che mai una grande storia di Genova in più volumi, richiamata anche dal Sindaco Pericu in occasione della consegna del grifo d'oro. Per questo la Società si rivolge a tutti: essa ha bisogno di soci, di studiosi, dell'apporto di tutti quei genovesi cui stanno a cuore le sorti e la storia della nostra città, «la memoria del passato, il patrimonio più ricco che lasciamo ai giovani» (sono parole indirizzatemi recentemente dal card. Dionigi Tettamanzi).
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Dino Puncuh
marzo 2011
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